Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21096 del 25/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21096 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: RENOLDI CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
LOMBARDO Ignazio, nato a Marsala il 4/02/1971,
avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo in data 19/06/2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale, dott.ssa
Marilia Di Nardo, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 30/05/2017, il Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Palermo aveva disposto, nei confronti di Ignazio
LOMBARDO, la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di
cui all’art. 416-bis, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 cod. pen., contestata al capo A)
dell’imputazione cautelare.
Secondo quanto posto in luce nel provvedimento genetico, dall’articolata
attività di indagine, svolta attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali e
per mezzo di servizi di osservazione e videosorveglianza, erano stati acquisiti, a
carico dell’indagato, gravi indizi di colpevolezza in ordine alla sua partecipazione,
unitamente ad altre persone già condannate o sottoposte ad altri procedimenti
(tra cui Matteo MESSINA DENARO, Vito GONDOLA, Antonino BONAFEDE, Andrea
MANGIARACINA, Natale BONAFEDE e Vincenzo GIAPPONE), all’associazione
mafiosa denominata

Cosa nostra,

costituita per commettere delitti contro

Data Udienza: 25/01/2018

l’incolumità individuale, la libertà personale e il patrimonio, per acquisire in modo
diretto o indiretto la gestione, o comunque il controllo, di attività economiche,
concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e
vantaggi ingiusti, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo
e della condizione di assoggettamento ed omertà da essa derivante; fatti occorsi
in Mazara del Vallo, Marsala, Petrosino e altri luoghi della Provincia di Trapani,
dal 2002 all’attualità. In particolare, secondo l’imputazione cautelare, Ignazio
LOMBARDO, detto “Il Capitano”, faceva parte della famiglia di Marsala, con un

BONAFEDE, fino al momento della scarcerazione di Vito Vincenzo RALLO,
avvenuta il 23/09/2013, e mantenendo, attraverso il continuo scambio di
comunicazioni, un costante collegamento con gli altri associati e partecipando a
riunioni con gli stessi.
2. Con ordinanza emessa in data 19/06/2017, il Tribunale del riesame di
Palermo rigettò l’impugnazione proposta nell’interesse dello stesso LOMBARDO,
rilevando l’infondatezza delle censure dedotte in ordine alla gravità indiziaria e
alla attualità del rapporto associativo, risalendo gli elementi dedotti dall’accusa al
2010. In particolare, i giudici palermitani rilevarono che LOMBARDO era già stato
condannato, con sentenza definitiva, per il delitto di associazione mafiosa
commesso fino al 2002 e che, a carico dello stesso, risultavano gravi indizi di
colpevolezza in ordine al permanere del rapporto di affiliazione alla consorteria
criminale: indizi derivanti, in primis, dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di
giustizia Lorenzo CIMAROSA, già referente della famiglia mafiosa di
Castelvetrano (secondo cui LOMBARDO aveva retto la famiglia di Marsala fino
alla scarcerazione di Vito Vincenzo RALLO, nel 2013, incontrandosi con lo stesso
CIMAROSA grazie all’aiuto di Antonino SCIUTO e di altra persona di fiducia di
LOMBARDO), riscontrate dalle risultanze dell’attività di intercettazione
ambientale effettuata presso il capannone in uso a Vincenzo D’AGUANNO e alle
attività di osservazione, controllo e pedinamento attestanti l’incontro dello stesso
LOMBARDO con importanti esponenti del sodalizio mafioso, quali Vincenzo
GIAPPONE e Vito GONDOLA. Elementi indiziari dai quali, secondo il giudice del
riesame, era emersa non soltanto l’attività di partecipazione all’organizzazione,
ma finanche il ruolo di direzione del gruppo criminale svolto dall’indagato,
dapprima coadiuvando l’anziano reggente Antonino BONAFEDE e, dopo la
scarcerazione di Vito Vincenzo RALLO, continuando a svolgere all’interno della
consorteria un ruolo di primaria importanza, sia pure subordinato a quello dello
stesso RALLO.
Le esigenze cautelari furono, invece, dedotte: dal pericolo che, grazie alla
forza di intimidazione derivante dall’appartenenza al sodalizio, le fonti di prova
potessero essere condizionate; dal rischio che, per timore di una possibile
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ruolo di direzione del sodalizio, svolto coadiuvando il reggente, Antonino

condanna a una lunga pena detentiva, LOMBARDO si desse alla fuga, sfruttando
la notoria capacità logistica dell’associazione; dal pericolo di reiterazione delle
condotte di rilevanza penale, derivante dallo stabile inserimento nel sodalizio
mafioso. Elementi dai quali il tribunale del riesame trasse il convincimento, oltre
che della adeguatezza e proporzionalità della misura al fatto attribuito
all’indagato, della piena idoneità della stessa a scongiurare il rischio di
reiterazione dei reati della stessa specie di quello per cui si procede.
3. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione lo

deducendo quattro motivi di doglianza, di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. B) e E), cod. proc. pen., l’inosservanza o erronea applicazione della legge
processuale penale in relazione agli artt. 125 e 292, comma 2, lett. c) cod. proc.
pen. nonché la mancanza della motivazione in relazione all’assenza di
un’autonoma rielaborazione, da parte dell’ordinanza impugnata, delle
argomentazioni svolte nella richiesta del Pubblico ministero e nell’ordinanza
genetica, di cui sarebbero stati riprodotti alcuni elementi soltanto in via
esemplificativa.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura, ex art. 606, comma 1, lett.
B) e E), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge
penale nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione alla configurabilità del delitto di cui all’art. 416-bis,
commi 1, 2 e 3 cod. pen. e alla sua ascrivibilità allo stesso LOMBARDO. In primo
luogo, si opina che la mera frequentazione di persone pregiudicate da parte
dell’indagato sarebbe insufficiente a comprovarne la partecipazione al sodalizio.
Inoltre, l’identificazione di Ignazio LOMBARDO come “U Capitanu” da parte di
Lorenzo CIMAROSA non sarebbe certa, essendosi egli inizialmente confuso con
Ignazio PARRINELLO. Le dichiarazioni del collaboratore, poi, sarebbero
generiche, non emergendo con chiarezza il ruolo svolto da LOMBARDO all’interno
del sodalizio, in specie con riferimento all’aspetto dinamico e funzionale svolto
dal medesimo, non essendo sufficiente a configurare la condotta partecipativa la
semplice messa a disposizione della propria azione a favore dei singoli associati.
E, del resto, sarebbe indicativa la circostanza che LOMBARDO, pur sottoposto a
indagini per quattro anni, non abbia mai partecipato ad alcuna conversazione
significativa, idonea a dimostrarne la partecipazione all’associazione criminale.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. B) e E), cod. proc. pen., della inosservanza o erronea applicazione della
legge penale nonché della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione alla configurabilità delle aggravanti di cui all’art. 416-

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stesso LOMBARDO, a mezzo del difensore di fiducia, avv. Paolo PALADINO,

bis, commi 4 e 6,cod. pen.. Sotto un primo profilo, si osserva che la disponibilità
di armi, da parte dell’associazione mafiosa, non possa essere fondata sul cd.
“fatto notorio” e che ai fini della sussistenza dell’aggravante de qua non possa
prescindersi dall’atteggiamento soggettivo del singolo associato rispetto alla
disponibilità di armi da parte della consorteria. Sotto altro profilo, con riferimento
all’aggravante di cui al comma 6, si opina che, nel caso di specie, non sarebbe
stato dimostrato in alcun modo l’interessamento dell’indagato verso il controllo di
attività economiche finanziate con risorse provenienti da reato.

C) e E), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione di norme
processuali stabilite a pena di nullità nonché la manifesta illogicità della
motivazione in relazione all’art. 275, comma 3 cod. proc. pen.. In primo luogo,
l’impugnazione sottolinea il carattere non assoluto delle presunzioni concernenti
l’esistenza delle esigenze cautelari. Sotto altro profilo, si richiamano le pronunce
della giurisprudenza di legittimità secondo cui l’entità della presunta pena
irroganda non consentirebbe di configurare automaticamente il pericolo di fuga e
come essa non rilevi ai fini della prognosi sul rischio di inquinamento probatorio,
né su quella relativa al pericolo di reiterazione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
2.

Muovendo, secondo l’ordine logico, dall’analisi del primo motivo di

impugnazione, il ricorrente opina che il provvedimento gravato difetti di
un’autonoma rielaborazione delle argomentazioni svolte dapprima nella richiesta
del pubblico ministero e, quindi, nell’ordinanza genetica.
In proposito, va condiviso l’orientamento interpretativo accolto dalla
giurisprudenza di legittimità, secondo il quale in tema di motivazione delle
ordinanze cautelari personali la necessità di una “autonoma valutazione” delle
esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, introdotta all’art. 292,
comma 1, lett. c), cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, impone al
giudice di esplicitare le ragioni per cui egli ritiene di poter attribuire, al
compendio indiziario, un significato coerente all’integrazione dei presupposti
normativi per l’adozione della misura e non implica, invece, la necessità di una
riscrittura “originale” degli elementi indizianti o di quelli riferiti alle esigenze
cautelari (ex plurimis Sez. 5, n. 11922 del 2/12/2015, dep. 21/03/2016, Belsito,
Rv. 266428; in termini anche Sez. 6, n. 46792 del 11/09/2017, dep.
11/10/2017, Hasani, Rv. 271507). E tale accertamento, in sede di legittimità,
deve esplicarsi nell’ambito del perimetro logico delineato dal ricorso,
conformemente alla natura devolutiva dell’impugnazione.

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3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, ex art. 606, comma 1, lett.

Nel caso di specie, tuttavia, la censura formulata dal ricorrente è del tutto
generica, essendo stata dedotta, in maniera apodittica, l’assenza di motivazione
senza che, però, tale assunto sia stato adeguatamente argomentato, essendosi
fatto unicamente riferimento al rinvio, operato dal tribunale del riesame, al
provvedimento genetico. Nondimeno, in disparte l’assoluta genericità della
censura, deve osservarsi che l’ordinanza impugnata ha positivamente scrutinato
le specifiche circostanze riportate nel primo provvedimento di cui ha confermato
la rilevanza ai fini del giudizio sui gravi indizi di colpevolezza a carico

dal giudice della cautela in quanto integralmente condivise. In questo senso,
dunque, l’ordinanza si conforma all’insegnamento di questa Corte secondo il
quale non è affetta da vizio di motivazione l’ordinanza del tribunale del riesame
la quale confermi, in tutto o in parte, il provvedimento impugnato, recependone
in maniera sostanzialmente integrale le argomentazioni, perché in tal caso i due
atti si integrano reciprocamente, ferma restando la necessità che le eventuali
carenze di motivazione dell’uno risultino sanate dalle argomentazioni utilizzate
dall’altro

(ex plurimis Sez. 3, n. 8669 del 15/12/2015, dep. 3/03/2016,

Belringieri, Rv. 266765; Sez. 6, n. 48649 del 6/11/2014, dep. 24/11/2014,
Beshaj ed altri, Rv. 261085; Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 9/01/2008,
Beato, Rv. 238903). Ne consegue l’inammissibilità della relativa doglianza.
3. Venendo al secondo motivo di ricorso, con il quale viene dedotta l’assenza
di un compendio indiziario inidoneo a sostenere l’ipotesi cautelare, rileva il
Collegio la aspecificità delle relative deduzioni e, al contempo, la manifesta
infondatezza delle stesse.
Sotto un primo profilo, si afferma, da parte del ricorrente, che la
frequentazione di soggetti pregiudicati sarebbe insufficiente a comprovare la
partecipazione al sodalizio. Tale deduzione, tuttavia, omette di considerare la
cospicua mole di elementi indiziari raccolti nel corso delle indagini preliminari e
puntualmente riepilogati tanto dal provvedimento genetico, quanto
dall’ordinanza impugnata, sui quali è stato fondato il giudizio sui gravi indizi di
colpevolezza.
Invero, secondo le valutazioni dei giudici di merito, le dichiarazioni rese
all’interrogatorio del 15/03/2016 da Lorenzo CIMAROSA, già referente della
famiglia mafiosa di Castelvetrano, la cui credibilità soggettiva è stata
riconosciuta con sentenza irrevocabile, sono state confermate dalle evenienze
acquisite in altri procedimenti relative ad una serie di operazioni di polizia
giudiziaria (in particolare quelle denominate come “Peronospera”, “Black out” e
“Nerone”); ma, soprattutto, sono state confermate dai seguenti elementi
indiziari, emersi nel presente procedimento:

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dell’indagato, venendo per il resto richiamate le ulteriori argomentazioni svolte

a) la conversazione in data 1/10/2014 tra Vincenzo D’AGUANNO e Michele
LOMBARDO, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa per avere
gestito la latitanza di Antonino RALLO, fratello di Vito Vincenzo, nella quale essi
discutono degli ordini impartiti a Ignazio LOMBARDO da quest’ultimo, capo della
famiglia di Marsala, affinché non si ingerisca negli affari dei due conversanti;
b) la conversazione in data 11/10/2014 tra Vincenzo D’AGUANNO e Michele
LOMBARDO, in cui i due commentano il danneggiamento di un escavatore
dell’imprenditore DI GIROLAMO, attribuito proprio a Ignazio LOMBARDO, di cui

risorse del territorio;
c)

la conversazione del 9/01/2015 tra Vincenzo D’AGUANNO e Michele

LOMBARDO, nella quale il primo informa il secondo di avere incontrato Ignazio
LOMBARDO il giorno precedente, grazie alla intermediazione di Michele BUA e di
Antonio CIROBISI, e di avere ricevuto, in tale frangente, l’ambasciata di
Antonino BONAFEDE, nella quale quest’ultimo esortava D’AGUANNO a recedere
dagli atteggiamenti conflittuali in precedenza tenuti: episodio ritenuto
dimostrativo della posizione di prossimità ai vertici di LOMBARDO;
d)

la conversazione del 24/01/2015 nella quale Vincenzo D’AGUANNO,

parlando con Pietro PRINZIVALLI, riepiloga l’organigramma della famiglia di
Marsala, comprendente anche Ignazio LOMBARDO, in posizione subordinata a
Vito Vincenzo RALLO (denominato “Mulo bianco”) e nella quale riferisce che “U
capitanu” lo aveva invitato, in caso di necessità, a recarsi direttamente dal
decano Antonino BONAFEDE (zio Nino);
e)

la conversazione del 3/04/2014 tra Vincenzo D’AGUANNO e Michele

LOMBARDO, nella quale il primo informa il secondo di essere stato “convocato”
da Ignazio LOMBARDO;
f) la conversazione del 23/04/2014 tra Vito GONDOLA e Vincenzo GIAPPONE,
entrambi condannati per associazione mafiosa, nella quale il primo invita il
secondo a contattare LOMBARDO in vista di una iniziativa nei confronti di un
soggetto identificato con l’appellativo di “Scimmione”;
g)

le risultanze del servizio di osservazione del 21/10/2014, attestanti

l’incontro tra i menzionati Vito GONDOLA e Vincenzo GIAPPONE e lo stesso
Ignazio LOMBARDO;
i)

la conversazione del 24/01/2015 tra Vincenzo D’AGUANNO e Pietro

PRINZIVALLI, in cui il primo accomuna “il capitano” ai due BONAFEDE, Nino e
Natale, come facenti parte della stessa famiglia.
Tali elementi, in particolare le conversazioni tra D’AGUANNO e Michele
LOMBARDO, sono stati ritenuti particolarmente attendibili per la spontaneità e
genuinità dei contenuti e riscontranti le dichiarazioni di CIMAROSA anche in
relazione agli incontri tra quest’ultimo e LOMBARDO, attuati con

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escamotages

essi criticano l’avidità, sottolineando la necessità di una equa spartizione delle

indicativi della natura illecita degli stessi; e, pertanto, sono stati ritenuti
dimostrativi di una piena e stabile partecipazione al sodalizio da parte
dell’indagato, anche alla luce dell’indirizzo di questa Corte, qui condiviso,
secondo cui essa può essere desunta dall’essere l’indagato a conoscenza
dell’organigramma della cosca, dell’identità dei suoi componenti, in particolare di
quelli con posizione apicale, dei luoghi di riunione e degli argomenti trattati (Sez.
1, n. 4937 del 19/12/2012, dep. 31/01/2013, Modafferi, Rv. 254915). Tanto più
che LOMBARDO era stato condannato per la partecipazione all’associazione

corso delle presenti indagini preliminari, elementi indicativi di un suo recesso.
Proprio con riferimento al contributo fornito da CIMAROSA, si opina che la
sua identificazione di Ignazio LOMBARDO come “U Capitanu” non sarebbe certa,
essendosi egli inizialmente confuso con Ignazio PARRINELLO. E tuttavia,
l’ordinanza impugnata ha posto in luce (v. pag. 6) l’assenza di qualunque dubbio
in merito alla puntuale identificazione dell’odierno indagato, considerato che lo
stesso CIMAROSA, dopo una prima incertezza, si era subito corretto e che nella
conversazione ambientale del 24/01/2015, Vincenzo D’AGUANNO, parlando con
Pietro PRINZIVALLI, aveva accomunato “il capitano” a Antonino e Natale
BONAFEDE, prossimi congiunti di LOMBARDO, quali membri della stessa famiglia
mafiosa.
Quanto, poi, alla asserita genericità delle dichiarazioni di Lorenzo CIMAROSA,
il contributo del collaboratore deve, al contrario, ritenersi del tutto specifico,
avendo egli fatto riferimento al ruolo svolto da LOMBARDO all’interno del
sodalizio quale rappresentante della famiglia di Marsala, fino alla scarcerazione di
Vincenzo RALLO. Un ruolo che, proprio in ragione della posizione apicale rivestita
all’interno della consorteria mafiosa, appare connotato da una valenza
assolutamente pregnante sotto l’aspetto dinamico e funzionale, attesa, da un
lato, la struttura gerarchica del sodalizio e, dall’altro lato, l’attività di direzione e
organizzazione dal medesimo svolta sia rispetto agli incontri tra gli appartenenti
al gruppo, sia nel rappresentare la cosca con le altre famiglie.
4. Infondato è anche il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta che i
giudici di merito abbiano errato nel ritenere configurabili le due circostanze
dettate dall’art. 416-bis, commi 4 e 6, cod. pen., ovvero la partecipazione ad una
associazione armata (nella quale “i partecipanti hanno la disponibilità, per il
conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti,
anche se occultate o tenute in luogo di deposito”) o che eserciti il controllo su
attività economiche “finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il
profitto di delitti”.
Sul punto, va premesso che le circostanze in esame hanno carattere
“oggettivo”, attenendo non al singolo sodale ma all’attività dell’associazione in

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mafiosa Cosa Nostra commessa fino al 2002 e che non sono stati acquisiti, nel

quanto tale, poiché costituiscono una connotazione obiettiva della stessa e ne
qualificano la pericolosità (così, ex plurimis, Sez. 5, n. 1703 del 24/10/2013,
dep. 16/01/2014, Sapienza e altri, Rv. 258956, dettata in materia di
associazione armata, nonché Sez. 5, n. 52094 del 30/09/2014, dep.
15/12/2014, Spadaro Tracuzzi, Rv. 261334, concernente l’illecito finanziamento
di attività economiche).
Ne consegue che esse sono ascrivibili a ciascuno dei componenti del sodalizio
mafioso, non essendo necessario che il singolo associato si interessi

cui i partecipi dell’associazione mafiosa intendano assumere o mantenere il
controllo o che l’uso delle armi riguardi specificamente l’associato o il
concorrente esterno (Sez. 1, n. 4375 del 25/06/1996, Trupiano, Rv. 205497),
essendo, invece, sufficiente che gli associati siano stati a conoscenza
dell’avvenuto reimpiego di profitti delittuosi ovvero l’abbiano ignorato per colpa o
per errore determinato da colpa (Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, dep.
13/06/2014, Iavarazzo, Rv. 259589; Sez. 5, n. 12251 del 25/01/2012, Monti,
Rv. 252172; Sez. 6, n. 6547/2012 del 10/10/2011, dep. 17/02/2012, Panzeca e
altri, Rv. 252114; Sez. 6, n. 42385 del 15/10/2009, Ganci, Rv. 244904).
4.1. Ora, con riferimento all’aggravante prevista dal comma 4, sotto un
primo profilo si censura che la presenza di armi possa essere fondata sul
“notorio”, ovvero sulla notoria disponibilità di armi da parte dell’associazione
mafiosa di cui l’indagato si ritiene faccia parte.
In proposito, osserva il Collegio che,ove anche non si condivida il rigoroso
orientamento secondo cui l’associazione mafiosa Cosa nostra avrebbe carattere
notoriamente armato, l’ordinanza genetica ha specificamente indicato i concreti
elementi di fatto sulla base dei quali può ritenersi sussistente, al di là del
richiamo al “fatto notorio”, l’aggravante in esame, ovvero: la disponibilità, in
capo a Vito Vincenzo RALLO, Vincenzo e Alessandro D’AGUANNO, di armi comuni
da sparo, da tenere a disposizione per la commissione di eventuali azioni
omicidiarie che si fossero rese indispensabili al consolidamento e al
rafforzamento del sodalizio criminoso (v. pag. 474 del provvedimento
applicativo). Dunque, l’ordinanza genetica ha individuato gli specifici elementi
indiziari in ordine alla disponibilità di armi da parte di diversi soggetti
appartenenti alla consorteria. E dal momento che Ignazio LOMBARDO ricopriva,
all’interno del sodalizio, un ruolo di vertice, di vero e proprio reggente (dapprima
di Antonino BONAFEDE e successivamente di Vito Vincenzo RALLO) deve ritenersi
dimostrato, sia pure nei limiti della natura cautelare dell’accertamento, che
LOMBARDO fosse a conoscenza del carattere armato dell’associazione,
rettificandosi in questi termini parziali la motivazione del provvedimento
impugnato ai sensi dell’art. 619, comma 1, cod. proc. pen..
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personalmente di finanziare, con i proventi dei delitti, le attività economiche, di

4.2. Quanto alla ulteriore aggravante, contemplata dal comma 6 dell’art.
416-bis cod. pen., va innanzitutto osservato che secondo l’indirizzo qui
condiviso, ai fini della configurabilità della stessa “occorre, in primo luogo, una
particolare dimensione dell’attività economica, nel senso che essa va identificata
non in singole operazioni commerciali o nello svolgimento di attività di gestione
di singoli esercizi, ma nell’intervento in strutture produttive dirette a prevalere,
nel territorio di insediamento, sulle altre strutture che offrano gli stessi beni o
servizi” (così Sez. 5, n. 12251 del 25/01/2012, dep. 2/04/2012, Monti e altri, Rv.
252172). Inoltre, è necessario che l’apporto di capitale corrisponda a un

reinvestimento delle utilità procurate dalle azioni criminose, essendo proprio
questa spirale sinergica di azioni delittuose e di intenti antisociali a richiedere un
più efficace intervento repressivo.
Tanto premesso, osserva il Collegio che non coglie nel segno l’affermazione
secondo la quale non sarebbe stato dimostrato in alcun modo l’interessamento
dell’indagato verso il controllo di attività economiche finanziate con risorse
provenienti da reato. Infatti, il carattere oggettivo della circostanza rende
irrilevante, per le ragioni già esposte, tale deduzione. E non può non rilevarsi
come le due ordinanze riportino, in numerosi passaggi, specifici riferimenti in
ordine al controllo, da parte dell’associazione, di attività economiche finanziate
con risorse provenienti da reati alla stessa riferibili (si vedano, in particolare, le
intercettazioni relative alle numerose conversazioni intrattenute da Vincenzo
D’AGUANNO, sia con Michele LOMBARDO che, soprattutto, con Fabrizio VINCI).
5. Quanto, infine, alle doglianze espresse in tema di esigenze cautelari,
osserva il Collegio che a mente dell’art. 275, comma 3, secondo e terzo periodo
cod. proc. pen., nel caso in cui a carico dell’indagato siano stati ritenuti
sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto di cui all’art. 416bis cod. proc. pen. “è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano
acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”. Detta
disciplina deve essere armonizzata con la novella n. 47 del 2015, che ora
richiede, secondo la nuova formulazione dell’art. 274, lett. c) cod. proc. pen.,
l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione dei reati. Ne consegue che,
secondo la previsione dell’art. 292, comma 2, lett. c) cod. proc. pen., l’interprete
deve valorizzare quegli elementi che, oggetto di deduzione difensiva o comunque
contenuti in atti, siano in modo conducente idonei a revocare in dubbio la
ripetibilità del contributo causale offerto dall’indagato e quindi la sua pericolosità,
altrimenti presunta dalla norma (Sez. 6, n. 42630 del 18/09/2015, P.g. in proc.
Tortora, Rv. 264984; Sez. 4, n. 20987 del 27/01/2016, P.M. in proc. C., Rv.
266962; Sez. 6, n. 12669 del 2/03/2016, Mamone, Rv. 266784; Sez. 5, n.
36569 del 19/07/2016, Cosentino, Rv. 267995; Sez. 5, n. 52628 del
23/09/2016, Gallo, Rv. 268727).

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i
I

Nel caso di specie, tuttavia, il ricorrente non ha dedotto alcun concreto
elemento idoneo a superare la presunzione relativa stabilita dalla richiamata
norma processuale, limitandosi ad affermare il principio, qui peraltro condiviso,
secondo cui la presunzione può essere in concreto sovvertita dalla acquisizione di
specifick circostanze di fatto in grado di attestare l’assenza di una concreta
pericolosità dell’indagato.
Ne consegue, pertanto, la evidente aspecificità della relativa doglianza, che
ha omesso di confrontarsi con la necessità, esplicitata nell’ordinanza impugnata,

cristallizzato dalla menzionata disposizione. Fermo restando che, in ogni caso,
l’ordinanza ha motivato anche in ordine alla sussistenza del pericolo di fuga
(richiamando l’esistenza di un apparato organizzativo del sodalizio certamente in
grado di gestire la latitanza degli associati) e di inquinamento probatorio (in
relazione alla capacità di condizionare, grazie alla forza intimidatrice promanante
dal gruppo criminale, il procedimento di acquisizione della prova), laddove il
ricorso nulla ha dedotto in proposito.
6. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere
rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del
provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94,
comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 25/01/2018

Il Consig

re estensore

Il Presidente

di acquisire concreti elementi di fatto in grado di superare il giudizio prognostico

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