Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21064 del 08/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21064 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

MATIJA PAOLO, nato in Albania il 17/11/1985;

avverso l’ordinanza n. 1673/2015 del TRIBUNALE del RIESAME
di TORINO, del 21/12/2015

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Luciano Imperiali;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Mario M.Stefano Pinelli,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

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Data Udienza: 08/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza del 21/12/2015 Il Tribunale di Torino, sezione per il riesame delle

ordinanze che dispongono misure coercitive, ha confermato l’ordinanza con la quale il Giudice
per le indagini preliminari del Tribunale di Asti in data 26/11/2015 aveva disposto
l’applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere nei confronti di Matija
Paolo in relazione ai delitti di rapina aggravata, lesioni aggravate e sequestro di persona
aggravato ai danni di Dal Ben Mario Luciano, nonché in ordine al reato detenzione e porto in

2.

Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso per Cassazione il Matija chiedendone

l’annullamento e sollevando, quali motivi di impugnazione:
2.1. l’erronea applicazione dell’art. 605 cod. pen. assumendosi che la vittima sarebbe
stata privata della libertà personale solo per il tempo necessario alla consumazione del reato di
rapina, riuscendo poi a liberarsi quasi subito chiedendo l’intervento della polizia.
2.2. l’erronea applicazione degli artt. 273 e 274 cod. proc. pen., per avere il ricorrente
offerto in sede di interrogatorio di garanzia “una serie di elementi decisivi al fine di dimostrare
non solo la sua estraneità ai fatti di reato così come vengono contestati”, altresì “offrendo
importanti spunti investigativi”; contesta inoltre il ricorrente la sussistenza di un concreto
pericolo di recidiva, ed assume difettare la motivazione del provvedimento in ordine alla
possibilità di applicare la misura degli arresti domiciliari, anche con strumenti elettronici di
controllo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in quanto si discosta dai parametri dell’impugnazione di
legittimità stabiliti dall’art. 606 comma cod. proc. pen.
Giova preliminarmente ricordare i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte delle
ordinanze adottate dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale: secondo
l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla
Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende
indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle
caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari
e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo
e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del
tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto
all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a
due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto
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luogo pubblico delle armi comuni da sparo sottratte allo stesso Dal Ben.

incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative
che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 6 n. 2146 del
25.05.1995, Tontoli, Rv. 201840; sez. 6 n. 3529 del 12.11.1998, Sabatini, Rv. 212565; sez. 3
n. 40873 del 21.10.2010, Merja, Rv. 248698; sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760; sez.
Feriale n. 47748 del 11.8.2014, Contarini, Rv. 261400).
Tanto precisato, deve rilevarsi che il provvedimento impugnato non presenta i vizi
denunciati con i ricorsi, in quanto espone senza illogicità evidenti le ragioni che lo hanno

posta in essere da tre persone che, introdottesi di notte nell’abitazione della persona offesa,
dapprima lo colpivano con un martello, poi gli versavano sul volto del liquido narcotizzante,
quindi lo colpivano con calci e pugni e lo immobilizzavano legandogli mani e piedi con il cavo di
alimentazione di un ferro da stiro, e gli impedivano di urlare mettendogli in bocca un calzino.
Mentre la vittima Mario Luciano Del Ben era a terra era -steso a terra legato, poi, gli coprivano
il volto con una coperta e continuavano a minacciarlo di morte, puntandogli un coltello alla gola
ed una pistola alla tempia, minacciando altresì di dargli fuoco con un liquido infiammabile; lo
interrogavano, poi, a lungo al fine di conoscere il luogo ove egli aveva custodito il suo denaro e
le armi in suo possesso, nonché í preziosi di cui evidentemente i malviventi ritenevano
disponesse. L’azione criminosa durava alcune ore, durante le quali, mentre uno dei malviventi
rimaneva con il Dal Ben, gli altri due si aggiravano per la casa della persona offesa, alla ricerca
degli oggetti poi effettivamente asportati (armi, computer, I-pod, un orologio marca Rolex,
argenti e contanti), poi fuggendo con la vettura della vittima, lasciato per terra con le mani
legate dietro la schiena, mentre i piedi venivano liberati, lamentando l’uomo forti sofferenze
per i legami a tali arti. Riferisce ancora l’ordinanza che, dopo la fuga dei rapinatori, a stento
l’uomo riusciva a liberarsi una mano, a raggiungere il telefono ed a chiamare il 113.
1.1. Essendo stati così congruamente ricostruiti nell’ordinanza impugnata i fatti
attribuiti al Matija, deve ritenersi manifestamente infondato il primo motivo di impugnazione,
volto a sostenere l’insussistenza del reato di cui all’art. 605 cod. pen., in quanto la
giurisprudenza di questa Corte da tempo è consolidata nel ritenere che il delitto di sequestro di
persona resta assorbito dal reato di rapina aggravata a norma dell’art. 628 cod. pen., 2 cpv.,
n. 2 (reato complesso) soltanto quando la violenza usata per il sequestro si identifichi e si
esaurisca col mezzo immediato di esecuzione della rapina stessa, non quando invece ne
preceda l’attuazione con carattere di reato assolutamente autonomo anche se finalisticamente
collegato con quello successivo (rapina), ancora da porre in esecuzione, o ne segua
l’attuazione per un tempo non strettamente necessario alla consumazione della rapina e,
perciò, con carattere di condotta delittuosa autonoma, anche se finalisticamente collegata a
detto reato. Pertanto la privazione della libertà personale costituisce ipotesi aggravata del
delitto di rapina e rimane in esso assorbita solo quando la stessa si trovi in rapporto funzionale
con la esecuzione della rapina medesima, mentre nell’ipotesi in cui la privazione della libertà
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determinato e, con una ricostruzione dei fatti priva di vizi logici, riferisce dell’azione criminosa

non abbia una durata limitata al tempo strettamente necessario alla consumazione della
rapina, ma si protragga oltre tale termine temporale, il reato “de quo” concorre con il delitto di
sequestro di persona, (Sez. 2, n. 3604 dell’8/1/ 2014, Rv. 258549; sez. 2, n. 22096 del
19/5/2015, Rv. 263788). La coercizione della libertà personale, che costituisce l’elemento
materiale del delitto di sequestro di persona, inoltre, è strutturalmente configurata dal
legislatore alla stregua di fattispecie a forma libera, nel senso che per realizzare il fatto
tipizzato dall’ordinamento non si richiede necessariamente l’impiego di mezzi violenti o una
coercizione di tipo fisico, bastando anche la semplice attività di intimidazione, la quale, ove non

integrare – come nella vicenda in esame – il concorso delle due figure criminose. Nella
ricostruzione dei fatti come sopra esposti, pertanto, già la circostanza che, dopo essere stato a
lungo intimidita con gravi minacce ed efferate violenze, alla fuga dei malviventi la persona
offesa sia stata lasciata con le mani legate dietro la schiena, tanto da rendergli difficoltosa
anche soltanto la telefonata al 113, è di per sé sufficiente a rendere conto della perdita
“coattiva” della libertà personale éjé del permanere di tale status per un tempo apprezzabile
dopo l’allontanamento dei rapinatori.
1.2.

E’ inammissibile per la sua genericità anche la doglianza secondo cui il ricorrente

avrebbe offerto in sede di interrogatorio di garanzia “una serie di elementi decisivi al fine di
dimostrare non solo la sua estraneità ai fatti di reato così come vengono contestati” ed
avrebbe altresì offerto “importanti spunti investigativi”: si tratta, infatti, di motivo privo dei
requisiti prescritti dall’art. 581 comma 1 lett. c) cod. proc. pen., atteso che, a fronte di una
o r4( fta44ta.
motivazione della t~ra impugnata ampia e logicamente corretta, fondata perfino sugli esiti
delle analisi dattiloscopiche, il ricorrente non specifica in alcun modo quali siano gli elementi
che ritiene decisivi a dimostrare la sua estraneità ai fatti né quali siano gli spunti investigativi
trascurati, non consentendo, così al giudice dell’impugnazione di esercitare il suo sindacato.
Manifestamente infondate, infine, sono le contestazioni rivolte alla motivazione dell’ordinanza
impugnata in ordine al ritenuto pericolo di recidiva ed alla possibilità di applicare la misura
degli arresti domiciliari, anche con strumenti elettronici dì controllo: con ampie ed analitiche
argomentazioni, infatti, il tribunale del riesame ha desunto il concreto pericolo di recidiva dalle
gravi modalità dei fatti, dalle condizioni di vita dell’indagato e dai suoi precedenti, elementi
ritenuti convergenti nell’indicare il Matija come inserito stabilmente in un contesto
delinquenziale dedito con continuità e professionalità alla commissione di reati contro il
patrimonio, con comprovati contatti con altri suoi connazionali dediti agli stessi reati.
L’ordinanza, sul punto, menziona anche episodi che hanno visto il ricorrente sorpreso su
autovettura di provenienza furtiva, ed in possesso di passamontagna costruiti con calze di
nylon e di arnesi atti allo scasso, ed altro in occasione del quale è stato arrestato per i reati di
cui agli artt. 624 bis, 61 n. 5, 625 nn. 2 e 5 cod. pen., ed ha fondato sul curriculum criminale
del Matija e sui suoi documentati contatti con connazionali dediti agli stessi reati la ben
argomentata valutazione di inidoneità della misura degli arresti domiciliari a prevenire ulteriori
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si esaurisca nel contesto ed allo scopo della realizzazione del delitto di rapina, ben può


recidive, esplicitando che gli strumenti elettronici di controllo non eliminerebbero il ritenuto
pericolo che il ricorrente anche dalla sua abitazione possa reiterare contatti con terzi finalizzati
alla realizzazione di reati contro il patrimonio o anche detenere e custodire armi, pericolo
ritenuto particolarmente concreto in considerazione dell’irreperibilità dei complici e del mancato
rinvenimento delle armi sottratte alla persona offesa. Si tratta, palesemente, di ampia
motivazione che affronta specificamente i punti contestati, così rivelando la manifesta
infondatezza della censura sul punto.
2. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara

essere condannata al pagamento delle spese del procedimento e della somma di C 1.500,00 in
favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.500 alla Cassa delle Ammende.
Si provveda a norma dell’articolo 94, comma 1 ter, delle disp. att. del cod. di proc. pen.

Così deciso nella camera di consiglio del 8 aprile 2016.

inammissibile il ricorso, sussistendo profili di colpa, la parte privata che lo ha proposto deve

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