Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21085 del 06/04/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 21085 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: RANALDI ALESSANDRO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI DOMENICO COSIMO nato il 09/05/1979 a NAPOLI

avverso l’ordinanza del 29/12/2017 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO RANALDI;
1-QU-e/sentite le conclusioni del PG FRANCA ZACCO che conclude per
l’inammissibilita del ricorso.
E’ presente l’avvocato MUSCARIELLO MARIO del foro di NAPOLI, che deposita
nomina a sostituto processuale dell’avv. ABET ANTONIO del foro di NAPOLI
difensore di DI DOMENICO COSIMO.
L’avvocato riportandosi ai motivi di ricorso ne chiede l’accoglimento.

Data Udienza: 06/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 29.12.2017 (depositata il 22.1.2018), il Tribunale di
Napoli ha confermato il provvedimento del G.I.P. che ha disposto la misura della
custodia cautelare in carcere nei confronti di Cosimo Di Domenico in relazione ai
reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 309/90.

2. Ricorre per cassazione l’indagato, a mezzo del difensore, lamentando (in

segue.
I) Violazione di legge e vizio di motivazione per assenza della gravità
indiziaria in relazione alle chiamate in reità dei collaboratori di giustizia Troia e
Grandulli.
Deduce che la motivazione è carente laddove trascura che Maria Grandulli,
compagna convivente di Alfredo Troia, non riconosca in foto il Di Domenico, e
che solo dopo esserle stata palesata l’identità del soggetto in foto affermi
genericamente di sapere che questo «spacci cocaina per Troia Francesco».
Lamenta che non sussista la sovrapponibilità delle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, salvo che per un unico episodio, nel quale sarebbe
coinvolto il fratello del Troia, riferito nell’interrogatorio del 11.4.2014.
II) Vizio di motivazione in ordine alla contestazione della fattispecie di cui al
primo comma dell’art. 74 d.P.R. 309/90.
Lamenta la carenza di motivazione in ordine al ruolo di promotore
dell’associazione attribuito al ricorrente, limitandosi il Tribunale a richiamare
stralci delle dichiarazioni rese dai collaboratori, senza vagliarne la credibilità e

senza indicare fatti specifici a supporto.
III) Violazione di legge e vizio di motivazione per erronea applicazione della
circostanza aggravante ex art. 7 d.l. 152/91 (conv. I. 203/91).
Lamenta la carenza di motivazione in ordine alla prova che le condotte del
Di Domenico siano caratterizzate dalla metodologia mafiosa atta a giustificare
l’applicazione dell’aggravante in parola.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi dedotti in ricorso sono ai limiti della inammissibilità in quanto
svolgono – peraltro in maniera generica – prevalentemente censure in fatto,
pretendendo dalla Corte di cassazione una rivisitazione completa del compendio
indiziario, nel senso di escludere il coinvolgimento del Di Domenico nei fatti

7Z
/

sintesi giusta il disposto di cui all’art.173, comma 1, disp. att. c.p.p.) quanto

illeciti oggetto di contestazione provvisoria, su cui si fonda l’ordinanza cautelare
impugnata.
Si deve, invece, qui ribadire che nel nostro sistema processuale la Suprema
Corte non è chiamata ad interpretare a sua volta, sulla base delle critiche
avanzate in ricorso, il significato delle prove o degli indizi processualmente
emersi, al fine di stabilire quale sia la migliore e più affidabile ricostruzione dei
fatti penalmente rilevanti. Ciò porrebbe la Cassazione in una posizione
equivalente a quella di un giudice di merito superiore o di terza istanza, estranea

a valutare la correttezza giuridica e motivazionale dei provvedimenti oggetto di
ricorso, secondo le direttive delineate dall’art. 606 cod. proc. pen.

2. Invero, le censure del ricorrente cercano principalmente di evidenziare,
deducendo essenzialmente dei vizi motivazionali, che nei confronti del Di
Domenico non ricorrerebbe quella gravità indiziaria necessaria per giustificare la
legittimità della misura cautelare.
Ma è bene ribadire che in tema di misure cautelari personali, allorché sia
denunciato, con ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento
emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, alla Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione
alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono,
se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno
indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di
controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che
governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del
29/05/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 25546001).
Va, inoltre, precisato che, dal punto di vista indiziario, nella fase cautelare è
ancora sufficiente il requisito della sola gravità (articolo 273, comma 1, cod.
proc. pen.), giacché il comma 1 bis del citato art. 273 (introdotto, appunto, dalla
suddetta legge) richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2
dell’articolo 192 cod. proc. pen., che prescrive la precisione e la concordanza
accanto alla gravità degli indizi: derivandone, quindi, che gli indizi, ai fini delle
misure cautelari, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti
per il giudizio di merito dall’articolo 192, comma 2, cod. proc. pen., e cioè con i
requisiti della gravità, della precisione e della concordanza (Sez. 4, n. 6660 del
24/01/2017, Pugiotto, Rv. 269179; Sez. 4, n. 37878 del 06/07/2007, Cuccaro,
Rv. 237475).

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al ruolo che le è proprio, che è invece quello di una Corte di legittimità chiamata

3. Sotto questo profilo l’ordinanza impugnata presenta un adeguato e
corretto percorso logico-argomentativo, avendo ampiamente ed esaurientemente
dato conto dei risultati dell’indagine e del ruolo allo stato attribuibile al prevenuto
nell’indicato contesto associativo, sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori
di giustizia e dei risultati di attività di intercettazione, che non possono essere
messi in discussione in questa sede sulla base delle generiche e aspecifiche
contestazioni avanzate dalla difesa del ricorrente.
3.1. L’iter argomentativo del Tribunale napoletano è certamente congruo e

in cui evidenzia che le indagini attengono al gruppo criminale facente capo alla
famiglia Troia, operante nel territorio di San Giorgio a Cremano, ed in particolare
alla assunzione da parte dello stesso gruppo del controllo delle attività estorsive
e del mercato di stupefacenti. Dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di
giustizia Giovanni Gallo, Alfredo Troia e Maria Grandulli sono stati acquisiti
elementi di conoscenza sul funzionamento del gruppo criminale capeggiato da
Ciro Troia “Gelsomino” e gestito, in epoca successiva alla sua scomparsa, dalla
moglie Immacolata Iattarelli e dai figli Vincenzo e Francesco Troia. Uno di tali
gruppi era gestito da Cosimo Di Domenico, legato da rapporti di parentela con i
componenti della famiglia Troia, gestori del clan camorristico egemone sul
territorio ed organizzatori dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti,
come riferito da più collaboratori di giustizia, dichiarazioni riscontrate dalle
risultanze di una copiosa attività intercettiva.
3.2. Le specifiche dichiarazioni del collaboratore di giustizia Alfredo Troia sul
ruolo del Di Domenico nell’associazione, secondo cui questi «fa i passaggi di
cocaina per conto di Troia Francesco anche se fa sempre capo a Iattarelli
Immacolata» e sul fatto che era stato lo stesso Francesco Troia a pretendere che
il Di Domenico «effettuasse passaggi di droga per suo conto», hanno trovato
riscontro nei risultati dell’attività di intercettazione, i cui brani più significativi
sono stati puntualmente riportati nell’ordinanza impugnata e adeguatamente
commentati dal Tribunale.
3.3. Da tali gravi elementi indiziari si è desunto, in maniera coerente e non
manifestamente illogica, che il ricorrente è gestore e responsabile in maniera
continuativa di una piazza di spaccio, in posizione molto vicina a quella di vertice
del clan camorristico egemone, a cui gli introiti sono versati, circostanza che
rende fondata e plausibile anche la contestazione provvisoria dell’aggravante del
metodo mafioso.

privo di evidenti aporie logiche, oltre che giuridicamente corretto, nel momento

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali. Si dispone che la Cancelleria provveda ai sensi dell’art.
94 co. 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 co. 1-ter

Così deciso il 6 aprile 2018

Il Consigliere estensore
Ales

o Ranaidi

Il Presidente
Patiz’

disp. att. cod. proc. pen.

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