Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21079 del 10/05/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21079 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 10/05/2016

SENTENZA
Sul ricorso proposto rispettivamente nell’interesse di Di Mauro
Carmelo, n. a Catania il 24.02.1974 e di Giannino Marcello, n. a
Catania il 16.02.1967, entrambi rappresentati e assistiti dall’avv.
Carlo Benini, di fiducia, avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna,
in funzione di giudice del riesame, n. 1089/2015, in data 13.10.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
letta la memoria presentata in data 08.02.2016 nell’interesse di Di
Mauro Carmelo e di Giannino Marcello;
preso atto della ritualità delle notifiche e degli avvisi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Massimo
Galli che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

1

sentita la discussione del difensore, avv. Giuseppe La Spina,
comparso in sostituzione dell’avv. Carlo Benini, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 13.10.2015, il Tribunale di Bologna, in

Marcello e di Di Mauro Carmelo la misura cautelare della custodia in
carcere in relazione ai reati di cui ai capi A (rapina aggravata in
concorso), C (furto pluriaggravato), D (rapina aggravata in concorso),
F (furto pluriaggravato), G (rapina aggravata in concorso) ed I
(ricettazione aggravata in concorso) d’incolpazione (questi ultimi due
capi nei confronti del solo Di Mauro), misura cautelare disposta dal
giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ravenna in
data 14.09.2014.
2. Avverso detta ordinanza, nell’interesse di Giannino Marcello e di Di
Mauro Carmelo viene proposto ricorso per cassazione per i seguenti
motivi:
– erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta
sussistenza di gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Di Mauro
Carmelo e di Giannino Marcello (primo motivo);
– insussistenza delle esigenze cautelari, carenza di motivazione circa il
giudizio di proporzionalità di cui all’art. 275 cod. proc. pen. ed
erronea applicazione dell’art. 275 bis cod. proc. pen. (secondo
motivo).
2.1. In relazione al primo motivo, evidenziano i ricorrenti come il
compendio indiziario si basi su diverse intercettazioni telefoniche e sul
racconto dei fatti da parte delle persone offese, Barbieri Franco Lino,
Berti Giuseppe e Felloni Vittorio. Nell’ordinanza impugnata sono
indicate le celle telefoniche a cui si sono attaccati i cellulari sottoposti
ad intercettazione, ma nessuna di esse corrisponde ai luoghi in cui
sono avvenute le rapine; inoltre, non sono state rinvenute tracce
biologiche dei due indagati sulle autovetture rubate e nelle date delle
due rapine (30.06.14 e 21.07.14); il Di Mauro si era presentato
presso i carabinieri per ottemperare al suo obbligo di firma; infine, va
sottolineato come le persone offese abbiano dichiarato che i

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funzione di giudice del riesame, confermava nei confronti di Giannino

malfattori erano muniti di passamontagna ed hanno usato una
pistola, ma non hanno riconosciuto i due indagati ma solo parte dei
gioielli rivenuti in loro possesso in data 01.07.2014 a seguito di
perquisizione da parte delle forze dell’ordine.
2.2. In relazione al secondo motivo, si censura l’erroneità della
decisione del Tribunale che ha ritenuto come l’unica misura idonea a
fronteggiare il pericolo di reiterazione fosse la custodia in carcere,

braccialetto elettronico da parte dell’Amministrazione: indisponibilità
che non poteva ridondare a carico degli indagati nei cui confronti il
Tribunale non aveva comunque tenuto nella giusta considerazione il
loro ineccepibile comportamento processuale e la loro regolare
condizione di vita.
4. Con i motivi aggiunti presentati nei termini di legge, la difesa del
Di Mauro lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva ai
sensi dell’art. 606, lett. d) cod. proc. pen. a sostegno
dell’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti del
succitato Di Mauro Carmelo.
4.1. In particolare, si ribadisce la censura in ordine alla mancata
considerazione da parte dei giudici di merito della circostanza
rappresentata dal fatto che, nei giorni in cui sono stati commessi i
reati di cui ai capi A, C, D ed F, ossia il 30.06.2014 (i primi due) ed il
21.07.2014 (il terzo ed il quarto), il Di Mauro si era recato presso la
caserma dei carabinieri di Fusignano (RA) per ottemperare al suo
obbligo di firma, come si desume dalla relazione redatta dal Nucleo
Investigativo della Legione Carabinieri Emilia Romagna Comando
Provinciale di Ravenna in data 26.10.2015.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, propositivo – almeno in parte – di censure in fatto,
appare manifestamente infondato e, come tale, risulta inammissibile.
2. È anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di
sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti
adottati dal giudice del riesame e/o dell’appello sulla libertà
personale.
2.1. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide

/f)

anche in considerazione del fatto che vi era indisponibilità del c.d.

e reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative che hanno
interessato l’art. 606 cod. proc. pen. (cui l’art. 311 cod. proc. pen.
implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari personali, allorché
sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta
il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio

di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito
abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad
affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato,
controllando la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai
principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
probatorie. Si è anche precisato che la richiesta di riesame – mezzo di
impugnazione, sia pure atipico – ha la specifica funzione di sottoporre
a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti
formali indicati nell’art. 292 cod. proc. pen., ed ai presupposti ai quali
è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo: ciò
premesso, si è evidenziato che la motivazione della decisione del
Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere
conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo
di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari
dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su
prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della
responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza
(Sez. U, sent. n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; conforme,
dopo la novella dell’art. 606 cod. proc. pen., Sez. 4, sent. n. 22500
del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012).
2.2. Si è successivamente osservato, sempre in tema di
impugnazione delle misure cautelari personali, che il ricorso per
cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di
specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della
motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i
principi di diritto, ma non anche quando propone censure che
riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 5,
sent. n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997; Sez. 6, sent. n.

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11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).
Il provvedimento impugnato appare, sotto tutti i profili di doglianza
denunciati, congruo e privo di qualsivoglia vizio logico-giuridico.
3. Manifestamente infondato oltre che evocativo di mere censure in
fatto è il primo motivo di ricorso. Lo stesso, invero, è manifestamente
infondato, nella parte in cui contesta l’esistenza di un apparato
giustificativo della decisione, che invece esiste; non consentito, nella

parte in cui pretende di valutare, o rivalutare, gli elementi probatori
al fine di trarre proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice
del merito chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che
non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Suprema Corte quello
di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di
merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali. E le censure proposte
tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei
fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal
giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e
giuridici, ha esplicitato, in modo estremamente analitico (v. pagg. 516 del provvedimento impugnato) le ragioni del proprio
convincimento.
In conclusione, pertanto, le esaustive argomentazioni spese dal
Tribunale del riesame consentono di superare ampiamente i rilievi
difensivi ed inducono a confermare il giudizio in ordine alla ricorrenza
di una ben precisa gravità indiziaria a carico dei ricorrenti.
4. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto che l’accertata indisponibilità dei
c.d. braccialetti elettronici impediva l’adozione della misura degli
arresti domiciliari aggravati dal presidio in questione, con
conseguente ineludibilità della misura cautelare massima.
Come è noto, la Suprema Corte, investita nel suo più alto consesso,
della questione se il giudice, richiesto di provvedere sull’istanza di
sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere,
ritenendo che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con gli
arresti domiciliari con prescrizione dell’adozione del “braccialetto
elettronico”, debba respingere la richiesta di sostituzione della misura

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cautelare in carcere a causa dell’accertata indisponibilità di tale
dispositivo elettronico, ovvero applicare la misura degli arresti
domiciliari, con pronuncia resa all’esito della camera di consiglio del
28.04.2016 (Pres. Canzio, Rel. Piccialli, Ric. Lovisi) ha statuito – come
si legge nell’edita informazione provvisoria – che “il giudice, escluso
ogni automatismo nei criteri di scelta delle misure, qualora abbia
accertato l’indisponibilità del suddetto dispositivo elettronico, deve

valutare, ai fini dell’applicazione o della sostituzione della misura
coercitiva, la specifica idoneità, adeguatezza e proporzionalità di
ciascuna di esse in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel
caso concreto”.
Fermo quanto precede, rileva il Collegio come il Tribunale abbia
compiuto – in termini del tutto esaustivi – detta valutazione che ha
portato alla corretta individuazione della misura cautelare massima
come indispensabile da un lato e rispettosa dei criteri di adeguatezza
e di proporzionalità dall’altro, riconoscendo come “… a fronte di un
quadro cautelare e personologico tanto allarmante, gli arresti
domiciliari “ordinari”, anche se accompagnati dal divieto di
comunicazione, non possono stimarsi adeguati a scongiurare il rischio
di recidiva, in quanto implicano, nella loro natura prescritti va, una
felice sinergia fra la coercizione e un elevato livello di autodisciplina,
di cui non può darsi credito ai prevenuti. Invero, il Giannino e il Di
Mauro sono soggetti caratterizzati da una spiccata capacità a
delinquere (così come … portata in luce e valutata sulla base della
gravità complessiva del fatto e della loro personalità), che non si
presta ad essere neutralizzata mediante un regime di vigilanza
discontinuo quale è quello proprio del presidio di cui all’art. 284 cod.
proc. pen. … ; … non può dubitarsi che i medesimi siano dotati della
spregiudicatezza necessaria per approfittare degli intervalli fra un
controllo di polizia e i successivi onde reiterare condotte della stessa
specie di quelle per cui si procede … Infine non può sostenersi che la
misura di massimo grado non sia proporzionata alla gravità dei fatti e
alla pena che verrà presumibilmente irrogata in caso di condanna;
invero nella loro fisionomia oggettiva … (più rapine consumate e
tentate e relativi reati preparatori, perpetrati da più persone riunite
con modalità estremamente violente e denotanti professionalità) la
vicenda in esame … si connota di disvalore decisamente acuto, come

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tale ampiamente giustificativo, in termini di proporzione ex art. 275,
comma 2 cod. proc. proc., della misura cautelare carceraria …”.
5. Manifestamente infondato è anche il motivo aggiunto.
Come si è detto, si censura la mancata assunzione di una prova
decisiva ai sensi dell’art. 606, lett. d) cod. proc. pen. a sostegno
dell’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti del
succitato Di Mauro Carmelo, e segnatamente dell’omessa

giorni in cui sono stati commessi i reati di cui ai capi A, C, D ed F,
ossia il 30.06.2014 (i primi due) ed il 21.07.2014 (il terzo ed il
quarto), il Di Mauro si era recato presso la caserma dei carabinieri di
Fusignano (RA) per ottemperare al suo obbligo di firma, come si
desume dalla relazione redatta dal Nucleo Investigativo della Legione
Carabinieri Emilia Romagna Comando Provinciale di Ravenna in data
26.10.2015.
Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità,
deve ritenersi “decisiva”, secondo la previsione dell’art. 606 lett. d)
cod. proc. pen., la prova che, confrontata con le argomentazioni
contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove
esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia;
ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia il provvedimento
impugnato intaccandone la struttura portante (cfr., Sez. 4, sent. n.
6783 del 23/01/2014, dep. 12/02/2014, Di Meglio, Rv. 259323).
Nella fattispecie, il ricorrente non ha dimostrato la “decisività” del
dato probatorio non considerato dai giudicanti, senza peraltro riuscire
in alcun modo a dimostrare, anche solo attraverso un principio di
prova che, sotto il profilo logistico-temporale, la realizzazione di
talune condotte di reato da parte del Di Mauro fosse assolutamente
inconciliabile con la sua concomitante presenza presso una caserma
dei carabinieri per ottemperare all’obbligo di firma; il ricorrente,
infatti, limitandosi ad evidenziare la sola coincidenza delle date,
attraverso l’evocazione di un dubbio che non può ritenersi ragionevole
e che, anche in considerazione della fase processuale, deve ritenersi
inidoneo a smontare il dato della gravità indiziaria, ha introdotto
niente più che una mera ed astratta congettura (che non poteva
certamente indurre il Tribunale a verificarne la fondatezza in ragione
dell’impossibilità per lo stesso di disporre incombenti istruttori), di per

I

considerazione della circostanza rappresentata dal fatto che, nei

sé inidonea a rivestire il carattere della decisività.
6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si
determina equitativamente in euro 1.500,00 per ciascuno.
Si provveda ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro
1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Si provveda ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc.
pen..
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 10.5.2016

pen.

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