Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21063 del 08/03/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 21063 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: RANALDI ALESSANDRO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GUARINO GIUSEPPE nato il 14/06/1983 a SIRACUSA

avverso l’ordinanza del 26/06/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di TRIESTE
sentita la relazione svolta d Consigliere ALESSANDRO RANALDI;
lette le conclusioni del PG

Data Udienza: 08/03/2018

FATTO E DIRITTO

1. Il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Trieste, con l’ordinanza n.
847/2017 indicata in epigrafe, ha rigettato l’impugnazione proposta da Giuseppe
Guarino avverso il provvedimento con il quale il Magistrato di Sorveglianza di
Trieste non aveva accolto la sua richiesta di ammissione al patrocinio a spese
dello Stato.
Nell’ordinanza si rileva che il richiedente è stato ripetutamente condannato

che nel caso opera la presunzione di superamento dei limiti reddituali di cui
all’art. 76, comma 4-bis, d.P.R. n. 115 del 2002; e si osserva che il richiedente
non ha prodotto documentazione idonea a superare la presunzione relativa ora
richiamata.

2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Guarino.
Il ricorrente deduce la violazione di legge, osservando di avere prodotto
documentazione idonea al superamento della presunzione di superamento dei
limiti reddituali, lamentando che, non potendo retribuire il proprio legale, sarà
costretto a revocarlo. Deduce che ilTribunale non ha chiarito quali documenti
sarebbero stati idonei a superare la prova contraria, stante la presunta
partecipazione del Guarino al clan mafioso. Il ricorrente osserva di avere
prodotto documentazione comprendente anche i provvedimenti di ammissione al
beneficio adottati nei confronti di altri detenuti ristretti ai sensi dell’art. 41-bis
o.p. e sostiene di avere diritto al beneficio anche per la lunga detenzione subita e
l’esiguo sostentamento economico che riceve dai familiari a mesi alterni.

3. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che il riscorso
sia dichiarato inammissibile.

4. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale di Sorveglianza, sviluppando un conferente percorso
argomentativo del tutto immune da fratture di ordine logico, in riferimento alle
valutazioni che assumono rilievo in questa sede, ha evidenziato: che i dati
introdotti dal richiedente non appaiono idonei a fondare la prova contraria
richiesta per superare la presunzione di legge, considerato che il modello ISEE
non ha funzioni certificative riconosciute ai fini della normativa in oggetto;
l’entità dei vaglia e delle somme contanti ricevuti dalla madre costituiscono dato
neutro e non conducente nel senso voluto dall’istante; le decisioni di altri giudici

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in via definitiva per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., per cui si considera

su analoghe domande di ammissione al patrocinio avanzate dal Guarino non
sono vincolanti, né contengono il minimo accenno in merito al superamento della
presunzione reddituale di legge; tanto meno rilevanti potrebbero risultare
decisioni relative a soggetto diverso; il ruolo di spicco rivestito dal Guarino in un
ambito criminoso di notevole spessore economico emerge da informazioni
acquisite in altri procedimenti analoghi tramite la Questura, la DIA e la DNA; gli
elementi acquisiti dal recente decreto 29.3.2017 del Ministero della Giustizia
confermano che il gruppo della Borgata, di cui il Guarino è risultato elemento di

attivo; dall’assenza di alcuna dissociazione del Guarino rispetto alle attività
illecite svolte dalla consorteria si desume che il nucleo familiare dell’esponente e lo stesso Guarino – possono contare sul sostegno economico del clan mafioso
di appartenenza.
Sulla scorta di tali rilievi, il Tribunale ha rilevato la assoluta inidoneità della
documentazione prodotta a superare la richiamata presunzione di legge.
Ebbene, le valutazioni del Tribunale si collocano nell’alveo dell’insegnamento
espresso dalla Suprema Corte di Cassazione, in ordine all’accertamento giudiziale
dei redditi percepiti dall’imputato che richiede l’ammissione al beneficio di che
trattasi. La Corte regolatrice, invero, ha chiarito che per la determinazione dei
limiti di reddito, ai fini della ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il
giudice di merito ben può fare ricorso agli ordinari mezzi di prova, indicativi della
effettiva percezione di reddito da parte del richiedente (cfr. Sezione 4, sentenza
n. 45159 del 4.10.2005, Rv. 232909).
Non sfugge che la Corte Costituzionale, investita della questione relativa alla
compatibilità della norma di cui all’art. 76, comma 4-bis, d.P.R. n. 115/2002, con
i principi costituzionali del diritto di difesa e dell’uguaglianza dei cittadini di fronte
alla legge, con sentenza n. 139 del 14.04.2010, ha dichiarato l’illegittimità del
richiamato art. 76, comma 4-bis, d.P.R. n. 115/2002, nella parte in cui stabiliva
che, per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per determinati gravi
reati, il reddito percepito dovesse ritenersi comunque superiore ai limiti previsti
per l’ammissione al patrocino a spese dello Stato, senza ammettere prova
contraria.
Preme, peraltro, evidenziare che nel caso di specie il Tribunale di
Sorveglianza ha correttamente argomentato in base alle presunzioni relative di
cui all’art. 76, comma 4-bis, d.P.R. n. 115/2002, giacché i giudici procedenti
hanno giustificato il rigetto della richiesta di ammissione al patrocinio a spese
dello Stato, in considerazione delle condanne riportate dal richiedente, in una
con la carenza di allegazioni difensive idonee a superare la presunzione di legge
circa il travalicamento dei limiti reddituali. Infatti, la Corte regolatrice ha chiarito

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primissimo piano, reggente quanto meno fino al 2013, è tuttora pienamente

che spetta al soggetto richiedente l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato
l’onere di fornire la prova contraria, idonea a vincere la presunzione relativa di
superamento del limite di reddito ostativo, proprio nei casi previsti dall’art. 76,
comma 4-bis, d.P.R. n. 115 del 2002 (Sez. 4, n. 5041 del 21/10/2010, dep.
2011, Rv. 249563).

5. Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n.

consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, nella misura indicata in
dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso il 8 marzo 2018

Il Consigliere estensore
Ale

dro Ranaldi

Il Presidente
Paj,cciaI

k/

186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali

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