Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21068 del 22/03/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 21068 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: NARDIN MAURA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MORRA ROCCO nato il 25/08/1969 a FOGGIA

avverso l’ordinanza del 30/06/2017 della CORTE APPELLO di VENEZIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere MAURA NARDIN;
lette/sentite-le conclusioni del PG

Data Udienza: 22/03/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 30 giugno 2017, la Corte di Appello di Venezia ha
rigettato la domanda formulata Rocco Morra per la liquidazione dell’equa
riparazione dovuta ad ingiusta detenzione in custodia cautelare in carcere.
1.

L’ordinanza ha ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo di cui

all’art. 314, comma 1″ per avere l’interessato tenuto molteplici e costanti
contatti telefonici con Ervin Dakoli e Bruno Derro, utilizzando un linguaggio
criptico, così esponendosi al rischio di essere coinvolto nell’indagine rispetto ad
attività di spaccio, effettivamente gestito da altri,

pur essendo, secondo il

coinvolto in episodi diversi da quelli oggetto del giudizio. L’elemento soggettivo
viene individuato dall’ordinanza nella condotta consapevole e volontaria “tale da
creare, nelle condizioni rilevanti all’atto di esercizio del potere situazioni
legittimanti il doveroso intervento dell’autorità giudiziaria”. In particolare, si
osserva che il Morra, avvalendosi della facoltà di non rispondere impedì di dare
un diverso significato alla corrispondenza telefonica che ne comprometteva la
posizione, inoltre egli frequentava, all’epoca dei fatti, lo stesso ambiente degli
indagati sottoposti a custodia cautelare.
2.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del suo

difensore, Rocco Morra affidandolo ad un unico motivo, con cui lamenta il ex art.
606 comma 1^, lett.

e), che il provvedimento della Corte territoriale mal

interpretando la norma che stabilisce i presupposti per l’equa riparazione abbia
ritenuto configurabile non solo la colpa grave, ma sinanco il dolo dell’interessato,
affermando che egli avrebbe posto in essere un comportamento per essere
“volontariamente” posto in custodia cautelare. Osserva che contrariamente a
quanto affermato con l’ordinanza, che attribuisce al Morra fatti di spaccio di
stupefacenti, diversi da quelli oggetto del giudizio, nessuna condanna è
intervenuta nei suoi confronti e che l’essersi avvalso della facoltà di non
rispondere non può costituire colpa grave, anche perché il medesimo, dopo
avere esercitato il suo diritto al silenzio in sede di interrogatorio di garanzia, ha
chiesto di essere sottoposto ad esame dal pubblico ministero ed ha prodotto un
memoriale scritto, nel quale oltre a proclamare l’estraneità ai fatti, forniva
spiegazione alternativa dell’intera vicenda.
3.

Con requisitoria scritta il Procuratore generale presso la Corte di

Cassazione ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il ricorso è infondato.

2.

Va premesso che la cognizione della Corte di cassazione

nei

procedimenti per il riconoscimento dell’equo indennizzo a seguito di ingiusta
detenzione è limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, anche
2

contenuto delle intercettazioni di cui si dà conto nella sentenza di assoluzione,

sotto l’aspetto della congruità e logicità della motivazione. Ai sensi dell’art. 646,
comma terzo cod. proc. pen., richiamato, dall’art. 315 ultimo comma cod. proc.
pen., infatti, l’unico rimedio avverso il provvedimento della Corte di Appello, che
pronuncia in unico grado, è il ricorso per cassazione, nei limiti previsti dall’art.
606 cod. proc. pen., non essendo previsto alcun ampliamento dei motivi di
impugnazione con specifico riferimento al procedimento per l’equa riparazione
(cfr.

ex multis,

Sez. 4, n. 542 del 21/4/1994, Bollato, Rv. 198097, che,

affermando tale principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso
ordinanza del giudice di merito in materia, col quale non si deduceva violazione

attribuzione di equa somma da parte della Corte).
3.

Elemento connotante il giudizio per la riparazione dell’ingiusta

detenzione è la totale autonomia rispetto al giudizio penale, perché lo scopo è
quello di valutare l’idoneità del quadro probatorio a trarre in inganno il giudice in
relazione alla sussistenza dei presupposti dell’adozione di una misura cautelare,
unitamente ed in forza di una condotta gravemente negligente od imprudente
dell’imputato, che abbia così colposamente indotto quello che l’esito assolutorio
nel merito, dimostrerà essere stato un errore.
4.

L’esame della condotta dell’imputato – che il sede di merito risulterà

non integrare il reato- prima e dopo la perdita della libertà personale e più in
generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un
procedimento a suo carico, dovrà essere valutata ex ante (Sez. Unite, n. 32383
del 27.5.2010, D’Ambrosio, rv. 247664), per verificare se essa abbia costituito
nel rapporto di causa- effetto,

pur in presenza di un errore dell’autorità

procedente, il presupposto della falsa apparenza dell’illecito penale (cfr. anche la
precedente Sez. Un. 26.6.2002, Di Benedictis).
5.

Assumono, dunque, rilievo al fine della configurabilità della condotta

impeditiva del diritto al riconoscimento dell’equa riparazione sia i comportamenti
di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza) sia

di tipo

processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi),
che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione (cfr. sul punto questa
sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, Guadagno, rv. 226004).
6.

In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato

che, in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve
intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del
diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non
solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei
suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge,
ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del
procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidit”

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di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza di diretta

secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una
situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a
tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del
13.12.1995 dep. il 9.2.1996, Sarnataro ed altri, rv. 203637
7.

Mentre rientra nella nozione di colpa ostativa al riconoscimento del

diritto alla riparazione, secondo la previsione dell’art. 314, comma 1^, cod.
proc. pen., anche la condotta tesa ad altri risultati che, tuttavia, ponga in essere,
per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza
di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una

sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o
nella mancata revoca di uno già emesso (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep.
09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 20363701; Sez. 4, n. 43302 del 23.10.2008,
Maisano, rv. 242034).
8.

Ai fini della sussistenza del diritto all’indennizzo, nondimeno, secondo

le Sezioni Unite della Corte può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore
giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra
custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed
eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della
libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia
dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente
colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la
propria funzione riparatoria, dissolvendo la “ratio” solidaristica che è alla base
dell’istituto. (così Sez. Unite, n. 51779 del 28.11.2013, Nicosia, rv. 257606).
9.

Fatte queste premesse i fini dell’inquadramento generale dell’istituto

occorre rilevare, per la risoluzione del caso di specie, che la contiguità fra il
Morra e l’ambiente nel quale è maturato il delitto di spaccio di stupefacenti,
emergenti anche dal linguaggio equivoco – e certamente equivocabile- delle
conversazioni telefoniche con i coimputati sono elementi idonei a determinare un
quadro probatorio ingannevole giustificante l’adozione la misura nei suoi
confronti. Che la condotta costituisca causa sinergica del provvedimento di
custodia emerge proprio dall’ambiguità della condotta del Morra. Il fatto che
l’ordinanza della Corte territoriale faccia, nella parte introduttiva, riferimento ad
una condotta “consapevole e volontaria” non muta il quadro, anche perché
successivamente è chiarissimo il riferimento alla colpa grave, sicché la
consapevolezza e la volontarietà vanno riferite al comportamento ambiguo
tenuto dal Morra e non certo alla sua volontà di essere sottoposto a misura
cautelare, come suggestivamente ritenuto dal ricorrente.
10. Il ragionamento contenuto nella motivazione della Corte territoriale che
ha negato l’equo indennizzo pare, dunque, del tutto incesurabile sotto il logico e
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non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si

valutativo.
11. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del pagamento alle spese
processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero delle
Finanze che liquida nella misura di euro mille
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dall’Amministrazione in questo
giudizio di legittimità liquidate in euro mille

l

Il Co sigliere
i
est.
Maura Nardin

Il Presidente
Patri

Pi cialli

Cosi deciso il 22/03/2017

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