Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21028 del 21/04/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21028 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Arrigo Pasquale, nato a Patti, il 31/8/1942;

avverso la sentenza del 8/4/2015 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pìstorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Giulio
Romano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Attilio Scarcella, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1

Data Udienza: 21/04/2016

1.Con la sentenza impugnata il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha confermato la
condanna, pronunziata anche agli effetti civili, di Arrigo Pasquale per il reato di
minaccia commesso ai danni di Zamblera Rosalia.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando
quattro motivi. Con il primo deduce errata applicazione della legge penale in merito alla
ritenuta configurabilità del delitto di cui all’art. 612 c.p. attesa la sostanziale
inoffensività delle frasi attribuite all’imputato, inidonee a coartare la libertà morale della

sussistenza del reato. Con il secondo lamenta violazione di legge e correlati vizi della
motivazione in merito alla ritenuta attendibilità della persona offesa nonostante il
contraddittorio riconoscimento della parzialità del riscontro offerto alle sue dichiarazioni
dalla deposizione del merito, denunziando altresì l’omessa valutazione di quella
dell’imputato. Non di meno il Tribunale avrebbe omesso di valutare anche l’avvenuta
archiviazione del procedimento relativo al concorrente reato di danneggiamento
denunziato dalla persona offesa. Con il terzo motivo il ricorrente eccepisce il mancato
riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., mentre con il
quarto estende le doglianze illustrate in precedenza al capo della sentenza ad oggetto
le statuizioni civili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e per certi versi inammissibile e deve conseguentemente
essere rigettato.
2. Invero infondati e per certi versi inammissibili sono i primi due motivi.
2.1 Quanto alla configurabilità della contestata minaccia va innanzi tutto ribadito che
nel reato di cui all’art. 612 c.p., elemento essenziale è la limitazione della libertà
psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere
cagionato dall’autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di
intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima, essendo sufficiente la sola
attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante, invece, l’indeterminatezza del male
minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione
contingente (ex multis Sez. 5, n. 45502 del 22 aprile 2014, Scognannillo, Rv. 261678).
In tal senso le doglianze del ricorrente si risolvono innanzi tutto nel tentativo di
prospettare che la persona offesa non avrebbe subito alcun turbamento, circostanza
come detto irrilevante ai fini dell’integrazione del fatto tipico e comunque smentita dalla
sentenza con argomentazioni tratte dalla deposizione del marito della vittima in realtà
2

persona offesa e comunque non sostenute dall’elemento soggettivo richiesto per la

non confutate dal ricorso. Per il resto le censure proposte si esauriscono nell’assertiva
affermazione dell’inoffensività delle farsi pronunziate dall’imputato, che invece
correttamente il Tribunale ha ritenuto presentare un oggettivo contenuto intimidatorio,
non rilevando ai fini dell’integrazione del fatto tipico il grado di concreta lesività della
condotta posta in essere.
2.2 Quanto alle presunte lacune nella valutazione del compendio probatorio, sono
innanzi tutto generiche le lamentele del ricorrente che si traducono nella denunzia
dell’omessa considerazione di risultanze processuali solo sommariamente evocate e in

Sono invece manifestamente infondate le ulteriori critiche del ricorrente, atteso che il
Tribunale ha fatto buon governo delle regole dettate da questa Corte per la valutazione
probatoria delle dichiarazioni della persona offesa. In tal senso, infatti, è irrilevante che
il marito della stessa abbia potuto confermare solo una parte dello scambio verbale tra
la moglie e l’imputato atteso che il senso dei principi elaborati dalla giurisprudenza di
legittimità (da ultimo consacrati da Sez. Un., n. 41461 del 19 luglio 2012, Bell’Arte ed
altri, Rv. 253214) è quello di imporre un vaglio rinforzato dell’attendibilità del
testimone portatore di un astratto interesse a rilasciare dichiarazioni etero accusatorie
e non certo quello di negare l’autonomo valore probatorio delle stesse. In tal senso,
qualora possa risultare opportuna l’acquisizione di positive conferme esterne a tali
dichiarazioni, queste possono consistere in qualsiasi elemento di fatto idoneo ad
escludere l’intento calunnatorio della persona offesa, ma non devono certo risolversi
necessariamente in autonome prove del fatto imputato, né devono assistere ogni
segmento della narrazione della stessa, posto che la loro funzione è sostanzialmente
quella di asseverare la sua credibilità soggettiva.
2.3 Conseguentemente infondato è anche il quarto motivo, che invero si esaurisce
nell’estendere le doglianze già confutate alla condanna al risarcimento del danno, senza
attingere specifici ulteriori profili attinenti le statuizioni civili.

3. Manifestamente infondato è invece il terzo motivo. Come questa Corte ha infatti già
avuto modo di precisare nel procedimento innanzi al giudice di pace non si applica la
causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p.,
prevista esclusivamente per il procedimento davanti al giudice ordinario, trovando
invece applicazione la speciale disciplina di cui all’art. 34 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274
implica una delibazione più ampia di quella richiesta ai sensi del menzionato art. 131bis (Sez. F, n. 34672 del 6 agosto 2015, Cacioni, Rv. 264702; Sez. 7, n. 1510/16 del 4
dicembre 2015, Bellomo, Rv. 265491; Sez. 4, n. 31920 del 14/07/2015 – dep.
21/07/2015, Marzola, Rv. 264420). Correttamente dunque il Tribunale non ha tenuto
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alcun modo documentate, circostanza che rivela il difetto di autosufficienza del ricorso.

conto della novella legislativa che ha introdotto nel codice penale la menzionata causa
di non punibilità.
P.Q.M.
Rigetta ilricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 21/4/2016

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