Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21060 del 01/02/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 21060 Anno 2018
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: BELLINI UGO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

Ajit Singh nato a Bilaspur (India) il 2.6.1992

Avverso la ordinanza della Corte dì Appello di Palermo
n.33/2017 in data 20.4.2017

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere dott.Ugo Bellini;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del
Sostituto Procuratore Generale Giuseppe Corasaniti il quale
ha chiesto il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 01/02/2018

RITENUTO IN FATTO
1.

La Corte d’Appello di Palermo ha rigettato la richiesta di

riparazione per ingiusta detenzione presentata nell’interesse di AJIT
Singh, subita da costui nell’ambito di una indagine in cui al medesimo

309/90, per avere organizzato ed effettuato, via mare e per il tramite
di motonave, quale componente dell’equipaggio della stessa, il
trasporto di un ingente quantitativo di hashish, reato dal quale era
stato poi assolto in appello, con declaratoria di ìnefìccacìa della misura
cautelare. L’istante aveva sin da subito opposto la mancata
conoscenza della natura del carico, siccome effettuato al largo del
Marocco.
2. L’AJIT ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo di difensore,
formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge, inosservanza della
legge penale e vizio della motivazione in relazione ai presupposti della
sussistenza di un comportamento ostativo all’insorgenza del diritto
azionato. Osserva parte ricorrente che il AJIT non si era avvalso della
facoltà di non rispondere e aveva sin da subito riferito circostanze,
prima ignote agli inquirenti e non mendaci, utili ad attribuire un
diverso significato agli elementi posti a fondamento della restrizione
della libertà, rivelatisi peraltro determinanti per la assoluzione. Sotto
altro profilo, la parte ha rilevato che nell’ordinanza impugnata il
comportamento ostativo è stato ricondotto ad una ipotesi dì
connivenza non punibile, ritenendo non ragionevole, da parte dei
componenti dell’equipaggio, credere che la merce imbarcata fosse
costituita da datteri, nonostante le peculiari modalità dell’imbarco e
doveroso, da parte dell’istante, rifiutarsi di proseguire la navigazione,
in assenza di riferite minacce. Dì contro, la difesa ha rilevato che la
Corte territoriale non aveva tenuto conto del fatto che l’equipaggio del
quale faceva parte l’istante era composto da cittadini indiani che
rivestivano ruoli di mera manovalanza, erano tutti di età
giovanissima, con scarsa – se non inesistente – esperienza
marinaresca e che gli eventuali dubbi in ordine alla natura del carico

3—

era stato contestato il reato di cui all’art. 73 co. 4 e 80 co. 2 d.P.R.

non avrebbero mai potuto tradursi in un ammutinamento della ciurma,
opzione questa concretamente inesigibile.
Con il secondo motivo, la parte ha dedotto analoghi vizi con
riferimento alla condanna alle spese processuali, contestando la
mancata compensazione di esse e l’omessa valorizzazione
dell’atteggiamento processuale, del danno subito e delle altre
specificità del caso di specie, tutti temi sui quali non si rinverrebe

Considerato in diritto

1. Il ricorso va accolto nei termini che si vanno ad esporre.
2. La Corte territoriale ha ritenuto di individuare, sulla scorta di
elementi non smentiti nella sentenza assolutoria, un comportamento
dell’AnD ostativo all’insorgenza del diritto azionato, ravvisandolo
nell’atteggiamento di connivenza da costui serbato nei confronti degli
autori del reato.
A tal fine, ha preliminarmente richiamato quanto affermato dalla
Corte d’appello di Palermo nel verdetto assolutorio, avendo questo
giudice ritenuto che i membri dell’equipaggio avevano reso
dichiarazioni conformi, difficilmente concertabili; che la loro presenza
sulla nave era stata casuale e non frutto di una consapevole,
preventiva scelta al momento dell’imbarco; che il carico della droga
era avvenuto dopo un altro carico (di autovetture); che la presenza
dell’equipaggio non era servita a fornire agli autori del reato
(comandante e armatore) lo stimolo all’azione o un maggior senso di
sicurezza; infine, che questi ultimi non si erano fidati dell’equipaggio,
al punto da avere affidato le operazioni di imbarco a soggetti esterni.
Alla luce di tali elementi, il giudice dell’assoluzione aveva pertanto
ritenuto di ravvisare in capo ai membri dell’equipaggio (tra i quali
l’odierno istante) solo una condizione di connivenza non punibile,
trattandosi con ogni probabilità di soggetti che, spinti dal bisogno
economico, avevano accettato l’imbarco per un modesto compenso (in
qualche caso neppure pagato), per il quale illogicamente avrebbero
rischiato l’arresto.
Nel procedere alla valutazione degli elementi accertati in sede di
merito sul diverso piano della verifica dei presupposti per la
liquidazione dell’indennizzo ex art. 314 cod. proc. pen., la Corte
d’appello, giudice della riparazione, ha ravvisato – proprio in tale

9-9)-

alcuna motivazione nell’ordinanza censurata.

riconosciuto atteggiamento di connivenza dell’equipaggio – un
comportamento gravemente colposo, ostativo all’insorgenza del diritto
azionato. In particolare, la Corte ha sottolineato la circostanza che il
AnD (come, del resto, tutto l’equipaggio) aveva ignorato il contenuto
della merce imbarcata, non aveva opposto contestazioni al trasporto
dell’anomalo carico, non aveva allertato le autorità, né provveduto a
liberarsi della droga gettandola in mare. Sotto altro profilo, poi, quel
giudice ha ritenuto che le modalità del carico (in altro mare e da parte

per il tramite di un’agenzia indiana con condizioni di lavoro anomale,
in base alle quali era stata versata una cifra iniziale di $ 1.000)
avrebbero suggerito un comportamento più prudente, invece di quello
effettivamente tenuto che, per le sue connotazioni, aveva giustificato
l’emissione del titolo, stante l’apparenza di un quadro gravemente
indiziario a carico dell’istante.
3. Il primo motivo è fondato.
In linea generale, va ribadito che il giudice della riparazione per
l’ingiusta detenzione, al fine di stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o
abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli
elementi probatori disponibili, onde accertare – con valutazione
necessariamente “ex ante” e secondo un iter logico-motivazionale del tutto
autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale
condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che
abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la
falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale [cfr. sez. 4 n.
9212 del 13/11/2013 Cc. (dep. 25/0272014), Rv. 259082]. Ai medesimi
fini, inoltre, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili
nella fase delle indagini, purchè la loro utilizzabilità non sia stata
espressamente esclusa in dibattimento (cfr. sez. 4 n. 19180 del
18/02/2016, Rv. 266808).
Quanto alla natura del comportamento ostativo, lo stesso può essere
integrato anche dalla condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia
tenuto, pur consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti
percepibili come indicativi di una sua contiguità (cfr. sez. 4 n. 45418 del
25/11/2010, Rv. 249237; n. 37528 del 24/06/2008, Rv. 241218). La colpa
grave, ostativa al riconoscimento dell’indennità, può pertanto ravvisarsi
anche in relazione ad un atteggiamento di connivenza passiva quando,
alternativamente, detto atteggiamento: 1) sia indice del venir meno di
elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi

di terzi estranei), così come quelle dello stesso ingaggio (assunzione

danni alle persone o alle cose; 2) si concretizzi non già in un mero
comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione del reato
ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l’agente sia in
grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa
in ragione della sua posizione di garanzia; 3) risulti aver oggettivamente
rafforzato la volontà criminosa dell’agente, benché il connivente non
intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova positiva che egli fosse a
conoscenza dell’attività criminosa dell’agente [cfr. sez. 4 n. 15745 del

21/02/2012), Rv. 252725; sez. 4 n. 2659 del 03/12/2008 Cc. (dep.
21/01/2009), Rv. 242538].
4. Tanto premesso, deve rilevarsi che il percorso argomentativo seguito
dal giudice della riparazione non appare coerente con i principi di diritto
sopra richiamati.
Vero è, infatti, che l’atteggiamento di connivenza passiva è stato
descritto nella stessa sentenza assolutoria, ma rispetto a tale
comportamento la Corte territoriale, giudice della riparazione, non ha
compiuto il successivo, necessario vaglio alla stregua dei principi sopra
richiamati.
Da un lato, infatti, ha ritenuto di poter rinvenire, in capo all’istante, la
violazione di un dovere di solidarietà sociale nella circostanza che costui, al
pari degli altri componenti dell’equipaggio, avesse accettato di proseguire la
navigazione, pur dovendo comprendere (o avendo colposamente ignorato)
la vera natura del carico trasportato: tuttavia il giudice della riparazione
non ha operato la ulteriore, necessaria verifica delle effettive possibilità
dell’equipaggio di sottrarsi alla esecuzione degli ordini del comandante della
motonave, senza compromettere la propria sicurezza, limitandosi a
stigmatizzare la preponderanza numerica della ciurma rispetto all’autore del
reato.
Dall’altro, ha rilevato che tra gli elementi posti a fondamento del titolo
cautelare vi era anche la mancata denuncia della natura illecita del carico
alle autorità o la mancata adozione di iniziative, intese ad impedire che la
condotta illecita fosse portata a compimento (per esempio, mediante il
gettito a mare della droga, attraverso una sorta di “ammutinamento” della
ciurma, stante la preponderanza numerica di essa): ciò è stato valorizzato
senza verificare, ancora una volta, le concrete possibilità per l’istante di
esercitare i poteri connessi a tale riconosciuta “posizione di garanzia”,
anche alla luce della ricostruzione fattuale contenuta nella sentenza
assolutoria, come sopra richiamata nel provvedimento impugnato.

19/02/2015, Rv. 263139; sez. 4 n. 6878 del 17/11/2011 C. (dep.

Infine, con riferimento agli ulteriori elementi valorizzati (anomalie
dell’ingaggio e delle modalità del carico, cui il giudice della riparazione ha
altresì collegato il comportamento gravemente colposo), la Corte territoriale
ha omesso di dare congrua spiegazione in ordine al nesso di casualità di
tale condotta rispetto alla erronea valutazione di sussistenza di un grave
quadro indiziario nei confronti dell’AJID.
5. L’ordinanza deve pertanto essere annullata, con rinvio alla Corte
territoriale per un nuovo esame che tenga conto dei principi di diritto sopra

l’assorbimento del secondo.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte
d’Appello di Palermo per nuovo esame, cui demanda altresì la
regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di
legittimità.

Così deciso in Roma il 1 Febbraio 2018.

Il Consigliere estensore

Ugo Belfipi
ML”

Il Presidente

Patirei=

richiamati, l’accoglimento del primo motivo di ricorso determinando

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