Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21047 del 08/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21047 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:


VACCA Giuseppe, nato a Ceglie Messapico il giorno 7/1/1946
MARCHISELLA Giuseppe, nato a Barletta il giorno 5/12/1959
GIANNETTI Andrea, nato a Venosa il giorno 31/5/1941

avverso la sentenza n. 1031/15 in data 10/2/2015 della Corte di Appello di
Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Mario PINELLI, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata con riguardo alle posizioni di tutti gli imputati;
udito il difensore dell’imputato VACCA, Avv. Angelo COLUCCI, che ha concluso
associandosi alla richiesta del Procuratore Generale e chiedendo l’accoglimento
del ricorso;
uditi i difensori dell’imputato MARCHISELLA, Avv. Giovanni ARICO’ e Avv. Andrea
TOMASELLI, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito il difensore dell’imputato GIANNETTI, Avv. Mario Gesualdo MURGO, che ha
concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 10/2/2015 la Corte di Appello di Milano, ha confermato per
la parte che in questa sede interessa la sentenza in data 7/5/2014 del Tribunale
di Milano con la quale VACCA Giuseppe, MARCHISELLA Giuseppe e GIANNETTI
Andrea erano stati dichiarati colpevoli, in concorso tra loro (e con altri giudicati
separatamente) i di rapina pluriaggravata commessa in danno dell’oreficeria

Data Udienza: 08/04/2016

SCAVIA di Milano il 5/2/2011 (capo 1), di detenzione e porto di armi utilizzate
per commetterla (capo 2), nonché della ricettazione di tre mezzi – un furgone,
un’autovettura ed uno scooter – utilizzati nella medesima occasione (capo 4).
Gli stessi imputati erano stati invece già mandati assolti dal Tribunale per il reato
di sequestro di persona ai danni dei dipendenti della citata oreficeria.
Con specifico riguardo ai ruoli rivestiti dagli imputati nella vicenda, si contesta al
VACCA ed al MARCHISELLA di essersi introdotti attraverso una porta secondaria
nella gioielleria all’atto di apertura della stessa, indossando le uniformi della

armi i primi due dipendenti che stavano procedendo all’apertura del negozio,
dopodiché di essere stati raggiunti dal GIANNETTI, a sua volta parzialmente
travisato con una sciarpa, di avere atteso l’arrivo di altri due dipendenti
dell’esercizio commerciale e l’apertura temporizzata delle casseforti, indi di
essersi appropriati dei gioielli ivi contenuti.
Si contesta inoltre al VACCA di aver mantenuto durante l’esecuzione della rapina
i contatti telefonici con altri due complici (REBUSCINI Giuseppe e FISCHER
Franco), nonché di avere partecipato sia a diverse riunioni ed incontri preparatori
dell’azione sia, con il MARCHISELLA ed il GIANNETTI, ad alcuni sopralluoghi
propedeutici alla consumazione dell’azione delittuosa e, quanto al GIANNETTI di
avere eseguito personalmente almeno tre pedinamenti del responsabile della
gioielleria (PUSTORINO Paolo Pasquale) sempre nei giorni antecedenti alla
rapina.
Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori degli imputati,
deducendo:
1. per VACCA Giuseppe:
1.a Vizi di motivazione della sentenza impugnata ex art. 546, comma 1, lett. e)
in relazione all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen.
Si duole la difesa del ricorrente del fatto che la Corte di appello non avrebbe
colmato le lacune motivazionali contenute nella sentenza del Giudici di prime
cure e denunciate con il relativo atto di gravame.
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica nella parte in cui ha
trascurato l’esito asseritamente decisivo della prima individuazione fotografica
effettuata dal teste Luciano CASIRAGHI che aveva individuato i due rapinatori
visti uscire dalla gioielleria in Giuseppe SCALIA e Gianluca ROTOLO.
L’informazione fornita dal CASIRAGHI avrebbe, inoltre, trovato conforto
probatorio sia in una annotazione della Questura di Palermo che aveva indicato
lo SCALIA come uno degli autori della rapina, sia nell’analisi dei fotogrammi
relativi ai passaggi dei veicoli e motocicli attraverso il varco Ecopass di Milano,

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Polizia Municipale del Comune di Milano, travisati in volto e minacciando con

Corso Venezia, il giorno della rapina dove era stato registrato il passaggio oltre
che di due dei veicoli di provenienza delittuosa di cui alle imputazioni anche di
uno scooter Suzuki Burgman intestato a MAGGIO Stefania, moglie del ROTOLO.
Secondo il Tribunale fu accertato che il ROTOLO il giorno della rapina si trovava
regolarmente al lavoro, ma tale fatto non risulta provato in quanto in
un’annotazione dell’Isp. QUARANTA della Polizia di Stato datata 21/3/2011 è
emerso che non è stato possibile accertare se il ROTOLO fosse effettivamente al
lavoro.

l’enfatizzazione delle “piste investigative alternative” non è tale da svalutare la
valenza degli indizi probanti nei fatti come ricostruiti in sentenza.
Contraddittorie sarebbero, poi, le argomentazioni contenute nella sentenza
impugnata secondo le quali vi furono nell’ottobre 2012 degli incontri serrati tra il
VACCA e l’amico GIANNETTI in occasione di permessi di uscita dal carcere del
primo. In realtà si è trattato di soli due incontri ammessi dal GIANNETTI in sede
di interrogatorio.
Ancora: la motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica e
contraddittoria con riguardo ai rapporti tra VACCA e MARCHISELLA successivi
alla rapina, sia perché non è corretto affermare che gli incontri de visu senza
telefonate od SMS fossero finalizzati a non lasciare traccia, sia perché l’aggancio
di celle telefoniche limitrofe (peraltro registrato anche in epoca anteriore alla
rapina) è derivato dal fatto che gli stessi abitano nello stesso quartiere a pochi
metri di distanza tra loro.
Infine la Corte di appello avrebbe errato allorquando ha ritenuto che non vi sia
stato un indebito uso della sentenza non irrevocabile pronunciata dal Giudice per
l’udienza preliminare a carico di coimputati (REBUSCINI + altri) ma una. mera
lettura dei dati di fatto e delle dichiarazioni rese da REBUSCINI e FISCHER.
2. per MARCHISELLA Giuseppe:
2.a Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione agli artt. 192 e 533 cod.
proc. pen.
Si duole, innanzitutto, la difesa del ricorrente del fatto che la sentenza
impugnata sarebbe viziata sotto il profilo della corretta valutazione della prova,
che, a suo dire, sarebbe insufficiente per affermare la penale responsabilità
dell’imputato.
Sarebbe, infatti, una mera congettura l’affermazione che allorquando il giorno in
cui venne data esecuzione dell’ordinanza cautelare nei confronti di alcuni degli
imputati il GIANNETTI effettuò alcune telefonate al cellulare di CERBASIO, una
volta scattata la segreteria telefonica si sarebbe poi rivolto al MARCHISELLA
dicendogli “Ho paura che hanno preso anche lui”, ciò perché non v’è prova che il
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La Corte di appello avrebbe trascurato tali elementi limitandosi ad affermare che

soggetto al quale GIANNETTI rivolse il commento fosse proprio il MARCHISELLA
anche alla luce dei complessivi movimenti effettuati quella mattina da
quest’ultimo.
Ma se anche quanto affermato sul punto nella sentenza fosse vero non si vede
quale incidenza probatoria ciò potrebbe avere.
Ancora: non vi sarebbe prova del fatto che il MARCHISELLA avesse in uso
l’utenza 3887924555, sarebbero privi di valenza indiziaria i contatti tra il
MARCHISELLA, il DAPOTO, il VACCA ed il GIANNETTI non avendo mai negato

dei dati relativi agli agganci delle celle telefoniche che ben possono considerarsi
come elementi ambigui.
Non vi sarebbe quindi concordanza tra gli indizi che sono stati elevati nella
sentenza ad elementi probatori attraverso un procedimento che i invece di far
convergere gli indizi verso un’unica soluzione ha fatto discendere indizi da indizi,
cosicché dalla responsabilità del FISCHER, del CERBASIO e di altri si è fatta
derivare automaticamente la responsabilità del MARCHISELLA.
Persino i riconoscimenti fotografici presentano carattere di incertezza ed è
addirittura smentita dagli atti l’affermazione secondo la quale l’utenza intestata a
Nadia BEKANI era in uso al MARCHISELLA.
E’ poi incontestabile il fatto che nessun reperto biologico sia riconducibile al
MARCHISELLA, che nessuno dei soggetti escussi ex art. 210 cod. proc. pen. ha
affermato di conoscere il ricorrente e che questi non abbia avuto alcuna reazione
a seguito della perquisizione eseguita presso l’abitazione del coimputato
CERBASIO.
2.b Violazione di legge e vizi di motivazione con riguardo all’art. 603 cod. proc.
pen.
Secondo la difesa del ricorrente sarebbero state illegittimamente rigettate le
richieste formulate ex art. 603 cod. proc. pen. e finalizzate ad ottenere un nuovo
esame del Sovr. di P.S. Gaetano CASTRONUOVO perché riferisse sull’ipotesi
investigativa derivante dalla localizzazione del MARCHISELLA nella zona centrale
di Milano nei giorni 1-2-3 febbraio 2011, nonché l’acquisizione della
documentazione allegata all’atto di appello e l’acquisizione della memoria a firma
di Pietro GIANGREGORIO e Romualdo CERBASIO.
Trattavasi secondo la difesa di elementi centrali ai fini del decidere dei quali la
Corte di appello ha rifiutato l’acquisizione con una motivazione del tutto scarna
ed inadeguata.
2.c Violazione di legge e vizi di motivazione con riguardo agli artt. 2 e 4 I.
895/67 e all’art. 628, comma 3 n. 1, cod. pen.

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l’odierno ricorrente di conoscere i predetti soggetti, ed altrettanto potrebbe dirsi

Rileva la difesa dell’imputato che la teste GAROFALO ha evidenziato che la canna
della pistola utilizzata e mostrata dai rapinatori era chiusa da tappo rosso, con la
conseguenza che non è stato corretto né ritenere sussistente il reato di
violazione della legge sulle armi né ritenere sussistente la circostanza
aggravante della rapina.
2.d Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione all’art. 61 n. 7 cod. pen.
nonché in relazione al trattamento sanzionatorio.
Si duole la difesa del ricorrente del mancato riconoscimento delle circostanze

sufficiente la motivazione addotta sul punto dai Giudici distrettuali.
La Corte di appello non avrebbe, poi, risposto al fatto che la difesa aveva
segnalato, sempre al fine del riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche, la positiva condotta processuale dell’imputato, né è stata spesa
alcuna parola in ordine all’argomento secondo il quale l’entità della pena era
stata determinata anche in considerazione dell’ingente danno patrimoniale
provocato, fatto già invero contestato con l’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod.
pen. di guisa che l’imputato sarebbe stato punito due volte per il medesimo
profilo.
3. per GIANNETTI Andrea:
3.a Mancata assunzione di una prova decisiva e vizi di motivazione ex art. 606,
lett. d) ed e), in relazione all’art. 603 cod. proc. pen.
Si duole la difesa del ricorrente del mancato accoglimento delle istanze difensive
di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale finalizzate ad accertare la distanza
tra luoghi indicati ed il tempo necessario per muoversi da un luogo all’altro tra
quelli indicati, nonché a ripetere gli esami sulla vettura Nissan Note o l’esame del
consulente di parte Prof. Vincenzo PASCALI ed a provvedere all’acquisizione della
allegata relazione datata 20/1/2015.
La Corte di appello avrebbe omesso di fornire idonea risposta alle relative
doglianze difensive e di sciogliere i dubbi sollevati con le stesse i asseritamente in
grado di dimostrare l’erroneità della decisione dei Giudici di prime cure.
3.b Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. c) ed e),
in relazione all’art. 238-bis cod. proc. pen.
Si duole la difesa del ricorrente del fatto che la Corte di appello ha ritenuto
infondato il motivo di gravame con il quale si era eccepito che il Tribunale aveva
ampiamente utilizzato, ai fini della ricostruzione della vicenda e dell’attribuzione
di responsabilità, la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare presso il
Tribunale di Milano emessa nei confronti di alcuni dei coimputati.

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attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, non essendo

Tale sentenza non era irrevocabile e l’art. 238-bis cod. proc. pen. ne precludeva
la possibilità valutativa ai fini della prova i con la conseguenza che la Corte di
appello ha fatto malgoverno sul punto della indicata disposizione normativa.
3.c Violazione di legge e vizi di motivazione della sentenza impugnata ex art.
606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 192,
comma 2, e 605 cod. proc. pen.
Sostiene la difesa del ricorrente che la sentenza della Corte di appello avrebbe
recepito pedissequamente ed acriticamente la decisione del Tribunale, non

inserito nella motivazione ulteriori elementi di aporia e dubbio nella ricostruzione
delle prove di accusa.
In sintesi i Giudici territoriali si sarebbero limitati ad operare una sommatoria di
indizi prescindendo dalla necessità di valutare singolarmente ogni prova
indiziaria, in particolare:
a)

con riguardo all’attribuzione delle schede telefoniche occulte i Giudici

distrettuali avrebbero convalidato l’attribuzione delle stesse agli imputati senza
fornire una logica risposta ai rilievi difensivi mossi con riguardo alla non
conciliabilità delle pretese localizzazioni del GIANNETTI il 5/2/2011, limitandosi a
proporre una congettura secondo la quale la scheda poteva essere stata nella
disponibilità di altri soggetti per essere poi consegnata al GIANN ETTI allorquando
questi da Trecate aveva fatto rientro a Milano e ciò senza che fosse dimostrato
che quest’ultimo era il passeggero del poi computato GIANGREGORIO in un
ipotetico percorso di rientro a Milano;
b)

con riguardo alla ritenuta rilevanza del traffico telefonico e delle

intercettazioni, le modalità di analisi e del contenuto della decisione non
sarebbero condivisibili atteso che trattasi di soggetti che non hanno mai negato
la reciproca conoscenza e la frequentazione di aree limitrofe del capoluogo
lombardo. La Corte di appello per effetto della disposta assoluzione dell’originario
coimputato DAPOTO non solo ha di fatto interrotto la descritta catena di
veicolazione dei messaggi / ma ha finito per svalutare la valenza rappresentativa
dei dati desunti dai tabulati telefonici e dalle geo-localizzazioni;
c) con riguardo ai ritenuti rapporti tra gli imputati od ai loro commenti nei mesi
successivi alla rapina, evidenzia la difesa del ricorrente l’impossibilità di
desumere un concorso nella rapina del proprio assistito solo sulla base del
commento fatto all’esito del tentativo di una telefonata del 23/5/2012 / del cui
contenuto si è già detto allorquando si è trattato del ricorso del MARCHISELLA,
oltretutto ipotizzando un incontro tra GIANNETTI e MARCHISELLA che è frutto di
mere congetture così come il fatto che il commento fosse rivolto a soggetto
presente sul posto del quale non v’è alcuna ulteriore traccia. Né sarebbe dato
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avrebbe fornito risposta logica alle articolate doglianze difensive ed avrebbe

comprendere perché tale commento doveva avere riguardo proprio alla rapina di
cui è processo e non ad altri fatti. A ciò si aggiunge il fatto che le tracciate linee
degli spostamenti di GIANNETTI e di MARCHISELLA del 23/5/2012 appaiono del
tutto indipendenti, che non sono state rinvenute chiamate telefoniche tra i due,
né luoghi di partenza comuni. Sarebbe comunque inconciliabile la tempistica
registrata rispetto agli spostamenti dell’imputato ed i Giudici del merito non
hanno dato atto di ciò; neppure sarebbero decisivi al riguardo i contatti tra il
GIANNETTI ed il coimputato VACCA o la gestualità registrata in capo a Romualdo

Busto Arsizio il 10/8/2012;
d) con riguardo alla prova biologica ed al rapporto con l’autovettura Nissan Note
si rileva che , se anche sul veicolo vi fossero state le impronte del GIANNETTI,è
comunque pacifico che egli non risulta essere stato alla guida del veicolo stesso il
giorno della rapina e che comunque il veicolo fu rinvenuto cinque mesi dopo i
fatti, con la conseguenza che egli ben potrebbe aver condotto l’autovettura
anche nei giorni successivi a quello dei fatti-reato in contestazione;
e) con riguardo alle individuazioni fotografiche ed alle descrizioni operate dai
testimoni oculari i Giudici distrettuali avrebbero omesso di rispondere alle
contestazioni difensive al riguardo i non tenendo conto del fatto che le descrizioni
fornite dai testi non erano certo individualizzanti e che le individuazioni
fotografiche sono state effettuate a notevole distanza dal momento dei fatti e
non considerando quindi il procedimento di formazione e raccolta dell’indizio.
Emblematica sarebbe sul punto la testimonianza del teste Luciano CASIRAGHI
che nell’immediatezza dei fatti riconobbe fotograficamente tali Giuseppe SCALIA
e Giuseppe ROTOLO ; indi, esaminando in epoca successiva altro album
fotografico, ha indicato la somiglianza di uno dei due con l’imputato VACCA;
f) quanto alle ipotesi di indagini alternative i Giudici della Corte di appello
avrebbero risposto inadeguatamente ed in modo sbrigativo ed incongruo alla
possibilità di percorrerle e ciò nonostante l’acquisizione di svariati elementi che
aprivano la possibilità di ipotizzare che a commettere la rapina fossero stati
soggetti diversi dagli odierni imputati (sul punto vengono evidenziati gli stessi
argomenti di cui si è già detto allorquando sì è trattato del ricorso del coimputato
VACCA);
g) con riguardo ai precedenti penali dell’imputato, nessuna rilevanza poteva
essere data agli stessi e se peraltro risulta che il GIANNETTI ha condiviso
esperienze giudiziarie con il VACCA non l’ha certo fatto anche con il coimputato
MARCHISELLA.
3.d Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, lett. b) ed e) cod. proc.
pen. in relazione agli artt. 132, 133 e 81 cpv. cod. pen.
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CERBASIO nel corso di un colloquio registrato presso la Casa Circondariale di

Si duole, al riguardo, la difesa del ricorrente della dosimetria della pena nella
determinazione della quale si sarebbe proceduto sostanzialmente a punire
l’imputato due volte sotto il medesimo profilo fattuale (tenendo conto delle
aggravanti contestate per il reato di rapina).
Non si sarebbe, poi, tenuto conto delle modalità non violente dell’esecuzione
dell’azione criminosa e non sarebbero stati correttamente presi in considerazione
i parametri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. e delle funzioni alle quali gli
stessi sono preposti con conseguente elusione dei relativi obblighi motivazionali.

cod. proc. pen. in relazione al combinato disposto degli artt. 62-bis e 132 cod.
pen.
Si duole la difesa del ricorrente del mancato riconoscimento al GIANNETTI delle
circostanze attenuanti generiche e della carenza di motivazione della Corte di
appello sul punto.
In data 21/3/2016 la difesa dell’imputato MARCHISELLA ha depositato nella
Cancelleria si questa Corte Suprema una memoria contenente anche “motivi
nuovi” con la quale Z1212:=1=51 si approfondiscono i motivi di cui al ricorso
principale ribadendo i principi secondo i quali si può addivenire ad una pronuncia
di condanna solo “al di là di ogni ragionevole dubbio”, si ricostruiscono i rapporti
ed i commenti tra gli imputati nei mesi successivi alla rapina, si contesta la
ritenuta rilevanza indiziaria del traffico telefonico e delle localizzazioni
(affermando che la Corte di appello non si è confrontata con le osservazioni
difensive al riguardo, così come non avrebbe dato risposta ad una serie di
obiezioni difensive relative alle localizzazioni ed ai contatti tra gli imputati del 22
e 23 gennaio 2011), si evidenzia che non è stato rinvenuto alcun reperto
biologico o papillare riconducibile al MARCHISELLA, si ricordano gli esiti e le
modalità delle individuazioni fotografiche e delle descrizioni effettuate dai
testimoni oculari (anche in questo caso evidenziando che la Corte di appello
avrebbe omesso di valutare le doglianze difensive sul punto), si ribadiscono gli
elementi di rilevanza delle indagini alternative, si sottolinea l’erroneità delle
valutazioni dei precedenti penali dell’imputato, nonché si evidenzia come le
prove fornite dalla difesa in relazione alle ragioni delle geolocalizzazioni del
telefono del MARCHISELLA nei giorni precedenti la consumazione della rapina
assumono significato neutro, con la conseguenza che le prove fornite dalla difesa
avrebbero portato ad una vera e propria demolizione dell’ipotesi investigativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Giova innanzitutto premettere, come del resto hanno ricordato anche le
parti ricorrenti, che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la
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3.e Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e)

,.
struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo
grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i
giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri
omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi
logico-giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione
degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Cass. Sez. 3, sent. n.
44418 del 16/07/2013, dep. 04/11/2013, Rv. 257595).
Non può quindi fare meraviglia e, per ciò che più conta in questa sede, non

che qui di occupa caratterizzata da una miriade di dati che sono stati tra loro
incrociati, il fatto che la motivazione della sentenza di appello sia in larga parte
sovrapponibile a quella dei Giudici di prime cure e, d’altro canto, non si vede che
cosa si sarebbe potuto scrivere di diverso in presenza di dati oggettivi che in sé
non vengono contestati, in quanto la contestazione verte semmai sull’uso
indiziario/probatorio che ne è stato fatto.
2. Appare, ancora, doveroso ricordare che è giurisprudenza consolidata di
questa Corte che, nella motivazione della sentenza, il giudice di merito non è
tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a
prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo
invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle
deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno
determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto
decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente
incompatibili con la decisione adottata. (in questo senso v. Sez. 6, sent. n.
20092 del 04/05/2011, dep. 20/05/2011, Rv. 250105; Cass. Sez. 4, sent. n.
1149 del 24.10.2005, dep. 13.1.2006, Rv 233187).
Del resto questa Corte ha chiarito che in sede di legittimità non è censurabile
una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col
gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza
complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è
necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed
esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per
escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei
fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza
lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicché, ove il provvedimento indichi
con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono
rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da
consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla

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costituisce certo un vizio della sentenza impugnata, in una vicenda come quella

statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di
preterizione. (Cass. Sez. 2, sent. n. 29434 del 19.5.2004, dep. 6.7.2004, rv
229220; Sez. 2, sent. n. 1405 del 10/12/2013, dep. 15/01/2014, Rv. 259643).
3. Ciò doverosamente premesso, va detto che ci si trova in presenza di un
processo caratterizzato da una considerevole mole di elementi indiziari ed è
principio consolidato nel nostro sistema processuale quello secondo il quale è
illegittima una valutazione frazionata ed atomistica dei singoli dati acquisiti,
dovendo invece seguire, alla verifica della gravità e precisione dei singoli

portata dimostrativa del fatto e la congruenza rispetto al tema di indagine.
Ne consegue che sono inammissibili i motivi di ricorso in cui si deduca la
violazione dell’art. 192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma
1, lett. e), c.p.p., per censurare l’omessa od erronea valutazione di ogni
elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed
indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in
quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati
specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., non possono essere
superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., nella
parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite
a pena di nullità (Cass. Sez. 4, sent. n. 45249 del 8/11/2012, Rv. 254274).
Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema hanno, peraltro, chiarito (cfr. sent. n.
33748 del 12/07/2005, dep. 20/09/2005, Rv. 231678) che ,in tema di
valutazione della prova indiziaria, il metodo di lettura unitaria e complessiva
dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli
indizi e non può perciò prescindere dalla operazione propedeutica che consiste
nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza
qualitativa e nel grado di precisione e gravità, per poi valorizzarla, ove ne
ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in
luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo.
In pratica, in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non
può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né
procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve valutare, anzitutto,
i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi
di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti), saggiarne
l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica) e poi procedere ad
un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di
ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria
risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di là di ogni
ragionevole dubbio” e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente

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elementi indiziari, il loro esame globale ed unitario, che ne chiarisca l’effettiva

anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di
qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine
naturale delle cose e della normale razionalità umana (cfr. in tal senso anche
Cass. Sez. 1, sent. n. 44324 del 18/04/2013, dep. 31/10/2013, Rv. 258321).
Ora, ricordando che non compete certo all’odierno Collegio l’effettuazione di un
nuovo giudizio di merito finalizzato a valutare se gli odierni ricorrenti siano
colpevoli od innocenti e tantonneno l’accertamento del se il complesso degli
elementi evidenziati era sufficiente a determinare l’affermazione della penale

esclusivamente nell’esercizio di una insindacabile valutazione discrezionale
effettuata dai Giudici del merito; e ciò in quanto al giudice di legittimità è
preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal
giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una
migliore capacità esplicativa / dato che tale modo di procedere trasformerebbe,
infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto) mentre la Corte, anche nel
quadro della nuova disciplina, è – e resta – giudice della motivazione; ne
consegue che l’unica verifica che sarà fatta sul punto riguarderà la valutazione
del rispetto dei canoni motivazionali di congruità, logicità (rectius: non manifesta
illogicità) e non contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata in
relazione ai delineati criteri di gestione del compendio indiziario.
4. Ritiene il Collegio che i Giudici di entrambi i gradi del merito abbiano fatto
buon governo dei criteri indicati.
Nessun dubbio, innanzitutto, sul fatto che ci si trovi in presenza di sentenze (che
tra loro si integrano e connplementano) ampiamente motivate su tutti i punti
essenziali che hanno portato alla decisione. Parlare quindi di motivazioni
apparenti è del tutto ultroneo oltre che palesemente infondato.
Nessun dubbio, inoltre, che il costrutto motivazionale abbia seguito un preciso
filo logico che partendo da dati che si possono definire probatoriamente certi
quali le confessioni o l’accertato coinvolgimento (ad es. per l’effetto di
rinvenimento e sequestro di beni provento della rapina) di altri soggetti nella
vicenda delittuosa, abbia poi sviluppato un’ampia serie di elementi indiziari
meticolosamente raccolti ed incrociati dagli inquirenti, finalizzati a ricollegare
anche gli odierni imputati alla vicenda stessa.
E’ altresì indubbio che ci si trova di fronte ad elementi indiziari che possono
prestarsi a letture ed interpretazioni alternative – come i difensori degli imputati
hanno correttamente evidenziato nei motivi di ricorso sopra riportati – e del
resto se così non fosse non di dovrebbe parlare di indizi quanto piuttosto di

11

responsabilità del VACCA, del MARCHISELLA e del GIANNETTI 2 perché ciò rientra

prove, ma ciò impone di valutarli non “spacchettati” (come vorrebbero i
ricorrenti) ma nel loro complesso (come hanno fatto i giudici del merito).
Ecco che allora gli elementi evidenziati nella sentenza impugnata e più ancora
specificati nella sentenza del Tribunale assumono un quadro rilevante: i contatti
telefonici e gli incontri tra gli imputati (compresi quelli autonomamente
processati) se possono essere fattori probatoriamente neutri tra soggetti che non
hanno negato di conoscersi diventano rilevanti allorquando si concentrano in
momenti topici della fase organizzativa della vicenda delittuosa e sono

pedinamenti del PUSTORINO (il responsabile della gioielleria), chiaramente
finalizzati a studiare con esattezza modi e tempi per la consumazione dell’azione
delittuosa, lo spostamento dei veicoli strumentali alla consumazione della stessa
od ai sopralluoghi.
Si tratta di elementi che, anche se di per sé non risolutivi, da “neutri” divengono
rilevanti e che si vanno ad aggiungere ad altri che ancora una volta, nel quadro
generale /finiscono per assumere un significato: si pensi al fatto che persino i non
contatti assumono rilievo nel momento in cui – guarda caso – i telefoni “ufficiali”
degli imputati sono non operativi proprio nell’arco temporale della consumazione
della rapina.
Ma il quadro probatorio si arricchisce in una sapiente e progressiva opera di
incastonatura di elementi / ben delineata nella motivazione dei giudici del merito:
si pensi alle preoccupazioni manifestate in occasione dell’esecuzione dei
provvedimenti restrittivi nei confronti dei coimputati (è il caso del commento
fatto dal MARCHISELLA / allorquando tentò di contattare uno dei compiutati che fu
arrestato quel giorno), si pensi ancora al rinvenimento delle tracce biologiche del
GIANNETTI (oltre che di quelle del coimputato GIANGREGORIO) sull’autovettura
Nissan che fu utilizzata per fare accedere i primi due autori materiali della rapina
nel palazzo nel quale la stessa fu compiuta: certo è che anche quest’ultimo è un
indizio, ben essendo possibile che il GIANNETTI abbia preso posto (più volte
come indicato dal consulente) sul veicolo di provenienza illecita anche prima o
dopo la consumazione dell’azione delittuosa, ma tale indizio si ammanta di
A. tu,’
anch’esso a costituire un pezzo
coloritura probatoria nel momento
(importante) del puzzle ricostruito dagli inquirenti.
Ancora si pensi alla c.d. “schede telefoniche occulte”, all’evidenza utilizzate per
mantenere i contatti tra i componenti della batteria criminale / in relazione a due
delle quali è stato ammesso l’uso da parte dei coimputati Franco FISCHER e
Giuseppe REBUSCINI, una terza è stata attribuita al coimputato Pietro
GIANGREGORIO ed un quarta al MARCHISELLA.

12

corrispondenti per tempo e/o luogo ad altri elementi emersi nell’indagine quali i

Sotto quest’ultimo profilo si può solo dare atto che i ricorrenti non hanno fornito
alcun elemento concreto e documentato idoneo a smentire tali accertamenti di
fatto e che non può certo parlarsi nel caso di specie di travisamento della prova /
atteso che con riguardo alla decisione in ordine agli odierni ricorrenti ci si trova
dinanzi ad una c.d. “doppia conforme” e cioè doppia pronuncia di eguale segno
per cui il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di
legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione)
che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta

secondo grado. Il vizio di motivazione può infatti essere fatto valere solo
nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione ha riformato quella di primo grado nei
punti che in questa sede ci occupano, non potendo, nel caso di c.d. “doppia
conforme”, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità,
salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche dei motivi di
gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo
giudice (Cass. Sez. 4, sent. n. 19710/2009, Rv. 243636; Sez. 1, sent. n.
24667/2007; Sez. 2, sent. n. 5223/2007, Rv 236130).
Per non dire poi del contenuto delle individuazioni fotografiche operate dalle
persone offese atteso che:
a) VACCA è stato ritenuto somigliante ad uno dei rapinatori dai testi GIRALDO,
FRACCARO e CASIRAGHI;
b) MARCHISELLA è stato ritenuto somigliante ad uno dei rapinatori dai testi
PUSTORINO, FRACCARO, GIRALDO e GAROFALO;
b) GIANNETTI è stato ritenuto somigliante ad uno dei rapinatori dai testi
PUSTORINO, GIRALDO e FRACCARO.
I Giudici del merito hanno correttamente dato atto che non si è trattato di
riconoscimenti certi avendo i testi manifestato i limiti del proprio dire e facendo
riferimento oltre che al travisamento dei personaggi anche al tempo trascorso,
ma hanno anche precisato una sostanziale congruenza tra le descrizioni offerte
dai testimoni e le caratteristiche di età ed antropometriche dei tre odierni
imputati.
Trattasi anche questo di un elemento indiziario che però è stato correttamente
letto e valutato nel complessivo quadro probatorio, ritenuto ragionevolmente e
comunque non illogicamente dotato di compiuta efficacia persuasiva ai fini della
affermazione della penale responsabilità degli imputati.
In tale ottica, persino i precedenti penali specifici degli imputati, pur nulla valendo
– ovviamente – come elemento in sé per la formazione della prova i sono andati a
costituire un pezzo, seppure piccolissimo ma non certo dissonante, con il

13

introdotto come oggetto di valutazione della motivazione del provvedimento di

complesso quadro ricostruito dal Tribunale e confermato dalla Corte di appello
nella sentenza qui impugnata.
Quanto detto rende infondate le censure in materia di valutazione del compendio
indiziario ed irrilevanti ai fini di costituire vizio della sentenza impugnata gli
elementi a contrario indicati nei ricorsi esaminati.
5. Meritevoli di autonoma trattazione si presentano poi alcune connesse
questioni specificamente evidenziate nei ricorsi.
Si lamenta, in particolare, nei ricorsi formulati nell’interesse degli imputati

particolare di quella che trae origine da una primigenia individuazione fotografica
effettuata dal teste Luciano CASIRAGHI che aveva individuato (comunque non in
termini di certezza) i due rapinatori visti uscire dalla gioielleria in Giuseppe
SCALIA e Gianluca ROTOLO.
Rilevano i ricorrenti che l’informazione fornita dal CASIRAGHI avrebbe, inoltre,
trovato conforto probatorio sia in una annotazione della Questura di Palermo
(fondata su fon & confidenziale – ndr.) che aveva indicato lo SCALIA come uno
degli autori della rapina, sia nell’analisi dei fotogrammi relativi ai passaggi dei
veicoli e motocicli attraverso il varco Ecopass di Milano, Corso Venezia, il giorno
della rapina dove era stato registrato il passaggio / oltre che di due dei veicoli di
provenienza delittuosa di cui alle imputazioni / anche di uno scooter Suzuki
Burgman intestato a MAGGIO Stefania, moglie del ROTOLO.
Secondo il Tribunale fu accertato che il ROTOLO il giorno della rapina si trovava
regolarmente al lavoro, ma tale fatto non risulta provato in quanto in
un’annotazione dell’Isp. QUARANTA della Polizia di Stato datata 21/3/2011 è
emerso che non è stato possibile accertare se il ROTOLO fosse effettivamente al
lavoro.
Al riguardo pare sufficiente osservare che i Giudici del merito si sono
adeguatamente occupati della questione e che, indipendentemente dalla effettiva
verifica e sussistenza dell’alibi del ROTOLO il giorno della rapina, hanno
sostanzialmente chiarito in modo congruo e logico che la pista investigativa
SCALIA/ROTOLO, contrariamente a quanto avvenuto per gli odierni ricorrenti,
non ha trovato alcun conforto perché non è emerso alcun collegamento tra
costoro e gli altri soggetti che, come detto, sono risultati coinvolti nell’azione
delittuosa quali ad esempio il FISCHER od il REBUSCINI.
Trattasi quindi di questione reiteratamente riproposta anche in questa sede, che
ha già ottenuto adeguata risposta nelle opportune sedi di merito e che è a tal
punto infondata da non essere meritevole di ulteriore attenzione.
6. Inammissibili in quanto proposte in maniera del tutto generica sono le
doglianze contenute nei ricorsi formulati nell’interesse degli imputati VACCA e

14

VACCA e GIANNETTI del mancato doveroso sondaggio di piste alternative ed in

”.

,

GIANNETTI e legate ad una asserita violazione dell’art. 238-bis cod. proc. pen.
per avere i Giudici del merito fatto un’indebita utilizzazione della sentenza non
ancora irrevocabile emessa dal Giudice per l’udienza preliminare di Milano nei
confronti di altri coimputati (FISCHER, REBUSCINI ed altri).
Non sono, infatti, specificati nei ricorsi i punti in cui sarebbe stata fatta una
indebita utilizzazione di detta sentenza e non compete certo all’odierno Collegio
un raffronto visivo tra i due documenti al fine di individuare un indebito utilizzo
(come prove) dei fatti ivi accertati.

coimputati sono stati condannati in maniera non irrevocabile non è certo vietata
e che i ricorrenti non hanno indicato anche un solo elemento utilizzato contro gli
stessi e menzionato nella sentenza impugnata che non sia stato raccolto nella
naturale sede dibattimentale nella quale sono stati processati.
7. Infondate sono le doglianze relative al mancato accoglimento delle
richieste di rinnovazione istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen. menzionate nei
ricorsi degli imputati MARCHISELLA e GIANNETTI.
Sul punto deve essere ricordato che l’art. 603 cod. proc. pen. prevede
sostanzialmente o che l’assunzione di nuove prove (o la riassunzione di quelle
già raccolte) può essere effettata dal giudice solo allorquando ritenga di non
essere in grado di decidere allo stato degli atti, ovvero quando ci si trovi in
presenza di prove nuove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo
grado.
Questa Corte ha affermato (ed il Collegio condivide l’assunto) che “per prova, la
cui mancata assunzione può costituire motivo di ricorso per cassazione, deve
intendersi solo quella che, confrontata con le ragioni poste a sostegno della
decisione, risulti determinante per un esito diverso del processo, e non anche
quella che possa incidere solamente su aspetti secondari della motivazione
ovvero sulla valutazione di affermazioni testimoniali da sole non considerate
fondanti della decisione prescelta” (Cass. Sez. 1, sent. n. 4836 del 5.4.1994,
dep. 28.4.1994, Rv 198620).
In altri termini “Il vizio della sentenza di cui all’art. 606, lett. d) cod. proc. pen.
(mancata assunzione di una prova decisiva quando la parte ne ha fatto richiesta
a norma dell’art. 495, comma secondo, dello stesso codice) consiste in una sorta
di “error in procedendo”, ravvisabile solamente quando la prova richiesta e non
ammessa, confrontata con le argomentazioni formulate in motivazione a
sostegno ed illustrazione della decisione, risulti tale che, se esperita, avrebbe
sicuramente determinato una diversa pronuncia; perché si configuri il vizio “de
quo” deve cioè necessariamente sussistere la certezza della decisività della prova
ai fini del giudizio e dell’idoneità dei fatti che ne sono oggetto ad inficiare le

15

Per il resto basta osservare che la mera menzione del fatto che altri originari

ragioni poste a base del convincimento manifestato dal giudice” (Cass. Sez. 2,
sent. n. 2380, del 27.1.1995, dep. 9.3.1995 Rv 200980).
Inoltre “il vizio di cui all’art. 606, comma primo, lett. d) cod. proc. pen. (mancata
assunzione di prova decisiva) rileva solo quando la prova richiesta e non
ammessa, confrontata con le argomentazioni a sostegno della decisione
adottata, risulti “decisiva”, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto
determinare una diversa soluzione. La valutazione di siffatta decisività deve
quindi essere compiuta accertando se i fatti indicati dal ricorrente nella relativa

fondamento del convincimento del Giudice” (Cass. Sez. 1, sent. n. 12584 del
21.10.1994, dep. 20.12.1994, Rv 200073).
Pertanto “il diritto della parte a vedersi ammettere prove contrastanti con
l’accusa, la cui mancata assunzione è denunciabile con ricorso per cassazione ex
art. 606 lett. d) in relazione all’art. 495, comma secondo cod. proc. pen., va
rapportato, per verificarne il fondamento, alla motivazione della sentenza
impugnata. Viene, infatti, ad essere priva di fondamento la censura che denunzi
il rigetto, sul punto, della istanza difensiva, se tale rigetto risulti sorretto da
argomentazioni logiche, idonee a dimostrare che le cosiddette controprove,
dedotte dalla parte, non possono modificare il peso delle prove di accusa” (Cass.
Sez. 6, sent. n. 11411 del 14.10.1993 dep. 14.12.1993 rv 198554).
Ora il teste CASTRONUOVO era già stato sentito e non si vede quale
impedimento abbia avuto il difensore a chiedergli tutti i chiarimenti necessari in
occasione dell’audizione dello stesso essendo gli accertamenti compiuti già stati
presentati nel corso del giudizio di primo grado, né è stato chiarito in questa
sede cosa avrebbe potuto dire di più o di diverso; la determinazione della
distanza tra luoghi indicati nel ricorso è un dato notorio ed oggettivo che ben la
difesa avrebbe potuto documentare anche mediante la produzione di una cartina
della città di Milano e non è certo un elemento nuovo o sopravvenuto; il tempo
necessario per muoversi da un luogo all’altro tra quelli indicati nel ricorso è un
fattore assolutamente incerto,dipendente da una serie di variabili soprattutto
all’interno di una città ? che non può certo essere assunto a fattore decisivo;
l’esame del consulente di parte Prof. Vincenzo PASCAL nonché l’acquisizione
della allegata relazione datata 20/1/2015 non sono certo elementi nuovi (non
potendo essere considerati quelli all’uopo creati dalla parte processuale) e che
ben avrebbero potuto essere esperiti in sede di giudizio di primo grado (né si può
parlare di prove “scoperte” in un momento successivo); la rinnovazione degli
esami della vettura Nissan Note richiedeva il disporre una perizia ; ma questa
Corte ha già avuto di chiarire che “la perizia non rientra nella categoria della
“prova decisiva” ed il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai

16

richiesta siano tali da potere inficiare tutte le argomentazioni poste a

sensi dell’art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., in quanto costituisce il
risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è
insindacabile in cassazione (Cass. Sez. 6, sent. n. 43526 del 03/10/2012, dep.
09/11/2012, Rv. 253707).
Quanto, infine, alla motivazione legata al rigetto delle istanze di rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale la Corte di appello, con una motivazione sì sintetica
ma che ha chiarito il proprio pensiero soprattutto dopo avere illustrato nelle
prime 68 pagine della propria sentenza tutti gli elementi a carico degli odierni
stanze di rinnovazione dell’istruttoria riCrl:M1WE9 non ~-0

accoglibili in quanto superflue e non idonee a smentire e contrastare i molteplici
punti sui quali poggia le decisione.
Tanto basta per ritenere infondate le doglianze difensive al riguardo.
8.

Manifestamente infondata è la questione sollevata dalla difesa

dell’imputato MARCHISELLA in relazione al fatto che, poiché la teste GAROFALO
ha evidenziato che la canna della pistola utilizzata e mostrata dai rapinatori era
chiusa da tappo rosso ,non è stato corretto né ritenere sussistente il reato di
violazione della legge sulle armi, né ritenere sussistente la circostanza
aggravante della rapina.
Va detto subito che dalla lettura di pag. 19 della sentenza impugnata emerge
che la predetta teste ha dichiarato “con qualche incertezza” che l’arma
impugnata dal malvivente con parrucca chiara “forse” aveva un tappino rosso.
I Giudici del merito hanno però chiarito che ciò non rileva l in quanto nell’azione
delittuosa furono utilizzate anche altre armi.
Ritiene il Collegio di evidenziare come l’affermazione dubbiosa della teste, come
tale valutabile alternativamente, appare essa sì piuttosto illogica nel momento in
cui si voglia sostenere i come fa la difesa del ricorrente i che l’arma maneggiata da
uno dei rapinatori effettivamente presentava il prescritto tappo rosso. In
presenza di una rapina miliardaria, organizzata con dispiego di uomini e di mezzi
e con meticolosa attenzione ai particolari e con la necessità di tenere in scacco e
sotto minaccia almeno quattro persone, appare a dir poco singolare – per non
dire altro – che gli autori possano essersi presentati nel teatro dell’azione con
un’arma (vistosamente) giocattolo.
9.

Manifestamente infondate sono, infine, le questioni che appaiono

meritevoli di trattazione congiunta relative al mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche ed alla dosimetria della pena irrogata agli
imputati così come sollevate dagli imputati MARCHISELLA e GIANNETTI.
Risulta chiaramente dalla lettura della sentenza impugnata che il mancato
riconoscimento agli imputati delle circostanze attenuanti generiche è stato legato
ad una serie di fattori chiaramente esplicitati a pag. 68 della sentenza impugnata

17

ricorrent

che a sua volta ha ripreso analoghe osservazioni delle sentenza del Tribunale
nelle quali si sono sottolineati:
a) i precedenti penali degli imputati che avrebbero addirittura dovuto portare alla
contestazione agli stessi di importanti recidive, specifiche e reiterate: rapine e
violazione della legge sulle armi, sequestri di persona ed associazioni per
delinquere (VACCA e GIANNETTI), oltre ad omicidi e tentati omicidi
(MARCHISELLA e VACCA) e che la personalità degli stessi /che hanno già scontato
lunghi periodi di carcerazione senza avere modificato il loro stato di vita / non

attenuanti generiche;
b) la congruità della pena irrogata a ciascuno degli imputati legata alle modalità
del fatto, frutto di articolato studio e preparazione con particolare intensità del
dolo, delle prolungate minacce alle vittime alla quali non solo da subito furono
rannmostrate le armi ma che erano state ulteriormente soggiogate con la
minaccia di un ordigno esplosivo incollato al polpaccio del PUSTORINO, fatto
commesso in concorso di una pluralità di persone e causativo non solo di
rilevanti danni patrimoniali ma anche morali.
Non v’è dubbio che tale motivazione sia assolutamente congrua e logica e che
abbia ampiamente tenuto conto dei parametri di cui agli artt. 132 e 133 cod.
pen.
Del resto è appena il caso di ricordare che nel motivare il diniego della
concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti
decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale
valutazione (Cass. Sez. 3, sent. n. 28535 del 19/03/2014, dep. 03/07/2014, Rv.
259899).
Così come è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema
quello secondo il quale la graduazione della pena, anche in relazione agli
aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti,
rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per
fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod.
pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione,
miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione
non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da
sufficiente motivazione (Cass. Sez. 5, sent. n. 5582 del 30/09/2013, dep.
04/02/2014, Rv. 259142)i parametri certamente rispettati nel caso in esame da
parte dei Giudici di merito.

18

permette di ravvisare alcuno spazio per la concessione delle circostanze

Infine, deve essere rilevata la manifesta infondatezza della doglianza secondo la
quale vi sarebbe stata una doppia punizione per la medesima circostanza nel
momento in cui la gravità del danno patrimoniale è stata presa in considerazione
sia ai fine della determinazione della pena sia al fine della configurabilità della
circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen.
In realtà basta leggere con la dovuta attenzione la motivazione della sentenza
impugnata per rendersi conto di come la determinazione della pena è stata
legata anche ad un’altra serie di elementi sopra esplicitati che vanno ben al di là

10. Da quanto sopra consegue il rigetto di tutti i ricorso in esame, con
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il giorno 8 aprile 2016.

del solo danno patrimoniale causato alla parte lesa.

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