Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21016 del 07/05/2015


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Penale Ord. Sez. 3 Num. 21016 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRILLO RENATO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DALL’ACQUA ALESSANDRO N. IL 02/02/1970
FEDERICO ANTONIO N. IL 18/07/1947
UGOLINI GIAN ANDREA N. IL 29/09/1959
avverso la sentenza n. 2603/2013 CORTE APPELLO di ANCONA, del
10/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. icubori L.L0f2.k,
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che ha concluso per eti AnA
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. ritft-A.,
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Data Udienza: 07/05/2015

RITENUTO IN FATTO

1.1 La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 10 giugno 2014, confermava la
sentenza emessa in data 19 marzo 2013 dal Tribunale di Pesaro in composizione monocratica
nei confronti di UGOLINI Gian Andrea, DALL’ACQUA Alessandro e FEDERICO Antonio, imputati
dei reati di cui agli artt. 44 lett. c) D.P.R. 380/01 (capo A) della rubrica); 181 comma 1 e 1 bis
D. Lgs. 42/04 (capo B) della rubrica); 6 e 30 commi 1 e 8 della L. 394/91 (capo C) della

della rubrica – fatti accertati tra il 24 gennaio 2006 e il 27 febbraio 2008, con la quale i
predetti erano stati condannati per il delitto di cui al capo B), previo riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi otto di reclusione ciascuno e prosciolti dalle
rimanenti imputazioni contravvenzionali per intervenuta prescrizione.
1.2 La Corte distrettuale, nel richiamare integralmente la motivazione della sentenza del
Tribunale ribadiva la irrilevanza dell’avvenuto rilascio del certificato di compatibilità
paesaggistica, evidenziando che l’assenza di danno ambientale non rilevava ai fini della
scriminante della condotta. La Corte territoriale escludeva anche che gli interventi edilizi
fossero nninimali (circostanza che, se vera, avrebbe dovuto comportare la non configurabilità
del reato paesaggistico), confermando trattarsi di reato di pericolo presunto, pur riconoscendo
che si trattava di interventi di modesta entità (maggiorazione dell’altezza al colmo di circa 55
cm. rispetto a quella originaria; modifica della falda unica di copertura con incrementi
volumetrici conseguenti all’innalzamento della quota dì gronda e realizzazione dell’autorimessa
ad una quota superiore rispetto a quella autorizzata e resa interrata con riporti di terreno).
1.3 Avverso la detta sentenza ricorrono gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori. La
difesa dei ricorrenti UGOLINI e FEDERICO lamenta, con un primo motivo, inosservanza ed
erronea applicazione della legge penale, nonchè difetto di motivazione per contraddittorietà ed
illogicità manifesta per avere la Corte territoriale omesso di tenere conto dell’avvenuto rilascio
del certificato di compatibilità paesaggistica e del parere favorevole della Sopraintendenza ben
prima del rilascio del permesso di costruire, sottolineando come tutte le modifiche intervenute
e non autorizzate erano poi state sanate sulla base anche del parere positivo della
Sopraintendenza ai Monumenti. Evidenzia la difesa che da parte della Corte territoriale non è
stato dato rilievo alla mancanza di offensività, nella specie da escludere proprio a causa della
natura minimale degli interventi tali da risultare inidonei a recare il danno paesaggistico. Con
un secondo motivo la difesa deduce vizio di travisamento della prova in riferimento
all’affermato incremento di cubatura in realtà derivante solo dalla necessità di effettuare
adeguamenti termici e sismici, oltretutto sanati. Motivi sostanzialmente analoghi deduce la
difesa del ricorrente DALL’ACQUA evidenziando l’inidoneità in astratto degli interventi edilizi a
causare un danno ambientale.
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rubrica); 93, 94 e 95 D.P.R. 380/01 (capo D) della rubrica) e 65 e 72 stesso D.P.R. (capo E)

Con motivi aggiunti la difesa dei ricorrenti ha invocato l’applicazione del D. Lgs. 28/15 in
tema di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, ritenendo sussistenti i presupposti
per fruire della norma di favore anche in relazione ad una asserita “inoffensività” del fatto; ha
poi invocato l’estinzione del residuo reato per prescrizione asseritamente maturata nel marzo
del 2015 in relazione alla data di ultimazione delle opere risalente, come affermato dalla Corte
Distrettuale al mese di ottobre 2007.

CONSIDERATO IN DIRITTO

tenuto conto del fatto che la richiesta di emissione di sentenza di non punibilità per la
particolare tenuità del fatto, sebbene avanzata dal difensore dei ricorrenti UGOLINI e
FEDERICO con motivi aggiunti tempestivamente e ritualmente depositati, presuppone
comunque un esame circa una eventuale manifesta infondatezza del ricorso o altra causa di
inammissibilità.
2. Orbene va premesso che a tutti gli imputati sono stati contestate numerose ipotesi
contravvenzionali in materia urbanistica (art. 44 comma 1 lett. c) D.P.R. 380/01; 6 e 30 della
L. 394/91) edilizia (artt. 93, 94 e 95 stesso D.P.R.) e antisismica (artt. 65 e 72 stesso D.P.R.),
oltre che il delitto di cui all’art. 181 comma 1 bis D.Lgs. 42/04. Si tratta di condotte poste in
essere in riferimento ad interventi edilizi di ampliamento, trasformazione e modificazione dello
stato delle opere oltre che modifica delle destinazioni d’uso in variazione essenziale e in
difformità al permesso di costruire n. 255 del 22 agosto 2005, eseguiti in zona sottoposta a
vincolo paesaggistico-ambientale.
3. Va anche doverosamente segnalato che per tutte le contravvenzioni era stata dichiarata
l’estinzione per intervenuta prescrizione già con la sentenza di primo grado (poi confermata,
sul punto, dalla Corte territoriale) e che, verosimilmente dopo la decisione di secondo grado
era intervenuta la concessione in sanatoria da parte dell’Autorità amministrativa (Comune di
Pesaro) anche sulla base del parere favorevole espresso dalla Sopraintendenza ai Beni
Ambientali che aveva altresì rilasciato il certificato di compatibilità paesaggistica.
3.1 II ricorso viene proposto solo con riferimento al residuo reato di cui all’art. 181 comma
1 bis del D. Lgs. 42/04, relativamente al quale si sostiene da parte delle difese dei ricorrenti
l’insussistenza di opere tali da essere idonee in astratto a ledere il bene giuridicamente
tutelato, risultando gli interventi del tutto inoffensivi e comunque minimali
4.

Ragioni di economia processuale suggeriscono di richiamare, condividendosene il

contenuto, l’articolata motivazione figurante nella sentenza di questa Sezione 4.2.2014 n.
7343, non massimata in cui sono riassunti i tratti essenziali della disciplina contenuta nell’art.
181 comma 1 bis del D. Lgs. 42/04, come tratteggiati ripetutamente dalla giurisprudenza di
questa Corte Suprema.

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1. Ragioni di priorità logica suggeriscono di trattare per primi i motivi originari di ricorso,

5. Quanto alla natura del reato contemplato in tale norma si tratta di reato formale e di
pericolo che viene in essere indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con la
semplice esecuzione di interventi non autorizzati idonei ad incidere negativamente
sull’originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione (vds. oltre a Sez. 3^ 7343/14 anche
Sez. 3^ 8.2.2013 n. 6299 e Sez. 3^ 18.7.2011 n. 28277)
5.1 E’ stato anche affermato in più occasioni che assume rilievo, ai fini delle configurabilità
del reato

de quo,

qualsiasi intervento che risulti astrattamente idoneo ad incidere,

stato eseguito in assenza o in difformità della prescritta autorizzazione. Così come si è
rimarcato che l’individuazione della potenzialità lesiva di detti interventi va effettuata con
giudizio ex ante, volto ad accertare non già se vi sia stato un danno al paesaggio ed
all’ambiente, bensì se il tipo di intervento fosse astrattamente idoneo a ledere il bene giuridico
tutelato (v. tra le tante Sez. 3^ 28.3.2003 n. 14461; 20.3.2003 n. 12863) il che implica una
preventiva valutazione da parte dell’ente preposto alla tutela del vincolo per ogni intervento,
anche modesto e diverso da quelli contemplati dalla disciplina urbanistica ed edilizia.
5.2 Da qui la coerente conclusione, condivisa da questo Collegio secondo la quale il reato
paesaggistico è configurabile anche se la condotta sia consistita nell’esecuzione di interventi
senza autorizzazione i cui effetti, per il mero decorso del tempo e senza l’azione dell’uomo,
siano venuti meno restituendo ai luoghi l’originario assetto (in termini Sez. 3^ 8.2.2013 n.
6299).
5.3 Quanto alla esclusione della punibilità si è ribadito che ciò può avvenire nelle residuali
ipotesi in cui siano stati effettuati interventi di “minima entità”, inidonei, in astratto, a porre in
pericolo il paesaggio, e a pregiudicare il bene paesaggistico – ambientale (così Sez. 3^
23.9,.2013 n. 39049).
5.4 E tali principi – per quanto qui rileva – sono stati riaffermati anche con riferimento alla
fattispecie delittuosa disciplinata dall’art. 181 comma 1 bis del medesimo D. Lgs. (Sez. 3^
26.9. 2011 n. 34764).
5.5 E’ stato anche affrontato in più riprese il problema rappresentato dalla incidenza del
cd. principio di offensività, richiamato dai ricorrenti per escluderne la sussistenza nel caso
sottoposto all’esame di questo Collegio, ricordandosi pure quanto osservato, in tema, dalla
Corte Costituzionale con la sentenza n. 247/97 secondo la quale anche per i reati ascritti alla
categoria di quelli formali e di pericolo presunto od astratto “è sempre devoluto al sindacato
del giudice penale l’accertamento in concreto dell’offensività specifica della singola condotta,
dal momento che, ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene
giuridico tutelato, viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta e si
verte in tema di reato impossibile, ex art. 49 c.p.” (sentenza n. 360 del 1995; v. per le
citazioni anche Sez. 3^ 34764/11 cit.). In quest’ultima pronuncia veniva precisato che il

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modificandolo, sull’originario assetto del territorio sottoposto a vincolo paesaggistico e che sia

suddetto principio deve essere considerato non tanto sulla base di un concreto apprezzamento
di un danno ambientale, quanto, piuttosto, per l’attitudine della condotta a porre in pericolo il
bene protetto (affermazione poi ribadita da Sez. 3^ 22.3.2013 n. 13736).
5.6 Così come era stato affrontato il parallelo tema della rilevanza di eventuali valutazioni
postume di compatibilità paesaggistica delle opere abusivamente realizzate (nella specie
intervenute e ricordate anche dalla Corte territoriale), ai fini della valutazione della offensività
della condotta che si è ritenuta permanesse, giudicandosi irrilevante, ai fini del

competenti alla tutela del vincolo (Sez. 3^ 17.3.2005 n. 10463).
5.7 Offensività che si è detto potersi escludere soltanto in ambiti estremamente circoscritti
ed assolutamente marginali concernenti casi in cui l’assenza di pericolo di lesione del bene
tutelato sia verificabile ictu ocu/i (in termini Sez. 3^ 31.5.2000 n. 1401).
5.8 Del resto tali conclusioni trovano ulteriore conferma – come affermato nella
menzionata decisione n. 7343/14 nelle disposizioni contenute nell’art. 146 comma 4 del
D.Lgs. n. 152/06 il quale stabilisce che l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata
in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, anche se, con
riferimento ai cosiddetti abusi minori, la valutazione di compatibilità paesaggistica effettuata ai
sensi dell’art. 167, commi 4 e 5, impedisce l’applicazione della sola sanzione penale, restando
ferma, come disposto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 ter, l’applicazione delle
misure amministrative pecuniarie previste dall’art. 167.
5.9 II che autorizza a riaffermare che la procedura di verifica postuma della compatibilità
paesaggistica dell’intervento è limitata a casi del tutto marginali, riguardando le ipotesi di
lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano
determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento dì quelli legittimamente
realizzati; ovvero l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica ovvero
ancora interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’art. 3 del D.P.R.
380/01.
6. Va detto allora che la Corte distrettuale si è attenuta a tali principi, sia puree limitandosi
a compendiare le argomentazioni sviluppate dal primo giudice. Quel che è mancato, quindi, è
un più penetrante esame della vicenda nel suo complesso alla luce dei nuovi elementi di
valutazione offerti dalla difesa.
6.1 In questo senso può allora dirsi che le censure sollevate con i ricorsi non risultano
prima facie infondate.
6.2 Per ragioni logiche correlate a tale conclusione deve procedersi all’esame della
questione sollevata in punto di sopravvenuta estinzione del reato residuo per intervenuta
prescrizione: la quale, secondo la tesi della difesa, sarebbe maturata, per il principio del
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favor

perfezionamento della fattispecie, la mancanza di danno ambientale attestata dalle autorità

rei collegato alla data di commissione del reato (indicata genericamente nell’ottobre 2007), nel
mese di marzo 2015.
6.3 Dall’esame degli atti processuali, compulsabili in relazione alla natura della specifica
deduzione difensiva, risulta una sospensione del corso della prescrizione nel giudizio di primo
grado disposta dal Tribunale all’udienza del 3.12.2012 in relazione ad una istanza di rinvio
depositata il 29 novembre 2012 e formulata dalla difesa dei tre imputati “al fine di completare
l’acquisizione di tutta la documentazione relativa alla sanatorie edilizie ed ambientali concesse

rinvio, “previa interruzione dei termini prescrizionali ex art. 160 c.p.” e che il Pubblico Ministero
non si era opposto con provvedimento in calce all’istanza medesima. In relazione a tale istanza
il Tribunale disponeva il rinvio all’udienza del 7 marzo 2013 “sospendendo fino a tale data i
termini di prescrizione”. E in effetti all’udienza del 7 marzo 2013 la difesa degli imputati
produceva una articolata documentazione come da indice ed anche il Pubblico Ministero
produceva altri documenti. Nella predetta udienza il giudice invitava le parti a concludere e,
all’esito della discussione, rinviava ulteriormente per eventuali repliche, all’udienza del 19
marzo 2013 in cui pronunciava sentenza.
6.4 Può dirsi pacifica una intervenuta sospensione dei termini di prescrizione, come
ricordata alla difesa dei ricorrenti con i motivi aggiunti al ricorso, per il periodo di tempo
intercorrente tra il 3 dicembre 2012 ed il 7 marzo 2013 per una durata di giorni 93. Di
conseguenza il termine ultimo di maturazione della prescrizione coincide, considerando quale
data di commissione del reato il mese di ottobre 2007, con il 4 giugno 2015.
6.5 Nei motivi aggiunti al ricorso viene però dedotta dalla difesa la inosservanza e/o
erronea applicazione della legge penale (art. 159 cod. pen.) in relazione alla circostanza che il
rinvio chiesto dai difensori era motivato da ragioni legate alla acquisizione di prove, circostanza
che secondo la giurisprudenza di legittimità richiamata nei motivi aggiunti, osterebbe alla
sospensione del corso della prescrizione.
6.6 La censura nei termini in cui risulta proposta, seppur contenuta in motivi aggiunti
tempestivamente depositata, è inammissibile in relazione al disposto di cui all’art. 606 comma
3 ultima parte cod. proc. pen., in quanto è stata denunciata una violazione di legge non
dedotta con i motivi di appello. Dal loro esame emerge pacificamente che le doglianze
avanzate dai difensore degli imputati non avevano per oggetto la pretesa violazione dell’art.
159 cod. proc. pen.; non solo ma non risulta che da parte delle difese nella fase del giudizio di
appello siano stati proposti motivi aggiunti aventi per oggetto tale specifica violazione e
nemmeno in occasione della discussione dell’appello sia stato fatto cenno da parte dei difensori
a tale specifica inosservanza della disposizione penale.
6.7 Per completezza va poi ricordato che la giurisprudenza menzionata dalla difesa dei
ricorrenti seppur correttamente citata non è applicabile al caso di specie in quanto nella istanza
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dal Comune di Pesaro”. Si legge nella medesima istanza che la difesa aveva richiesto un breve

di rinvio formulata dai difensori degli imputati prima della celebrazione dell’udienza del 3
dicembre 2012 dinnanzi al Tribunale non solo si faceva espresso riferimento ad esigenze della
difesa per la acquisizione della documentazione in realtà già esistente e solo da fascicolare
ordinatamente, ma era stato espressamente invocato dalle difese la sospensione dei termini di
prescrizione così privilegiando una esigenza dei difensori e non già una esigenza di acquisizione
della prova.
6.8 In questo senso va ritenuto non pertinente al caso in esame, il principio, peraltro

“l’art. 159 comma 1 c.p. deve essere interpretato nel senso che la sospensione o il rinvio del
procedimento o del dibattimento hanno effetti sospensivi della prescrizione, anche se
l’imputato non è detenuto, in ogni caso in cui siano disposti per impedimento dell’imputato o
del suo difensore ovvero su loro richiesta, salvo quando siano disposti per esigenze di
acquisizione della prova o in seguito al riconoscimento di un termine a difesa” (S.U.
28.11.2001 n. 1021, Cremonese, Rv.; Sez. 5^ 2.10.2009 n. 49647, Delli santi, Rv. 245823;
Sez. 7^ Ord. 25.11.2014 n. 9466, Franco e altro, Rv. 262670). Sulla base di tali considerazioni
la dedotta prescrizione, a tutto voler concedere, non è alla data odierna maturata.
6.9 La non manifesta infondatezza del ricorso consente, allora, di affrontare in termini
specifici la questione prospettata nei motivi aggiunti dalla difesa dei ricorrenti UGOLINI e
FEDERICO volta ad ottenere una pronuncia da parte di questa Corte Suprema, di applicazione
dell’art. 131 bis cod. pen. come introdotto dal D. Lgs. 16.3.2015 n. 28.
7. Si tratta di un tema introdotto per la prima volta in sede di legittimità in ordine al quale
si ritiene utile preliminarmente esporre, sia pure per sintesi, le linee direttrici di questa
importante riforma del legislatore penale che rappresenta una delle colonne portanti della
Legge delega n. 67/14 sulle modifiche del sistema penale.
8. Esigenze di sintesi suggeriscono di richiamare, stante l’identità delle considerazioni
generali di tipo preliminare in ordine ai poteri della Corte di legittimità di pronunciarsi sulla
ammissibilità della richiesta volta ad ottenere l’applicabilità del nuovo istituto ed al tipo di
valutazione che la Corte di Cassazione deve operare a tali fini i contenuti della coeva ordinanza
di questa Sezione Fregolent.
8.1 Nel richiamare il contenuto dell’art. 131 bis del cod. pen. che si colloca all’interno del
titolo V Capo 1° del Cod. pen. intitolato “Della non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Della modificazione, applicazione ed esecuzione della pena” va osservato che esso disciplina in
termini generali secondo le indicazioni contenute nel testo l’esclusione della punibilità per
particolare tenuità del fatto. In particolare questo il testo della norma in esame.
8.2 “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque
anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibffità è esclusa
quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai
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assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo il quale

sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento
risulta non abituale.
L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando
l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha
adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima,
anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono
derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.

abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole,
anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in
cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene
conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie
diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini
dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle
circostanze di cui all’articolo 69.
La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare
tenuità del danno o de/pericolo come circostanza attenuante.”
8.3 Non essendo questa la sede più appropriata per una esegesi complessiva della norma,
pare opportuno, proprio per le implicazioni pratiche che essa comporta e per la ricaduta sui
processi in corso, svolgere alcune considerazioni di tipo generale in stretto riferimento alla
applicabilità di tale norma ai giudizi in corso e segnatamente – per quel che rileva in questa
sede – ai giudizi pendenti dinnanzi alla Corte di Cassazione.
9. Va, innanzitutto, specificato che il D. Lgs. in esame non contiene alcuna disciplina
transitoria: ciò comporta il richiamo ai principi generali in tema di successione delle norme nel
tempo che debbono guidare l’interprete nella operazione valutativa circa l’applicabilità e in che
termini, del nuovo istituto ai procedimenti in corso.
9.1 Come è noto il testo contenuto nel 4 0 comma dell’art. 2 cod. pen. prevede in caso di
successione di leggi diverse nel tempo l’applicabilità di quelle le cui disposizioni risultano più
favorevoli per il reo, salva l’ipotesi della intervenuta pronuncia di sentenza irrevocabile.
9.2 E’ fuor di dubbio che tra le disposizioni più favorevoli rientrino, indipendentemente da
quelle concernenti in senso stretto la misura della pena, anche quelle che, attenendo ad
ulteriori e diversi profili (in ipotesi, la configurabilità di una causa di punibilità), afferiscono al
trattamento del reo considerato nel suo complesso.
9.3 A tale principio si affianca quello della retroattività della legge più favorevole (in
contrapposizione alla regola della irretroattività della norma peggiorativa) che trova importanti
7

Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente

antecedenti in numerose pronunce della Corte Costituzionale (vds. sentenze n. 393/2006 e
236/2011) e della Corte di Giustizia Europea (v. sent. 11.3.2008 C-420/06 Jagger e ancor più
recentemente sent. 28.4.2011, C61-1 El Dridi).
9.4 Orbene, a giustificare l’applicabilità dell’istituto ai fatti pregressi tuttora

sub judice

sono oltre che esigenze di tipo deflattivo che informano l’istituto medesimo e correlate
esigenze di non punibilità delle condotte epr reati cd. “bagatellari” anche ragioni più specifiche
quali: a) la natura sostanziale della disposizione in esame sia per motivi legati alla sua

legislatore (non a caso di parla di “non punibilità” dell’autore del reato, laddove, se si fosse
trattato di istituto di stampo processual-penalistico, sarebbe stato più logico parlare di “non
procedibilità” nei confronti dell’autore del fatto-reato); c) il testo dell’art. 609 comma 2 cod.
proc. pen. che prevede un intervento decisorio della Corte Suprema su questioni (oltre che
rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo) “che non sarebbe stato possibile dedurre
in grado di appello”.
9.5. Quanto ai modi e tempi di applicazione del nuovo istituto ai processi in corso nel
giudizio di legittimità, è indubbia la possibilità di investire la Corte Suprema della questione
insorta per effetto di jus superveniens nelle more del giudizio di legittimità, mediante la
proposizione di motivi aggiunti.
10. Non va poi dimenticato che l’applicabilità dell’istituto nei giudizi di legittimità implica
comunque delle valutazioni dì merito, non disgiunte dalla necessità che ai vari soggetti
interessati sia offerta la possibilità di interloquire. Si tratta allora di vedere in che modo ed in
che limiti sia possibile operare una verifica in ordine alla sussistenza, in astratto, delle
condizioni di applicabilità del nuovo istituto.
10.1 L’unico precedente in termini si rinviene nella recentissima pronuncia di questa
Sezione secondo la quale, in caso di valutazione positiva, la Suprema Corte può pronunciare
l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito affinché valuti se
dichiarare il fatto non punibile ovvero, in determinate condizioni, ad un annullamento senza
rinvio (Sez. 3^ 8.4.2015 n. 15449, Mazzarotto, non massimata).
10.2 Nella recentissima relazione redatta dall’Ufficio del Massimario di questa Corte
Suprema n. 111/02/15 del 23 aprile 2015, costituente un utile punto di riferimento e di
riflessione, si è, ad esempio, ritenuta possibile tale eventualità << specie se si ritenga l'art. 129 cod. proc. pen. "regola di condotta" e non fonte di situazioni potestative >>

in forza

dell’art. 620 comma 1 lett. I) cod. proc. pen. che prevede la possibilità di pronunciare una
sentenza di annullamento senza rinvio

“in ogni altro caso in cui la Corte ritiene superfluo il

rinvio” (in tal senso v. S.U. 30.10.2003, n. 45276, Andreotti, Rv. 226100, in cui si sono
positivamente valutate esigenze di economia processuale; v. anche S.U., 21.5.2003 n. 22327,
Carnevale, Rv. 224181, con la quale è stato affermato il potere di annullare senza rinvio la
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particolare collocazione nell’impianto codicistico penale; b) il tipo di espressione adoperato dal

sentenza impugnata per insussistenza del fatto. per addivenire a pronuncia di annullamento
senza rinvio perché il fatto non sussiste).
10.3 Così come è stato sottolineato in tale relazione che, indipendentemente dal richiamo
all’art. 129 cod. proc. pen. si deve ritenere ammissibile un annullamento della sentenza
impugnata per essere l’imputato “non punibile”, come affermato da Sez. 6^ 26.4.2012 n.
17065, Cirillo Rv. 252506 in riferimento alla sopravvenuta causa di non punibilità del
favoreggiamento personale ex art. 478 cod. pen. per effetto della ritrattazione di cui all’art.

per la dichiarazione dell’esistenza della causa di non punibilità come desumibili dal testo della
sentenza impugnata, ha osservato che: “Poiché la novità normativa è certo più favorevole per
l’imputato, la stessa va applicata ai sensi degli artt. 2.4 c.p. e 609.2 c.p.p.”.
10.4 Ma la novità e peculiarità dell’istituto in esame suggeriscono di analizzare più
approfonditamente quali limiti possa incontrare il Giudice di legittimità laddove venga chiamato
a pronunciarsi su questa (atipica) causa di non punibilità nei giudizi in corso in cui non sia stato
possibile per le ragioni temporali dianzi indicate sollevare per tempo la questione con il ricorso.
10.5 Che si tratti causa di non punibilità “atipica” lo si evince dal fatto che nella
bipartizione tra cause di non punibilità in senso lato ed in senso stretto la collocazione
preferibile sembrerebbe all’interno del primo gruppo: non va dimenticato, infatti, che tale
causa, per gli effetti negativi che produce per l’imputato (anzitutto la possibile rilevanza nei
giudizi civili ed amministrativi ed, ancora, l’iscrizione del provvedimento nel casellario
giudiziale), esige il contraddittorio anzitutto con l’imputato, ma anche con la persona offesa
che, per effetto di quanto previsto nei casi di archiviazione e di proscioglimento
predibattimentale conseguenti all’applicazione dell’istituto, ha diritto ad una interlocuzione,
anche se di portata limitata non essendo previsto – per ragioni di politica giudiziaria – il diritto
di veto della persona offesa.
10.6 Vero è che anche nel giudizio di cassazione trova adeguato ingresso il principio del
contraddittorio, sia pure “virtuale” in quanto filtrato attraverso il difensore e che è sempre
consentita, in tale fase processuale, la possibilità per le parti di presentare memorie, anche
personalmente, ex art. 121 cod. proc. pen.; e tanto vale anche con riferimento alla posizione
della persona offesa non costituita parte civile che a norma dell’art. 90 cod. proc. pen. ha
facoltà di presentare memorie nel giudizio di cassazione, che abbiano per oggetto questioni
(processuali o di merito) rilevanti ai fini della decisione, ferma restando il divieto di formulare
richieste finalizzate a sollecitare acquisizioni istruttorie. Da quanto fin qui considerato parrebbe
quindi praticabile la strada dell’intervento della Suprema Corte nei giudizi di legittimità, sia
pure a determinate condizioni che si esamineranno di qui a breve.
10.7 Ma va anche doverosamente fatto cenno di soluzioni negative adottate dalla
giurisprudenza di legittimità, ancorchè riferite al processo penale dinnanzi al giudice di pace
9

376 cod. pen.: la Corte, infatti, dopo aver preso atto della sussistenza dei presupposti fattuali

penale: e’ stata così esclusa l’applicabilità della disposizione transitoria di cui all’art. 63 comma
1 D. Lgs. 274/2000 in riferimento allo “jus superveniens” relativo ai reati di competenza del
giudice di pace laddove debba essere pronunciata la procedibilità nei casi di particolare tenuità
del fatto (art. 34 d.lgs. cit.) e di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie (art.
35 d.lgs. cit.), affermandosi che “La norma transitoria di cui all’art. 63 comma primo del D.Lgs.
28/8/2000 n. 274 in materia di competenza penale del giudice di pace (che prevede
l’applicabilità, anche nei giudizi davanti a un giudice diverso, delle disposizioni circa l’esclusione

risarcimento) non trova applicazione in Cassazione, atteso che il presupposto processuale della
norma in argomento, l’intervento personale degli interessati, non è attuabile nel giudizio di
legittimità” (Sez. 5^ 23.5.2002 n. 25063, Rufolo ed altri, Rv. 222063).
10.8 Tale precedente però non si ritiene pregiudizialmente ostativo alla soluzione positiva
di cui si è fatto cenno tenuto conto delle differenze non certo trascurabili intercorrenti tra la
non punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen. e la similare
figura della non punibilità per lieve tenuità del fatto e della non procedibilità per avvenuto
risarcimento di cui agli artt. 34 e 35 del D. Lgs. 274/2000: mentre la prima è costruita quale
norma di diritto sostanziale, le altre figure sono, per espressa volontà legislativa, disegnate
come condizioni di improcedibilità ed esigono comunque, una volta che sia stata esercitata
l’azione penale, la non opposizione di imputato e persona offesa così come previsto dall’art.
34, comma 3, D.Lgs. n. 274/2000.
10.9 Del tutto diverse le condizioni previste per l’applicazione dell’istituto di cui all’art.
131-bis cod. pen., in quanto nell’ipotesi di pronuncia di sentenza pre-dibattimentale, per
effetto dell’art. 469 comma 1 bis cod. proc. come innovato dal D. Lgs. 28/15, la persona offesa
deve essere semplicemente sentita “se compare”; così come, in caso di sentenza emessa
all’esito di dibattimento o di giudizio abbreviato, non solo non è prevista la non opposizione
dell’indagato e della persona offesa, ma non è nemmeno previsto il compimento di specifici
adempimenti procedimentali.
10.10 Se dovesse ritenersi percorribile la strada dell’annullamento con rinvio, intimamente
connessi a tale tema sarebbero sia la verifica del tipo di strumenti processuali cui ricorrere per
rilevare tale specifica ipotesi sia la verifica dei relativi poteri di accertamento attribuibili al
giudice di legittimità.
11. Quanto ai limiti che la Corte di Cassazione può incontrare nell’operazione (che pare
ineludibile) di verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle nuove
disposizioni entrate in vigore nelle more del giudizio di legittimità è lecito domandarsi se la
Corte debba limitarsi ad una verifica sulla base delle emergenze rilevabili dalla sentenza
impugnata ovvero se possa – o debba – adottare una pronuncia di annullamento (con rinvio).

10

della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto, e della non punibilità in caso di

11.1 Trattasi di una questione nuova strettamente collegata alla particolare natura
dell’istituto, ricordando che il richiamo alla decisione Giordano ed altri (S.U. 26.3.2003 n.
25887, Giordano ed altri, Rv. 224606) con la quale si è ammessa, nel caso di jus superveniens
intervenuto nelle more del giudizio di cassazione, la necessità per il giudice di legittimità di fare
riferimento alla decisione impugnata, provvedendo, in caso di esito positivo della verifica circa i
presupposti applicativi, a definire il giudizio e, in caso di esito negativo, ad annullare senza
rinvio la decisione medesima ex art. 129 cod. proc. pen, non sembra decisivo.

fatto fa sì che debba essere la parte che vi abbia interesse a dovere dimostrare la sussistenza
dei relativi presupposti mediante l’indicazione di elementi specifici (vds. Sez. VI, 25 novembre
2014, n. 1401, Vigneri, Rv. 262054).
11.3 Alla possibilità di un annullamento con rinvio nel caso di positiva verifica della
sussistenza delle condizioni legittimanti l’applicabilità dell’istituto fa esplicito riferimento la più
volte ricordata Sez. 3^ 15449/15 nella quale si è evidenziato che “l’applicabilità dell’art. 131-

bis cod. pen. presuppone … valutazioni di merito, oltre che la necessaria interlocuzione dei
soggetti interessati. Da ciò consegue che, nel giudizio di legittimità, dovrà preventivamente
verificarsi la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto,
procedendo poi, in caso di valutazione positiva, all’annullamento della sentenza impugnata con
rinvio al giudice del merito affinché valuti se dichiarare il fatto non punibile … Nell’effettuare
tale apprezzamento, il giudice di legittimità non potrà che basarsi su quanto emerso nel corso
del giudizio di merito tenendo conto, in modo particolare, della eventuale presenza, nella
motivazione del provvedimento impugnato, di giudizi già espressi che abbiano pacificamente
escluso la particolare tenuità del fatto, riguardando, la non punibilità, soltanto quei
comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti
normativamente indicati risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore
considerazione in sede penale”.
11.4 In concreto la decisione in esame ha ritenuto inapplicabile l’istituto sulla base di una
verifica con esiti negativi in ordine alla configurabilità dei presupposti per l’applicazione
dell’istituto in questione.
11.5 Ma sul punto non possono che insorgere difficoltà interpretative in quanto la
soluzione adottata con tale decisione implicherebbe non solo – come pare ovvio – una
valutazione da parte della Corte di legittimità sulla concreta applicabilità dell’istituto ma
soprattutto, aprirebbe la strada a decisioni tranchant di rigetto (ovvero di annullamento senza
rinvio) da parte di un giudice di legittimità che non avrebbe il potere di assumere decisioni
comportanti una pregiudiziale analisi di questioni di merito.
11.6 Sembrerebbe, allora, più corretto procedere attraverso un percorso che includa,
anzitutto, una valutazione in termini meramente astratti e con indicazione di linee guida di tipo
11

11.2 Infatti la peculiare natura della causa di non punibilità per la particolare tenuità del

interpretativo da valere per il giudice di merito, circa l’applicabilità dell’istituto e l’esame della
meritevolezza della causa di non punibilità e, di seguito, una pronuncia di annullamento
sempre e solo con rinvio, lasciando poi al giudice di merito il compito di valutare in concreto la
praticabilità della soluzione invocata dalla parte che vi ha interesse.
11.7 In coerenza con tali postulati, laddove fosse possibile intravedere epiloghi favorevoli
per il ricorrente sulla base delle prospettazioni contenute nel ricorso ovvero ancora quando da
parte del ricorrente tali condizioni vengano prospettate con apposita memoria ex art. 121 cod.

circostanze che bon potute provare prima per ragioni di ordine temporale legate ai tempi di
entrata in vigore della nuova disposizione, ove accertate potrebbero risultare idonee a
giustificare l’operatività del nuovo istituto, potrebbe essere possibile una restituzione in termini
delle parti dinanzi ai giudici di merito per l’articolazione di attività istruttorie. (vds. su tale
specifico punto la relazione 111/02/15 del Massimario, cit.)
11.8 Così come ove il ricorrente invocasse la causa di non punibilità sulla base degli
elementi già emergenti dalla decisione censurata, sarebbe percorribile la strada
dell’annullamento con rinvio, ferma restando la necessità da parte del giudice di legittimità di
indicare i criteri informatori per il giudice di rinvio utili per decidere l’applicabilità, o meno,
dell’istituto.
11.9 E’ solo attraverso tale strada che sarà poi possibile valutare la correttezza e
completezza del ragionamento del giudice di rinvio e procedere secondo i consueti canoni
previsti per il ricorso in sede di legittimità laddove tali criteri ermeneutici non venissero
rispettati. Sembrerebbe così da escludere, in linea di principio, l’ipotesi di un annullamento
senza rinvio.
12. Ma, quale che sia la soluzione adottabile, quel che appare certa è la necessità di un
riferimento in concreto al contenuto della motivazione del provvedimento impugnato: allo stato
degli atti dunque, le due soluzioni estreme tra loro contrapposte di verifica negativa circa la
sussistenza dei presupposti legittimanti l’applicabilità dell’istituto (che dovrebbe preludere ad
un rigetto della istanza e del ricorso ovvero alla inammissibilità) e, in alternativa, di verifica
positiva (che dovrebbe preludere ad un annullamento senza rinvio) sembrerebbero non
praticabili non solo per i ricordati limiti di valutazione che caratterizzano l’operato del giudice di
legittimità, ma anche per quell’esigenza di rispetto del contraddittorio che esige una
interlocuzione della persona offesa che non appare essere adeguatamente assicurata nel
giudizio di legittimità, anche perché essa presupporrebbe comunque una valutazione di merito
inibita nel giudizio di cassazione.
12.1 La strada dell’annullamento con rinvio sembrerebbe la più agevole e coerente con le
regole fin qui enunciate, anche per quelle ipotesi in cui dall’esame della sentenza oggetto di
ricorso, tutte le condizioni di applicabilità dell’istituto siano rilevabili in astratto, essendo
12

proc. pen. o persino in sede di discussione orale, attraverso l’indicazione o allegazione di

comunque opportuno quell’intervento del giudice di merito volto ad approfondire la verifica
secondo una previsione in termini di ragionevolezza, eventualmente anche alla luce delle
prospettazioni delle parti.
13. Questione strettamente connessa è quella relativa all’analisi dei parametri cui la Corte
di Cassazione dovrebbe rifarsi, a fronte della ritenuta ammissibilità del ricorso, al fine di
valutare la nneritevolezza necessaria per l’applicabilità dell’istituto. Soccorre, in tal senso, il
riferimento al testo, come sopra riportato, dell’art. 131 bis cod. pen.

tipologia del reato in relazione alla pena detentiva edittale massima prevista che non deve
superare, sola o congiunta a quella pecuniaria, il limite dei cinque anni, il dato che entra in
modo pressochè esclusivo nel processo di valutazione è quello legato: a) alle modalità della
condotta; b) all’esiguità del danno o del pericolo. Si tratta di quelli che la relazione allegata allo
schema di decreto attuativo indica come “indici-requisiti” da valutarsi alla stregua dei criteri
indicati dall’art. 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra
modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato
intensità del dolo o grado della colpa). A tali “indici-requisiti” si affiancano quelli che la stessa
relazione definisce “indici-criteri” costituiti da: 1) la particolare tenuità dell’offesa; 2) la non
abitualità del comportamento (per un riferimento agli indici v. oltre a Sez. 3^ 15449/15 cit.,
anche il testo della relazione al decreto delegato).
13.2 In estrema sintesi, il giudice è chiamato ad effettuare una specifica valutazione di
meritevolezza verificando se sulla base dei due “indici-requisiti” (modalità della condotta ed
esiguità del danno e del pericolo, valutati congiuntamente secondo i criteri direttivi di cui
all’art. 133 comma 10 cod. pen.), sussistano i due indici-criteri (particolare tenuità dell’offesa e
non abitualità del comportamento). L’esito positivo di tale operazione consentirà al giudice di
considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
13.3 L’apparente semplicità di tali operazioni si scontra, però, con un testo che, oltre a
profilarsi non particolarmente specifico, può indurre qualche perplessità.
14. Anzitutto è da rilevare che si tratta, proprio perché entrano in gioco numerosi dati che
debbono tra loro incrociarsi, di un giudizio complesso in cui muovendo dalla premessa che a
dover essere analizzato è non tanto e non solo il reato, quanto il comportamento del reo (e
dunque la condotta), deve anche tenersi presente la differenza che intercorre tra irrilevanza
del fatto ed inoffensività del fatto: in quest’ultimo caso, in realtà ci si trova di fronte ad un non
reato (art. 49 comma 2° cod. pen.), mentre l’aspetto della irrilevanza attiene più propriamente
ad un giudizio di valore che presuppone l’esistenza di un fatto-reato ed il livello di offensività
misurato in rapporto alla abitualità del comportamento ed alle modalità della condotta.

13

13.1 Fermo restando che la preliminare operazione selettiva da compiere si connette alla

14.1 Sul versante dell’irrilevanza del fatto non vi sono preclusioni di principio posto che
nessuna distinzione viene fatta tra reato di evento e di danno e reati di pericolo (nella duplice
forma di pericolo astratto o pericolo concreto).
14.2 Quanto alla valutazione della esiguità del danno o del pericolo appare evidente la
necessità di un giudizio esprimibile sulla base di dati oggettivi e non sulla base di elementi di
tipo soggettivo, ferma restando l’esigenza che si tratti di un giudizio globale che porti alla
conclusione di un fatto estremamente modesto sia in oggettivamente che soggettivamente (v.

Orengo, Rv. 231549; idem, 7.7.2004 n. 40203, P.G. in proc. Misantoni, Rv. 229574, tutte in
tema di giudizi espressi su fatti-reato di competenza del giudice di pace).
14.3 II legislatore ha rinunciato a scelte di tipo pregiudiziale – tranne le ipotesi
espressamente disciplinate nel comma 2 – ostative alla ammissibilità dell’istituto, ponendo
comunque l’accento su quello – tra i vari indici – dell’abitualità (o non abitualità secondo
l’angolo visuale di osservazione) del comportamento.
14.4 Ma è proprio questo profilo a presentare alcuni problemi interpretativi in tema di
valutazione della non abitualità del comportamento che, a differenza della “non occasionalità”
utilizzata nel d. Lgs. 274/2000 (ma anche nel D.P.R. 448/1988), dovrebbe essere riguardata in
stretta correlazione con il comma 3 0 dell’art. 131 bis che parrebbe riferirsi alla definizione del
comportamento abituale. In altri termini, per potersi ragionevolmente parlare di
comportamento non abituale come ipotesi positivamente apprezzabile al fine dell’applicazione
dell’istituto, non si deve trattare di una delle condotte incluse nel menzionato comma 3 0 ,
anche se rimane da vedere se le classificazioni indicate nel testo siano da considerarsi
tassative o soltanto enunciative.
14.5 A titolo meramente orientativo andranno valutati anche i precedenti “giudiziari” e non
solo quelli sfociati in pronunce irrevocabili, mentre andrà valutata caso per caso l’incidenza di
un precedente non della stessa indole (che in sé non dovrebbe assumere portata decisiva in
termini negativi, così come i precedenti giudiziari per fatti non della stessa indole). Per
converso, sembrerebbero costituire un serio ostacolo all’applicabilità dell’istituto i reati cd.
“permanenti” (si pensi ai reati ambientali, paesaggistici o urbanistici) o “abituali” (si pensi al
delitto di maltrattamenti in famiglia) e quelli unificati sotto il vincolo della continuazione in cui
entrano in gioco condotte ripetute o plurime che, per esplicita

voluntas legis impediscono di

beneficiare dell’istituto (per tali rilievi vds. gli interessanti spunti orientativi contenuti nelle
linee guida diramate dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano con
propria circolare del 3 aprile 2015 e in quelli contenuti in altra similare circolare diramata dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento).
14.6 Problemi specifici possono sorgere in merito a particolari reati quali quelli ambientali
o edilizi, nonché a quei reati incidenti sulla tutela della salute dei consociati.
14

Sez. 5^ 2.12.2004 n. 7573, Subramanian, Rv. 230811; conformi Sez. 4^ 15.2.2005 n. 15374,

14.7 Quanto all’elemento della non abitualità della condotta, la preclusione indicata dal
legislatore per i reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate induce
anch’essa ad incertezze interpretative.
14.8 Il termine “plurime” parrebbe riferirsi a più condotte, mentre il termine “reiterate”,
sembrerebbe evocare l’istituto della continuazione: si tratta, per precisa scelta legislativa, di
elementi ostativi all’applicabilità dell’istituto. Ma è lecito domandarsi se nell’ipotesi del cd.
concorso formale di reati in cui con un’unica condotta si violano più disposizioni di legge anche

14.9 Ed ancora l’uso del congiuntivo “e” interposto tra le parole “abituali” e “reiterate”
potrebbe indurre a ritenere che la pluralità delle condotte, l’abitualità e la reiterazione debbano
coesistere ed essere considerate tutte insieme ovvero se basti che sia presente uno solo di tali
dati per giustificare il diniego della norma di favore.
15.

Ferma restando allora la necessità di una valutazione astratta circa le condizioni

legittimanti il ricorso all’istituto in esame, con stretto riferimento al profilo concernente la fase
processuale del giudizio di legittimità, la complessità della valutazione (che esige un giudizio
globale collegato anche al tipo di reati da prendere di volta in volta in considerazione nella loro
struttura intrinseca) importerebbe sempre un giudizio di merito, impossibile da esprimere da
parte della Corte di Cassazione che deve invece, quanto meno allo stato attuale, indicare criteri
di massima al giudice di merito cui informare una futura decisione sulla meritevolezza ai fini
dell’applicabilità della causa di non punibilità, sulla base delle allegazioni dell’imputato e nel
rispetto del contraddittorio con gli altri protagonisti processuali.
16.

Tutte le questioni dianzi enunciate, per l’importanza generale che assumono

nell’economia generale del processo – in stretto riferimento alle questioni di diritto
intertemporale – esigono un intervento risolutore della Suprema Corte nella sua espressione
più autorevole al fine di chiarire – per quanto rileva in questa sede in relazione alla natura del
reato residuo che forma oggetto del ricorso – anzitutto se la questione di applicazione del
nuovo istituto possa porsi ex novo in sede di giudizio di legittimità; ancora, se il giudizio della
Corte sull’applicabilità dell’istituto e sulla meritevolezza debba essere espresso solo su richiesta
della parte che vi abbia interesse o anche di ufficio (posto che il ricorrente DELL’ACQUA non ha
formulato alcuna richiesta in tal senso); inoltre, se rientri nei poteri della Corte di Cassazione la
valutazione di nneritevolezza ai fini dell’applicabilità dell’istituto e se tale giudizio debba in ogni
caso essere espresso attraverso un annullamento con rinvio della sentenza impugnata ovvero
possa farsi luogo ad un annullamento senza rinvio; infine, se il concorso formale di reati
escluda di per sé l’applicabilità dell’istituto della non punibilità per la particolare tenuità del
fatto e se tale applicabilità sia possibile quando in ipotesi siffatta ipotesi alcuni dei reati siano
nel frattempo estinti per prescrizione ovvero per altre cause.

15

diverse sia configurabile una reiterazione e pluralità di condotte.

P.Q.M.

Dispone la rimessione del ricorso di cui in premessa alle Sezioni Unite Penali della Corte di
Cassazione.
Così deciso in Roma il 7 maggio 2015

Il Presidente

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