Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21063 del 19/02/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21063 Anno 2016
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MALTESE GIANLUCA nato il 25/02/1961 a MILANO

avverso la sentenza del 13/05/2015 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI DIOTALLEVI;
lette/sentite le conclusioni del PG ENRICO DELEHAYE
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Data Udienza: 19/02/2016

CONSIDERATO IN FATTO
Maltese Gianluca ha proposto ricorso straordinario per cassazione ex art. 625 bis c.p.p.
avverso la sentenza n. 662/2015 emessa il 13 maggio 2015 dalla VI sezione penale della
Corte di cassazione con cui è stato dichiarato inammissibile il suo ricorso per originaria
tardività con il conseguente passaggio in giudicato della condanna.
A sostegno dell’impugnazione il ricorrente deduce:
a) l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità relativo alla individuazione del dies
a quo per la decorrenza del termine di presentazione del ricorso per cassazione..

Il ricorso è manifestamente infondato.
Occorre, per dare risposta alla idea di errore di fatto che sostiene il ricorso,
1.
ricordare che storia, ratio e lettera dell’art. 625 bis c.p.p., – introdotto dalla L. 19 aprile 2001,
n. 128, art. 6, su chiara sollecitazione della Corte Costituzionale (sent. n. 395 del 2000) e sul
modello di quanto era avvenuto in relazione l’art. 395 c.p.c., comma 4, (sentenza n. 17 del
1986 cui seguiva l’introduzione dell’art. 391 bis, sentenza n. 36 del 1991) – hanno contribuito
alla formazione di canoni interpretativi divenuti consolidati (v. tra le molte altre, Sez. un. c.c.
27 marzo 2002, Basile), anche per via della sostanziale adesione ad essi di larga parte della
dottrina e della speculare elaborazione già formatasi, appunto, sull’art. 395 c.p.c., comma 5.
Così, il rilievo che la regola dell’intangibilità dei provvedimenti della Corte di Cassazione – pur
avendo perduto il carattere di assolutezza, a cominciare appunto per effetto dell’art. 625 bis
c.p.p. in materia penale e di quello, analogo, della revocazione per la materia civile – resta un
cardine del sistema delle impugnazioni e della formazione del giudicato nonché del sistema
stesso processuale (Sezioni Unite, sentenza 2002, Basile nonché C. Cost. n. 294 del 1995, e ivi
citate nn. 247 del 1995, 21 del 1982, 136 del 1972, 51 e 50 del 1970; Corte di Giustizia,
sentenza 1.6.1999, C-126/97, punto 46; sentenza 30.9.2003, C-224/01, p. 38; Corte EDU, da
ultimo sentenza del 12 gennaio 2006, Kehaya e altri c. Bulgaria, ric. n. 47797/99 e 68698/01),
e sta alla base del principio che le disposizioni regolatrici del ricorso straordinario non possono
trovare applicazione oltre i casi in esse considerati in forza del divieto sancito dall’art. 14 disp.
gen., costituendo come detto, deroga all’intangibilità del giudicato.
2. Natura eccezionale del rimedio e lettera della disposizione che lo istituisce non
consentono di sindacare a mezzo di ricorso straordinario altro (asserito) errore di fatto che non
sia quello costituito da sviste o errori di percezione nei quali sia incorsa la Corte di Cassazione
nella lettura degli atti del giudizio di legittimità, che deve essere connotato altresì dall’influenza
esercitata sulla decisione (in tal senso “viziata”) dalla inesatta percezione di risultanze
processuali, il cui svisamento conduce ad una sentenza diversa da quella che sarebbe adottata
senza l’errore e la cui ingiustizia o invalidità costituiscono effetto di detto errore.
Di conseguenza:
– va esclusa ogni possibilità di dedurre errori valutativi o di giudizio;
– l’errore di fatto censurabile secondo il dettato dell’art. 625 bis c.p.p., deve consistere in una
inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di Cassazione
(S.U. n. 16103 del 2002, Basile citata), e, per usare la terminologia dell’art. 395 c.p.c., n. 4,
cui si è implicitamente rifatto il legislatore nella introduzione dell’art. 625 bis c.p.p., nel
supporre “la esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa” ovvero nel
supporre “l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita”: e purché tale fatto
non abbia rappresentato “un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare”,
anche implicitamente ovvero che al dibattito processuale “appartiene per legge (questioni
rilevabili d’ufficio)” (cfr. S.U. civili nella sentenza 14.2.1983 da cui C. Cost. n. 17 del 1986 e,
ove non bastasse la “storia” della norma, v. il dibattito in Assemblea nella seduta 844 del
24.1.2001, in relazione all’emendamento 5.56.3 degli onorevoli Pecorella, Saponara, Marotta);
– esso (l’errore di fatto) deve rivestire “inderogabile carattere decisivo”;
– può consistere dunque anche nell’omissione dell’esame di uno o più motivi del ricorso per
Cassazione, sempre che risulti dipeso “da una vera e propria svista materiale, ossia da una
disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione
dell’inesistenza della censura”, ovverosia sempre che l’omesso esplicito esame lasci

RITENUTO IN DIRITTO

3. deve escludersi che nell’area dell’errore di fatto denunziabile con ricorso straordinario
possano essere ricondotti gli errori percettivi non inerenti al processo formativo della volontà
del giudice di legittimità, perché riferibili alla decisione del giudice di merito, dovendosi questi
ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti
delle impugnazioni ordinarie ovvero con la revisione (S.U. n. 16103 del 2002 citata, Basile).
3.1. In conclusione, e per quel che rileva ai fini del presente giudizio, esulando dall’errore di
fatto ogni profilo valutativo, esso coincide con l’errore revocatorio, secondo l’accezione che
vede in esso il travisamento degli atti nelle due forme della “invenzione” o della “omissione”,
non estensibile al travisamento delle risultanze, in cui sia in tesi incorsa la stessa Corte di
Cassazione nella lettura degli atti del suo giudizio. Il cosiddetto “travisamento del fatto”, e cioè
il travisamento del significato anziché del significante, non può in nessun caso legittimare il
ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p., tantorneno quando sia dedotto come vizio della
decisione del giudice di merito. E neppure può essere, comunque, dedotto ai sensi dell’art. 625
bis c.p., l’errore revocatorio in cui sarebbe incorso il giudice di merito. I criteri di
interpretazione dei fatti, dibattuti nel giudizio di legittimità e oggetto di valutazione anche
implicita, non possono essere riproposti sotto forma di errori di fatto.
3.2. Tanto premesso, è evidente dalla lettura dello stesso ricorso straordinario, oltre che dalle
sentenze impugnate e dagli atti di legittimità, che il ricorrente ipotizza difetti di giudizio
estranei al paradigma dell’art. 625 bis c.p.p. Non può in particolare ricondursi alla nozione di
errore di fatto nessuno degli “errori” di lettura, comprensione o valutazione degli atti
processuali del giudizio di merito, che il ricorrente denunzia. In particolare la ricostruzione
operata evidenzia chiaramente l’insussistenza dell’errore dell’indicazione della data dell’i
ottobre 2013 come data dell’avvenuta notifica. In effetti dagli atti emerge chiaramente che in
data 16 settembre 2013 l’Ufficiale Giudiziario Pasquale Cozzolino si è recato presso il domicilio
del ricorrente, in via Ugo Betti, 15 Milano per notificare l’atto ed ha annotato che “anzi non
avendo trovato in detta residenza esso notificando né persona cui per legge è consentita la
consegna della copia, ho curato il deposito della stessa nella Casa comunale di Milano
l’affissione del predetto avviso e la spedizione di avviso con racc. R.R. ai sensi dell’art.
157c.p.p.”.E’ documentato il ritiro del plico in data 1 ottobre 2013 dalla ” mamma convivente”

del Cozzolino . La notificazione dell’atto dunque deve ritenersi essere regolarmente avvenuta,
anche alla luce degli interventi della Corte costoituziponale in materia e a prescindere
dell’erronea interpretazione della Corte di cassazione in ordine al timbro del 29 agosto 2013, in
realtà relativo alla distribuzione del lavoro all’interno dell’Ufficio UNEP. ( Articolo 8 I. n. 890/82
che recita:
“Se il destinatario o le persone alle quali può farsi la consegna rifiutano di firmare l’avviso di
ricevimento, pur ricevendo il piego, ovvero se il destinatario rifiuta il piego stesso o di firmare il
registro di consegna, il che equivale a rifiuto del piego, l’agente postale ne fa menzione
sull’avviso di ricevimento indicando, se si tratti di persona diversa dal destinatario, il nome ed
il cognome della persona che rifiuta di firmare nonché la sua qualità; appone, quindi, la data e
la propria firma sull’avviso di ricevimento che è subito restituito al mittente in
raccomandazione, unitamente al piego nel caso di rifiuto del destinatario di riceverlo. La
notificazione si ha per eseguita alla data suddetta.

Se le persone abilitate a ricevere il piego, in luogo del destinatario, rifiutano di riceverlo o di
firmare il registro di consegna, ovvero se l’agente postale non può recapitarlo per temporanea
assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra
menzionate, il piego è depositato subito nell’ufficio postale. L’agente postale rilascia avviso al

presupporre la mancata lettura del motivo di ricorso e da tale mancata lettura discenda,
secondo “un rapporto di derivazione causale necessaria”, una decisone che può ritenersi
incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata a seguito della
considerazione del motivo; con l’avvertenza (cfr. Cass. Sez. 5, n. 11058 del 10/12/2004,
Buonanno) che il disposto dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, secondo cui “nella sentenza
della Corte di Cassazione i motivi di ricorso sono enunziati nei limiti strettamente indispensabili
per la motivazione”, non consente di presupporre che ogni argomento prospettato a sostegno
delle censure e non analiticamente riprodotto in sentenza sia stato non letto anziché
implicitamente ritenuto non rilevante;

La notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data del deposito.
Nel caso, invece, che durante la permanenza del piego presso l’ufficio postale il destinatario o
un suo incaricato ne curi il ritiro, l’impiegato postale lo dichiara sull’avviso di ricevimento che,
datato e firmato dal destinatario o dal suo incaricato, è subito spedito al mittente, in
raccomandazione.
La notificazione si ha per eseguita alla data del ritiro del piego.
Qualora la data delle eseguite formalità manchi sull’avviso di ricevimento o sia, comunque,
incerta, la notificazione si ha per eseguita alla data risultante dal bollo di spedizione dell’avviso
stesso.”.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso appare manifestamente infondato e deve
essere pertanto dichiarato inammissibile.
3. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati
all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa
delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare
in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Roma, 19 febbraio 2016
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destinatario mediante affissione alla porta d’ingresso oppure mediante immissione nella
cassetta della corrispondenza dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda. Di tutte le formalità
eseguite e del deposito nonché dei motivi che li hanno determinati è fatta menzione sull’avviso
di ricevimento che, datato e sottoscritto dall’agente postale, è unito al piego (1).
Trascorsi dieci giorni dalla data in cui il piego è stato depositato nell’ufficio postale senza che il
destinatario o un suo incaricato ne abbia curato il ritiro, il piego stesso è datato e sottoscritto
dall’impiegato postale e subito restituito in raccomandazione, unitamente all’avviso di
ricevimento, al mittente con l’indicazione «non ritirato» (2).

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