Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21066 del 08/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21066 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

CAMPANALE LEONARDO, nato a Bari il 07/09/1970;

avverso l’ordinanza n. 1004/2015 del TRIBUNALE del RIESAME di BARI,
del 07/08/2015

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Luciano Imperiali;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Mario Maria Stefano Pinelli,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

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Data Udienza: 08/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1.

Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bari con ordinanza in data

24/06/2015 disponeva applicarsi nei confronti di Campanale Leonardo la misura coercitiva
della custodia cautelare in carcere in relazione in relazione al delitto di cui agli artt. 112 comma
1 n. 4, 416 bis commi 1, 2, 3, 4, 5 e 8 cod. pen. per aver preso parte ad un’associazione di
stampo camorristico-mafioso denominata clan Strisciuglio (capo A) e del reato di cui agli artt.
73, 74 commi 1, 2, 3, 4 e 5 ed all’art. 80 D.P.R. 309/90 per aver preso parte, nella qualità di
organizzatore, insieme ad altri, ad un’associazione armata (in parte coincidente con

indefinito di reati in materia di spaccio di sostanze stupefacenti (capo B).
2.

Con ordinanza in data 7/8/2015, in parziale accoglimento dell’istanza di riesame

avanzata nell’interesse del Campanale, il Tribunale di Bari, sezione per il riesame dei
provvedimenti cautelari e personali, ha annullato la predetta ordinanza limitatamente al reato
sopraindicato con il capo B), confermando nel resto l’ordinanza impugnata, ivi compresa la
misura applicata.
3. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso per Cassazione il Campanale, a mezzo del
difensore, chiedendone l’annullamento e deducendo a tal fine la violazione dell’art. 606 lett. c)
ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192 commi 3 e 4 cod. proc. pen. e 125 cod. proc.
pen.: assume il ricorrente che l’ordinanza impugnata si fonderebbe esclusivamente sulle
chiamate in correità – o in reità – di sei collaboratori di giustizia (Valerio Vito, Amoroso
Giovanni, De Felice Vito, Laraspata Lorenzo, Genchi Cosimo ed Armenise Sebastiano) e sulle
dichiarazioni accusatorie di un testimone di giustizia (Valentino Giovanna), in forza delle quali il
Tribunale del riesame ha attribuito al ricorrente la qualifica di “referente” del clan Strisciuglio
nel quartiere San Girolamo di Bari, così aderendo alle conclusioni del G.I.P., che lo aveva
indicato come “reggente” di tale articolazione del clan, ruolo più elevato di quello di mero
“affiliato”, indicato nel capo di incolpazione provvisoria. Soprattutto, però, assume il ricorrente
che le chiamate in correità o in reità poste a sostegno dell’ordinanza non possono integrare
gravi indizi di colpevolezza perché, quando sono precise e circostanziate, sarebbero prive di
riscontri esterni (anche oggettivi) e, quando sono generiche, potrebbero riguardare anche
periodi antecedenti a quello in contestazione e in ordine ai quali sono già intervenute condanne
definitive. Il ricorso, infine, deduce l’illogicità dell’indicazione del recente arresto del Campanale
per detenzione e porto illegale di armi quale riscontro alle propalazioni dei collaboratori di
giustizia, atteso che in quella sede gli era stata contestata (ma poi esclusa dal Tribunale del
riesame) l’aggravante dell’art. 7 I. 203/1991 solo con riferimento al cd. metodo mafioso, che
non implica necessariamente l’appartenenza ad un sodalizio mafioso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato, in quanto nell’ordinanza impugnata viene dato conto delle
dichiarazioni di una pluralità di collaboratori di giustizia e di quelle di un testimone di giustizia,
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l’associazione mafiosa di cui al capo precedente) finalizzata alla commissione di un numero

Valentino Giovanna, tutte tra loro convergenti nell’indicare il Campanale come esponente di
rilievo del sodalizio criminale di stampo camorristico-mafioso denominato clan Strisciuglio.
In proposito va ricordato che, in tema di misure cautelari personali, il controllo di
legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo
di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui
presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni
giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti,

argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6 n. 2146 del
25.05.1995, Tontoli, Rv. 201840; sez. 6 n. 3529 del 12.11.1998, Sabatini, Rv. 212565; sez. 3
n. 40873 del 21.10.2010, Merja, Rv. 248698; sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760; sez.
Feriale n. 47748 del 11.8.2014, Contarini, Rv. 261400). Nel caso di specie, Il Tribunale ha
congruamente e logicamente motivato in ordine alle ragioni che inducono a ritenere le predette
dichiarazioni idonee ad integrare il requisito della gravità indiziaria a carico del ricorrente.
Nell’ordinanza impugnata viene dato atto che il collaboratore di giustizia Vito Valerio ha
riferito di un episodio – il tentato omicidio di X. Nicola su ordine del ricorrente Campanale
– che lo stesso provvedimento riconosce collocarsi in periodo precedente a quello in
contestazione, ma rileva anche trattarsi di episodio che ha dato l’avvio al durissimo contrasto
tra il gruppo del X. e quello del Campanale, con esiti nefasti quali l’omicidio del predetto
X. Nicola e quello del padre del ricorrente, e che in questo contesto il Valerio ha riferito
anche che il Campanale da allora fino ad oggi avrebbe agito nel quartiere San Girolamo di Bari
in nome e per conto del clan Strisciuglio.
L’ordinanza riferisce, poi, delle dichiarazioni di altro collaboratore, Amoruso Giovanni ;
significative dell’appartenenza del ricorrente al clan Strisciuglio, laddove il predetto ha riferito
di essersi recato con un suo “superiore” dall’odierno ricorrente per chiedergli la restituzione di
tre pistole precedentemente cedutegli, delle quali anche altri sodali avevano invano sollecitato
la restituzione, atteso che il Campanale non intendeva privarsi delle armi per poterne far uso
nel conflitto con i X.: l’ordinanza, rilevando che il collaboratore è entrato a far parte del
clan nel 2011, ha rilevato che l’episodio si colloca pienamente nel periodo in contestazione.
Il provvedimento impugnato, inoltre, non manca dì riconoscere il carattere sintetico delle
affermazioni dei collaboratori De Felice Vioto e Laraspata Lorenzo, laddove questi hanno
indicato il Campanale come collocato in una posizione di referente del clan Strìsciuglio nel
quartiere San Girolamo di Bari, e sottolinea, invece, la rilevanza delle dichiarazioni di Genchi
Vito, laddove questo non solo ha descritto il clima teso nel quartiere San Girolamo a causa del
conflitto in corso, ma ha anche riferito di un episodio specifico verificatosi nel 2012, allorché il
Campanale aveva contestato a tale Pappagallo Giacomo, affiliato al clan Di Cosola, un
avvicinamento al gruppo di X. Umberto con il quale era in guerra, con conseguente
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risultanti “prima facie” dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle

incontro tra appartenenti ai due clan, Di Cosola e Strisciuglìo, per dirimere la questione, in
realtà senza esiti, atteso che il Pappagallo scelse comunque di stare dalla parte del X.,
tanto da partecipare successivamente all’agguato mortale ai danni del padre dell’odierno
ricorrente.
L’ordinanza impugnata riferisce, ancora, delle dichiarazioni di Armenise Sebastiano in
ordine al dominio esercitato dal Campanale nel quartiere di San Girolamo a nome del clan
Strisciuglio, tanto da imporre allo stesso Armenise di non agire nella zona nel settore degli

collocano anch’esse il Campanale nel clan Strisciuglio, sottolineando la sete di vendetta del
ricorrente a seguito dell’omicidio del padre.
Si tratta di dichiarazioni la cui attendibilità è stata riconosciuta dal Tribunale del riesame
dille in considerazione della provenienza da soggetti schierati anche in posizione avversa al
Campanale, così offrendo diverse visioni prospettiche, comunque convergenti nell’indicazione
del ricorrente quale elemento di spicco del clan Strisciuglio e ben idonee, pertanto, a
riscontrarsi anche reciprocamente. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, in
tema dì chiamata in correità, i riscontri dei quali necessita la narrazione possono essere
costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione
che sia indipendente e, quindi, anche da altre chiamate in correità, purché la conoscenza del
fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, ed a
condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioè riguardare non soltanto il fattoreato, ma anche la riferibilità dello stesso all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri
abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perché, in caso contrario, la chiamata non
avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla
chiamata di correità (sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Rv. 260607), né appare determinante
che le diverse dichiarazioni accusatorie si riferiscano ad episodi diversi che vedono coinvolto lo
stesso ricorrente, atteso che in materia di reati associativi il “thema decidendum” riguarda la
condotta di partecipazione o direzione, con stabile e volontaria compenetrazione del soggetto
nel tessuto organizzativo del sodalizio: ne consegue che le dichiarazioni dei collaboratori o
l’elemento di riscontro individualizzante non devono necessariamente riguardare singole
attività attribuite all’accusato, giacché il “fatto” da dimostrare non è il singolo comportamento
dell’associato bensì la sua appartenenza al sodalizio (sez. 2, n. 24995 del 14/5/2015, Rv.
264380). In tale contesto, peraltro, nessuna illogicità può essere attribuito al mero riferimento,
nell’ordinanza impugnata, al recente arresto del Campanale perché ritenuto responsabile di
detenzione e porto illegale di armi, trattandosi di elemento per sua natura astrattamente
idoneo a riscontrare le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e peraltro nemmeno
valorizzato nella motivazione del provvedimento impugnato che, fondata principalmente sui
riscontri reciproci delle dichiarazioni sopra menzionate, si è limitata a riferire di tale arresto
nell’esporre le argomentazioni del giudice procedente.
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stupefacenti e, infine, vengono riferite le dichiarazioni accusatorie di Valentino Giovanna, che

2. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna
dell’imputato che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si provveda a norma dell’articolo 94, comma 1 ter, delle disp. att. del cod. di proc. pen.

Così deciso nella camera di consiglio del 8 aprile 2016.

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