Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21050 del 03/05/2016
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21050 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: FILIPPINI STEFANO
Data Udienza: 03/05/2016
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LANZETTA GENNARO N. IL 21/10/1936
avverso la sentenza n. 342/2012 CORTE APPELLO di SALERNO, del
02/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/05/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. STEFANO FILIPPINI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. A
che ha concluso per Z, Q 7;
tcs; Cs2k1–)
Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. 74 ‘Li aie< 5 S (Q_ 11 die2, 7~ j„,fr, RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 02.12.2014, la Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza in data 17.06.2011 del Tribunale di Salerno,
dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti
di LANZETTA Gennaro in ordine al reato di estorsione aggravata,
confermando però le statuizioni civili, anche in punto di provvisionale, e appello nei confronti delle costituite parti civili.
1.1 In primo grado il Tribunale di Salerno aveva condannato il Lanzetta
Gennaro, oltre che al pagamento delle spese processuali, alla pena di anni
cinque e mesi sei di reclusione ed euro 900,00 di multa dichiarandolo
interdetto, in perpetuo, dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale
durante l'esecuzione della pena. La pena pecuniaria veniva dichiarata però
interamente condonata e quella detentiva in misura fino a tre anni per
l'indulto ex lege n. 251/2006. Il Lanzetta veniva condannato al risarcimento
dei danni, da liquidare in separata sede in favore delle parti civili, Pagano
Giuseppe e D'Alto Raffaella, con provvisionale di euro 10.000,00 per
ciascuna delle parti, oltre che alla rifusione delle spese processuali in favore
dei predetti. Il Tribunale aveva infatti ritenuto il Lanzetta colpevole, scissa
l'originaria imputazione, del reato di estorsione, escluse le contestate
aggravanti, relativamente alle condotte aventi ad oggetto le riparazioni di
automezzi del Lanzetta e la consegna di due camion. L'imputato era stato
invece assolto, perché il fatto non sussiste, dalla contestazione
relativamente alle precedenti condotte di "cambio assegni"; il giudice di
primo grado, premessa una sintesi del materiale di prova e, in particolare,
delle dichiarazioni rese dalle persone offese Pagano e D'Alto, che
costituiscono l'architrave della sentenza stessa, ha ritenuto dimostrato che
il Lanzetta, con reiterate condotte minacciose, talora larvate, altre volte
esplicite, consistenti nel prospettare pregiudizio, non tanto all'incolumità
fisica delle persone offese ma alla sorte della loro ditta, anche talvolta
approfittando della condizione di soggezione economica in cui i coniugi
Pagano versavano e che imponeva loro di ricorrere alla pratica del "cambio
assegni", li aveva costretti ad eseguire, in suo favore, gratuitamente,
prestazioni e servizi meccanici e a farsi consegnare, sempre in assenza di
corrispettivo, due distinti camion. I giudici hanno, in proposito, ritenuto che
lo stato di coartazione e soggezione psicologica era tale che le persone
1 condannando l'imputato al pagamento delle spese processuali del grado di offese si erano assoggettate ai comportamenti in questione proprio al fine
di stare tranquilli e che la costrizione era di tale intensità che il Pagano
riferiva di non avere richiesto il pagamento di due camion proprio perché
preferiva stare in quieto vivere. Ciò ha indotto il primo giudice a ritenere
dimostrato che le minacce esercitate dall'imputato fossero state di portata
tale da creare nelle persone offese il timore che, non aderendo alle
richieste, avevano motivo di temere per la loro incolumità e per le sorti 2. Avverso tale sentenza propone ricorso l'imputato per mezzo del suo
difensore di fiducia, con argomenti che concernono tutti i punti ed i capi
della sentenza che di seguito si specificano eccependo, in particolare, il
vizio di legge in relazione alla declaratoria di estinzione dei reati per
prescrizione in presenza di elementi probatori che giustificano l'assoluzione
nel merito, all'interpretazione accolta in ordine agli elementi costitutivi
dell'art. 629 c.p., alla inosservanza o erronea applicazione della legge
processuale penale in ordine alla valutazione della credibilità e
dell'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, alla mancata
assunzione di prove decisive ai fini dell'accertamento del reale
coinvolgimento dell'imputato nei fatti oggetto del processo, alla errata
individuazione del tempus commíssi delitti in relazione alla condotta di
estorsione avente ad oggetto la consegna dei camion Iveco, marca Daily,
modelli 40.8 e 35/10, alla erronea applicazione dell'art. 538 c.p.p. per non
aver revocato le statuizioni civili disposte con la sentenza di prima grado, e
degli artt. 539, comma 2, e 600, comma 2, c.p.p. in relazione alla
quantificazione senza alcun accertamento della provvisionale disposta in
primo grado.
In ordine a tutti questi aspetti, inoltre, si eccepisce il difetto di motivazione.
3. I motivi di ricorso vengono così prospettati:
3.1. Violazione dell'art. 606, lett. c) c.p.p. per inosservanza o erronea
applicazione della legge processuale penale in relazione all'art. 129, comma
2, c.p.p. in ordine alla declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione in
presenza di elementi probatori che giustificano l'emissione di una sentenza
di assoluzione.
3.2. Violazione dell'art. 606, lett. b) c.p.p. per inosservanza o erronea
applicazione della legge in relazione ai requisiti dell'art. 629 c.p.
3.3.Violazione dell'art. 606, lett. e) c.p.p. per mancanza, contraddittorietà
e illogicità della motivazione in ordine agli stessi punti. 2 della ditta. 3.4. Violazione dell'art. 606 lett. c) per inosservanza o erronea applicazione
della legge processuale penale in ordine alla valutazione della credibilità e
dell'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa.
3.5. Violazione dell'art. 606 lett. e) c.p.p. per mancanza, contraddittorietà
o manifesta illogicità della motivazione sul punto.
3.6. Violazione dell'art. 606 lett. d) c.p.p. per mancata assunzione di prova
decisiva ai fini dell'accertamento del reale coinvolgimento dell'imputato nei 3.7 Violazione dell'art. 606 lett. e) c.p.p. per mancanza, contraddittorietà
o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta superfluità
della rinnovazione dibattimentale rispetto al thema decidendum.
3.8. Violazione dell'art. 606, lett. b) c.p.p. per inosservanza e/o erronea
applicazione della legge penale con riferimento all'errata individuazione del
tempus commissi delicti in relazione alla condotta di estorsione avente ad
oggetto la consegna dei camion Iveco, marca Daily, modelli 40.8 e 35/10.
3.9.Violazione dell'art. 606, lett. e) c.p.p. per insufficienza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine allo stesso punto.
3.10. Violazione dell'art. 606, lett. b) c.p.p. per violazione e/o erronea
applicazione della legge processuale penale, relativamente all'art. 538
c.p.p. per non aver revocato le statuizioni civili, agli artt. 539, comma 2 e
600, comma 2, c.p.p. per non aver disposto la revoca o la sospensione
della provvisionale disposta in primo grado, nonostante la sua
quantificazione fosse priva di ogni accertamento.
3.11. Violazione dell'art. 606, lett. e) c.p.p. per insufficienza contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine allo stesso punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato in quanto è basato su motivi infondati.
1. Manifestamente infondata è la doglianza di cui al primo motivo, relativo
alla pretesa violazione dell'art. 129 , comma 2 , c.p.p. . Come noto la
norma prevede che, quando ricorre una causa di estinzione del reato, ma
dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha
commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge
come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a
procedere con la formula prescritta. La norma dunque richiede l'evidenza
delle risultanze relative alla insussistenza degli addebiti, circostanza che
palesemente non ricorre nel caso di specie, laddove invece i giudici di
merito hanno ampiamente argomentato le ragioni per le quali debbono 3 fatti oggetto di processo. ritenersi sussistenti le condotte estorsive per le quali è intervenuta la
condanna del primo grado (si vedano le pagine 8-12 della sentenza di
appello che richiama altresì l'ampia motivazione contenuta nella sentenza di
primo grado).
Né, come meglio si dirà in seguito, può trovare ingresso in sede di
legittimità, al fine di dimostrare la sussistenza del presupposto dell'art. 129,
comma 2, c.p.p., la lettura parziale delle risultanze processuali proposta sulla base di parti di deposizioni o di frammenti fattuali non inseriti nel più
ampio contesto argomentativo tessuto dai giudici di merito i quali hanno
invece ben motivato il clima di intimidazione nel quale vivevano le persone
offese e la personalità dell'imputato per come era percepita nel territorio
(pagg. 8-10 della sentenza di appello); elementi indiziari suffragati dal
rilievo oggettivo del venir meno delle intimidazioni e dei danneggiamenti nei
periodi in cui perduravano le prestazioni in favore del Lanzetta (pagg. 10 e
11 sentenza di appello).
2. I motivi di ricorso attinenti il vizio di motivazione ( di cui ai nn.3,5,7,9 e
11) possono essere oggetto di trattazione congiunta dal momento che
pongono, sotto differenti profili, il medesimo problema.
Va infatti al riguardo comunemente osservato che il ricorrente, sotto il
profilo del vizio di motivazione, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte
un giudizio di merito, non consentito anche dopo la Novella in tema di
ricorso per cassazione. La modifica normativa dell'articolo 606 cod. proc.
pen., lett. e), di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 ha lasciato infatti
inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che
può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di
merito.
Al giudice di legittimità resta tuttora preclusa - in sede di controllo della
motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del
merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore
capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la
Corte nell'ennesimo giudice del fatto, mentre la Corte, anche nel quadro
della nuova disciplina, è e resta giudice della motivazione.
Nel caso di specie va anche ricordato che, con riguardo alla decisione in
ordine all'odierno ricorrente, ci si trova dinanzi ad una c.d. "doppia 4 nelle pagg. 3-13 del ricorso, volendosi contestare le conclusioni del merito conforme" e cioè doppia pronuncia di eguale segno per cui il vizio di
travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel
caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che
l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta
introdotto come oggetto di valutazione della motivazione del provvedimento
di secondo grado.
Il vizio di motivazione può infatti essere fatto valere solo nell'ipotesi in cui questa sede ci occupano, non potendo, nel caso di c.d. "doppia conforme",
superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il
caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alle critiche dei motivi di
gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal
primo giudice (Cass. Sez. 4, sent. n. 19710/2009, Rv. 243636; Sez. 1, sent.
n. 24667/2007; Sez. 2, sent. n. 5223/2007, Rv 236130).
Nel caso in esame, invece, il giudice di appello ha esaminato lo stesso
materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo aver preso atto
delle censure dell'appellante, è giunto, con riguardo alla posizione
dell'imputato, alla medesima conclusione della sentenza di primo grado in
ordine alla integrazione degli elementi costitutivi del reato ascritto.
A ben vedere, attraverso i motivi in esame il ricorrente intende prospettare
una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa che non può trovare
ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza, come quella
impugnata, che appare congruamente e coerentemente motivata proprio in
punto di responsabilità del ricorrente.
Sentenza di appello che, peraltro, richiama e condivide le ampie motivazioni
già contenute nella sentenza di primo grado.
Sentenza di appello che, alle pagg. 9 e segg., da intendere per qui
richiamate, ampiamente illustra le ragioni per le quali debbono ritenersi
dimostrate le condotte estorsive, seppure indirette, del Lanzetta (cfr. in
particolare pag. 11), alle quali sono seguite le prestazioni delle persone
offese relative alla fornitura all'imputato di due veicoli e delle connesse
attività di riparazione su automezzi (nnotiv n. 3), condotte protrattesi nel
tempo sino all'aprile 2001 (per tale riferimento temporale si vedano le
pagg. 7 e 13 della sentenza di appello, oltre a quanto si dirà in seguito);
alle pagg. 7 e 8 della richiamata sentenza si affronta poi, con motivazione
effettiva e logicamente corretta, la tematica dei criteri di valutazione della
prova testimoniale offerta dalle persone offese, analizzandola anche nel 5 l'impugnata decisione ha riformato quella di primo grado nei punti che in dettaglio sotto il profilo fattuale e psicologico, con indicazione del contesto
casuale (intercettazioni relative ad altra indagine) da cui è scaturita, priva di
animosità o esagerazioni e corredata da riscontri documentali (motivo 5 di
ricorso); alla pag. 13 espressamente tratta la questione del tempus commissi delicti, chiarendo che le condotte estorsive relative alla consegna
degli automezzi e alle riparazioni sugli stessi (si veda pure pag. 10 in fondo
della sentenza di appello) costituiscono altrettanti momenti consumativi, dai estorsive (motivo 9 del ricorso) e, conseguentemente, la decorrenza dei
relativi termini di prescrizione . Al riguardo va sottolineato che sia il giudice
di appello che quello di primo grado collocano la consegna del Ducato Daily
40 nel 1999 e, in epoca successiva di circa due anni, quella del Ducato 35 ,
sulla base delle esplicite dichiarazioni testimoniali in tal senso (cfr. pag. 7
della sentenza di primo grado, deposizione D'Alto e pag. 10 , deposizione
Pagano).
Il ricorrente trascrive nel ricorso alcuni passaggi di deposizione testimoniale
della persona offesa Pagano dai quali parrebbe evincersi che la consegna
dei due furgoni risalga a non oltre il 2007, a ciò facendo conseguire che gli
ultimi comportamenti estorsivi (in ottica accusatoria) andrebbero individuati
nelle riparazioni gratuite, l'ultima delle quali è del 20.4.1998. Così
retrodatando i fatti, il termine utile alla prescrizione (12 anni e 6 mesi),
sarebbe decorso anteriormente alla sentenza di primo grado del 17.6.2011.
L'assunto, tuttavia, non è degno di pregio e, peraltro, contrasta con quanto
sostenuto in primo grado dalla stessa difesa dell'imputato (cfr. pag. 17 della
sentenza di primo grado dalla quale si evince l'argomento difensivo che
colloca al 2001 la consegna del camion Iveco 35).
Invero, tale pretesa retrodatazione non può trovare spazio in Cassazione,
trattandosi di accertamento di fatto, precluso nella presente sede. Invero,
non può considerarsi ammissibile la censura formulata in ordine ad un
preteso vizio di motivazione per travisamento della prova testimoniale (in
particolare quella relativa al Pagano), essendo tale vizio sostenibile solo in
relazione all'ipotesi in cui il giudice del merito abbia fondato il suo
convincimento su di una prova inesistente ovvero su di un risultato
probatorio incontestabilmente diverso da quello reale. Circostanza che,
all'evidenza, non ricorre nel caso in esame, nel quale trattasi di entrare in
giudizi di fatto preclusi al giudice di legittimità. E comunque, la mancata
allegazione al ricorso di tutto il compendio probatorio sul quale si è 6 quali non può prescindersi per individuare la cessazione delle condotte soffermato il giudice di merito rende ulteriormente inammissibile il profilo
per violazione del principio di autosufficienza del ricorso. Invero, la
deduzione del vizio di contraddittorietà della motivazione risultante da atto
del processo specificamente indicato, introdotta dalla L. n. 46 del 2006,
presuppone che la motivazione della sentenza sia basata in modo
determinante su prova insussistente agli atti, o su un risultato di prova
incontestabilmente diverso da quello reale, ovvero sia contrastata 39048 del 25.9. - 23.10.2007, rv 238215), si che eliminata - o inserita,
secondo i casi - quella prova l'intera ricostruzione fattuale sia vanificata.
L'indicazione dell'atto probatorio in questione deve poi assolvere al requisito
dell'autosufficienza (Sez. 6, sent. 20059 del 16.1- 20.5.2008, rv 240056;
Sez. 1, sent. 6112 del 22.1 - 12.2.2009, rv 243225): occorre che al ricorso
sia allegato l'atto processuale (o comunque che ve ne sia nel ricorso
l'integrale trascrizione ovvero l'individuazione assolutamente puntuale e
completa, che non determini la necessità di alcun tipo di ricerca e selezione
autonoma da parte della Corte di legittimità) dal quale emerga, senza
possibilità di interpretazione o lettura alternative, il contrasto tra quanto
affermato in sentenza e quanto invece in atti.
Nel difetto di tali condizioni, la deduzione va considerata infondata.
3. Per le medesime ragioni sopra esposte debbono ritenersi manifestamente
infondati i motivi di ricorso attinenti al preteso vizio di legge, essendosi
ampiamente dimostrata la correttezza delle opzioni ermeneutiche accolte
dai giudici di merito, sia in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi
del reato previsto dall'art. 629 c.p. (motivo n. 2), sia per la sussistenza di
ampia e corretta valutazione del requisito della credibilità e attendibilità
delle persone offese (motivo n. 4) , sia per la correttezza della collocazione
al 2001 del momento consumativo delle ultime condotte estorsive,
coincidente con il conseguimento del profitto relativo al camion Iveco 35
(motivo n. 8).
4. Manifestamente infondate sono le deduzioni contenute nei motivi 6 e 7
del ricorso in relazione alla mancata assunzione di prova decisiva ai fini del
reale coinvolgimento dell'imputato, come chiaramente e condivisibilrnente
argomentato alle pagg. 9 e 10 della sentenza di appello, laddove si spiega
Vultroneità del richiesto atto istruttorio (escussione del teste Chiarella
Agostino), essendo state escluse già in primo grado le condotte relative al
cambio assegni, con assoluzione del Lanzetta sul punto (sono queste le 7 insuperabilmente da prova presente agli atti ma ignorata (Sez. 5, sent. circostanze sulle quali lo stesso avrebbe potuto riferire), trattandosi altresì
di deposizione irrilevante anche al fine del riscontro sulla attendibilità della
teste D'Alto, già oggettivamente riscontrata tramite i documenti inerenti la
pratica del cambio assegni.
Peraltro, del tutto infondato è il riferimento al concetto di prova decisiva,
posto che lo stesso ricorrente indica che la richiesta probatoria in questione
è stata formulata al di fuori dei casi dell'art. 495, comma 2 , c.p.p.. D esplicitato (cfr. pag. 18 del ricorso) in relazione alla previsione di cui
all'art. 195 primo comma c.p.p. (secondo cui " Quando il testimone si
riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta
di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre"), sia perché, come
detto, si è al di fuori dei casi di cui all'art. 425 comma 2 c.p.p., sia,
comunque , perché nel caso in esame non si è in presenza di circostanze
che sono nella conoscenza di altre persone, bensì di circostanze
direttamente vissute e percepite dalla teste D'Alto, sicchè tecnicamente si
può solo parlare di una audizione astrattamente utile a saggiare
l'attendibilità della teste predetta; utilità che, nel concreto, è stata
motivatamente esclusa dalla Corte di appello.
5. Quanto al motivo n. 10, evidente risulta che, in presenza di accertamento
della responsabilità dell'imputato per alcune delle condotte ascritte e di
prescrizione del reato successiva alla sentenza di primo grado, pienamente
legittime risultano le statuizioni civili, peraltro sorrette da ampia
motivazione, come sopra esposto.
6. Quanto all'ultimo profilo di doglianza, attinente alla assenza di parametri
valutativi posti a base della determinazione della provvisionale, secondo la
giurisprudenza di legittimità condivisa dal Collegio, non è impugnabile con
ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa
alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di
decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non
necessariamente motivata. (cfr. Cass., sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015,
Rv. 263486).
7. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi
dell'articolo 616 cod. proc. pen., la condanna della parte che lo ha proposto
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di € 1.500,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
8. Viste le conclusioni delle parti civili, occorre provvedere sulle spese 8 E manifestamente infondato è il motivo di ricorso ex art. 606, comma 1, lett processuali delle stesse nel presente grado di giudizio, che si liquidano al
dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché alla rifusione in favore della parte civile D'Alto Raffaella 2.000,00 oltre spese forfettarie nella misura del 15%, CPA e IVA.
Così deciso, il 3 maggio 2016 Il Consigliere estensore Il Presidente delle spese sostenute nel presente grado di giudizio che si liquidano in €