Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21003 del 05/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21003 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MIAN MAURIZIO N. IL 14/01/1964
avverso la sentenza n. 119/2014 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
12/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ?0,0-142n’tY1 V.
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che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv.
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Data Udienza: 05/02/2016

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 12/06/2014 la Corte d’appello di Trieste ha confermato la
decisione di primo grado, che aveva condannato alla pena di giustizia Maurizio
Mian, avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 2635 cod. civ., per
avere compiuto, nella qualità di dirigente con delega alla gestione ordinaria di
Tesoreria del Gruppo Danieli s.p.a., e dal 05/10/2005 con potere di firma
congiunta per operazioni finanziarie di straordinaria amministrazione, a seguito
della dazione di utilità, atti in violazione degli obblighi inerenti al suo ufficio,

In particolare, al Mian era contestato di avere, a seguito del versamento somme
di denaro da parte di funzionari di Banca Italease s.p.a., i signori Faenza, Fabbri
e Sarandrea, sottoscritto, pur non avendone titolo, contratti derivati

(Interest

Rate Swap, d’ora innanzi IRS) e provveduto successivamente a rinnovarli, in tal
modo cagionando alle società del Gruppo Danieli s.p.a. un danno pari ad almeno
18.500.000 euro versati dal Gruppo stesso per svincolarsi dai suindicati rapporti
contrattuali.
2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai
seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamentano violazione di legge e vizi motivazionali, per
avere la Corte territoriale ritenuto inammissibile per genericità il motivo di
appello con il quale il Mian aveva chiesto di utilizzare le dichiarazioni di Fabbri e
Sarandrea, potenziali indagati in relazione al medesimo reato contestato al
primo, nella parte in cui esse erano favorevoli a quest’ultimo.
Il ricorrente osserva: a) che, nell’atto di appello, alle pagine 37 e 38, era stato
riportato quanto indicato dal teste cd. assistito Walter Goldoni, a proposito del
fatto che, nel momento in cui la Danieli s.p.a. aveva ristrutturato i contratti
derivati, aveva registrato un flusso di cassa positivo anche oltre il primo anno; b)
che la Corte aveva utilizzato le dichiarazioni di Fabbri e Sarandrea a detrimento
del Mian; c) che la sentenza impugnata aveva omesso di considerare che il
Sarandrea, a conclusione delle sue dichiarazioni, aveva riferito che, in presenza
di un rischio nei confronti di un soggetto, con il contratto derivato con Italease,
si invertiva il senso del rischio e del correlato flusso di cassa; d) che la medesima
sentenza non aveva tratto le necessarie conseguenze dal fatto che, secondo il
teste Bouadetti, sei contratti derivati erano stati utilizzati per neutralizzare le
posizioni che la Danieli s.p.a. aveva nei confronti della Banca popolare di Novara
e una posizione che aveva nei confronti della Banca di Cividale.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano violazione di legge e vizi motivazionali,
in relazione alla ritenuta tempestività della querela, per avere la Corte territoriale
omesso di valutare il comportamento tenuto della società e avere ritenuto che, in
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cagionando nocumento al predetto gruppo.

generale, il termine per proporre la querela decorra nel momento in cui si ha
conoscenza non del fatto – reato, ma della astratta fattispecie nel quale la
condotta è sussumibile.
Osserva, in particolare, il ricorrente: a) che, secondo la giurisprudenza di
legittimità e la stessa sentenza impugnata, assume rilievo, ai fini che qui
interessano, la conoscenza del fatto storico, dal momento che la qualificazione
giuridica compete all’autorità giudiziaria; b) che, in ogni caso, grava sulla
persona offesa un onere di accertamento del soggetto attivo del reato, da

tempestivo; c) che, pertanto, la querela depositata il 24/07/2008, in cui si
prospettava come ipotesi di reato la truffa, rivelava la piena conoscenza, da
parte della Danieli s.p.a., del fatto storico, giacché la medesima società aveva
attribuito al Mian di avere sottoscritto i contratti derivati senza averne i poteri, di
avere omesso di informare il consiglio di amministrazione, il collegio sindacale e
.1a società di revisione, di avere occultato la vera natura e i risultati negativi delle
operazioni; d) che, del resto, l’esistenza di tali contratti era stata documentata in
sede di revisione del bilancio, che aveva registrato al giugno 2004 un passivo di
undici milioni di euro, ed era perfettamente a conoscenza dell’ing. Benedetti, il
quale aveva riferito che nella primavera del 2006, allarmato, aveva chiesto
notizie a collaboratori e colleghi dell’amministrazione e al responsabile della
Merril Lynch; e) che, del resto, in data 07/06/2006 la Danieli s.p.a. aveva, infine,
erogato, a seguito della transazione sulla vicenda, la somma di euro 18,5
milioni; f) che sino all’udienza del 06/10/2011, quando era stato qualificato il
fatto come violazione dell’art 2635 cod. civ., nessuno aveva avvertito la
necessità dell’accordo corruttivo per agire giudizialmente.
2.3. Con un terzo motivo si lamentano violazione di legge e vizi motivazionali, in
relazione all’individuazione del momento di consumazione del reato, ai fini della
decorrenza del termine di prescrizione.
Il ricorrente rileva: a) che, sebbene il bonifico a saldo dell’importo indicato in
transazione da parte della Gruppo Danieli s.p.a. sia intervenuto in data
07/06/2006, gli atti di disposizione e l’evento dannoso si erano già verificati in
epoca precedente; b) che, in particolare, in data 18/10/2005 era stato concluso
l’ultimo contratto IRS, che aveva segnato il momento in cui aveva iniziato a
prodursi il danno per la società; c) che la Corte territoriale aveva confuso il
momento consumativo del reato con quello in cui l’evento dannoso si era
cristallizzato numericamente, per effetto della scelta unilaterale della Gruppo
Danieli s.p.a. di concludere una transazione con Banca Italease; d) che, in
definitiva, il reato doveva considerarsi estinto per prescrizione già il 26/01/2014;
e) che siffatte conclusioni erano confortate dai risultati raggiunti nel processo
2

realizzare in vista di un esercizio del diritto di querela ragionevolmente

deciso dalla Corte d’appello di Milano, in relazione al reato di cui all’art. 646 cod.
pen.
2.4. Con il quarto motivo, si lamenta violazione di legge per avere la Corte
d’appello omesso di considerare la inosservanza dell’art. 649 cod. proc. pen., dal
momento che il Mian era già stato condannato, con sentenza passata in giudicato
in data 23/05/2013, in relazione a condotte di appropriazione indebita,
consumate nel quadro della medesima vicenda.
2.5. Con il quinto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in

finalizzata alla quantificazione dell’eventuale danno in capo alla società, era
diretta a verificare la sussistenza di flussi di cassa positivi conseguenti agli IRS
sottoscritti dal Mian e tesi a neutralizzare i flussi di cassa negativi derivanti da
altre operazioni autonomamente effettuate dalla società stessa.
Tale verifica, la cui utilità era sorretta dalle dichiarazioni dei testi Goldoni e
Bouadetti, avrebbe confermato che almeno le prime sei operazioni IRS erano
vantaggiose per la società, con conseguente esclusione degli elementi costitutivi
del reato.
3. è stata depositata memoria nell’interesse della parte civile.
Considerato in diritto

1. Il quarto motivo di ricorso, da esaminare preliminarmente in quanto, se fosse
meritevole di accoglimento, il Mian non avrebbe potuto essere sottoposto a
procedimento penale per lo stesso fatto, è infondato.
La Corte territoriale ha esaminato la questione e, del tutto correttamente, ha
richiamato le indicazioni contenute in Sez. I, n. 29753 del 20/06/2012, non
massimata, che si è pronunciata sul conflitto positivo di competenza sollevato nel
presente procedimento sul presupposto che tanto l’autorità milanese che quella
friulana stessero procedendo per il medesimo fatto, benché diversamente
qualificato.
In effetti, da un lato, le due fattispecie legali di reato che vengono in discussione
hanno differenti strutture giuridiche, in quanto prevedono, nella loro
configurazione tipica, fatti non completamente sovrapponibili, essenziali alla
compiuta definizione dell’uno e dell’altro reato; dall’altro, è evidente che tra il
reato di appropriazione indebita ai danni della banca Italease, per cui il Mian ha
riportato condanna presso i giudici milanesi, e quello di infedeltà patrimoniale ai
danni della Danieli s.p.a., del quale si discute nel presente procedimento, non
sussiste identità del fatto storico, giacché il reato di infedeltà patrimoniale ai
danni della Danieli s.p.a. sì concreta nella sostanziale violazione degli interessi di
quest’ultima società, per effetto delle intervenute dazioni di denaro, laddove il

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relazione al diniego dell’invocata perizia contabile, la quale, lungi dall’essere

reato di appropriazione indebita, che ha riferimento logico ad un momento
distinto, si è realizzato in danno proprio della banca Italease.
2. Agli effetti penali, va poi preliminarmente esaminato il motivo di ricorso che
investe la tardività della proposta querela, dal momento che il proscioglimento
per mancanza di querela è più favorevole della declaratoria di estinzione del
reato per amnistia o per prescrizione (Sez. 2, n. 3722 del 13/01/2015, Imbimbo,
Rv. 262372).
Il motivo è infondato.

il quale si procede e, dunque, nel caso di specie, per il delitto di cui all’art. 2635
cod. civ., non è condivisibile il rilievo difensivo che valorizza la prospettazione
giuridica operata nella querela della Danieli s.p.a. nei termini di truffa.
Una volta riconosciuto che non compete alle parti la sussunzione dei fatti
all’interno della fattispecie astratta, non può evidentemente trarsi dalle
circostanze valorizzate dal querelante, nella propria prospettiva punitiva, alcun
elemento per sostenere la conoscenza dei distinti elementi fattuali che assumono
rilievo rispetto allo specifico delitto per il quale si è proceduto.
In realtà, il termine per proporre la querela decorre dalla conoscenza non di
qualunque fatto (o del fatto che il querelante ritiene che costituisca reato), ma
del fatto che costituisce reato, secondo l’apprezzamento del giudice, cui
compete, come lo stesso ricorrente ricorda, la qualificazione giuridica.
In tale contesto, va ribadito, in primo luogo, che il termine per la presentazione
della querela decorre dal momento in cui il titolare ha conoscenza certa, sulla
base di elementi seri, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e
soggettiva, conoscenza che può essere acquisita in modo completo soltanto se e
quando il soggetto passivo abbia contezza dell’autore e possa, quindi,
liberamente determinarsi (Sez. 5, n. 33466 del 09/07/2008, Ladogana, Rv.
241395).
In secondo luogo, va ricordato che l’accertamento del momento di conoscenza
degli elementi costitutivi del reato, costituendo profilo di fatto, sfugge al giudizio
di legittimità (Sez. 5, n. 27296 del 10/06/2010, Pantano, Rv. 247891).
In tale prospettiva, il ricorrente, nell’indugiare sui fatti valorizzati dal querelante,
anziché su quelli rilevanti, ai fini dell’accertamento del reato contestato, elude il
problema della riferibilità soggettiva al Mian della condotta corruttiva a lui
attribuita, finendo per insistere su un profilo, quello dell’esercizio di poteri non
spettanti, che, in realtà, nonostante un cenno pur espresso dalla motivazione
della sentenza impugnata, non assume alcuna decisività se si valuta l’intero
percorso argonnentativo della Corte territoriale.

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Premesso che la tempestività della querela va verificata in relazione al reato per

Questa, infatti, a più riprese sottolinea gli elementi istruttori che dimostravano la
fiducia riposta nel Mian da parte degli organi amministrativi della società e il
fatto che il primo operasse, con la piena consapevolezza dei secondi, in termini
sostanzialmente autonomi. E la miglior riprova di quanto detto si trae dal fatto
che, anche dopo la scoperta della perdita accertata nell’agosto del 2004 da parte
della società di revisione, il Mian non fu esautorato, ma si vide ampliare i poteri
con il rilascio di una nuova procura (la sentenza impugnata ricorda, al riguardo,
la deposizione del teste Londero).

manifesta illogicità nella motivazione della sentenza impugnata, che ha colto la
data di conoscenza dell’illecito del Mian solo con la pubblicazione, sul quotidiano
Il Sole – 24 ore del giorno 08/06/2008, di un articolo, poi seguito da altri, nei
quali si dava conto dell’indagine milanese a proposito di un’associazione a
delinquere della quale faceva parte il Mian, avente come fine quello di
promuovere la conclusione di contratti derivanti del tutto ingiustificati per i clienti
di Banca Italease, in modo da incrementare le provvigioni da corrispondere a
fittizi intermediatori.
Del resto, secondo il puntuale rilievo della sentenza impugnata, non si
comprenderebbe per quale ragione la Danieli s.p.a. non avrebbe licenziato il
Mian, se avesse avuto la consapevolezza che le perdite registrate era dovute non
ad un suo comportamento negligente, ma addirittura infedele.
3. Sempre seguendo un criterio di priorità logica, occorre esaminare a questo
punto il terzo motivo di doglianza, che investe il momento consumativo del
reato, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione.
In realtà, posto che, come dimostra l’esame dei primi due motivi, il ricorso non
può essere valutato come inammissibile, la questione non assume rilievo alcuno
dal momento che, anche a seguire la ricostruzione accolta dalla sentenza
impugnata e tenendo conto dei 277 giorni di sospensione, il termine di
prescrizione è ormai decorso (il 10/09/2014), mentre, a voler seguire la
soluzione propugnata dal ricorrente, esso sarebbe spirato il 26/01/2014, ossia
comunque dopo la pronuncia della sentenza di primo grado (06/06/2013), con la
conseguenza che, in ogni caso, il risultato non muterebbe, sia quanto agli esiti
penali del procedimento, sia quanto alla necessità di esaminare i restanti motivi
agli effetti civili.
4. Ciò posto, fermo restando che, agli effetti penali, la sentenza va annullata
senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione, occorre
delibare i restanti motivi proposti, ossia il primo e il quinto, ai fini delle
statuizioni civili.

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Ne discende che non è dato cogliere alcuna violazione di legge, né alcuna

5. Il primo motivo è inammissibile, giacché la Corte territoriale, pur ritenendo
inammissibile il correlato motivo di gravame, per non avere indicato il Mian quali
parti delle dichiarazioni a lui favorevoli avrebbero dovuto essere valutate, ha poi
comunque esaminato nel merito sia il contenuto delle deposizioni del Fabbri e del
Sarandrea, sia, in generale, la prospettazione difensiva fondata sulle risultanze
istruttorie valorizzate dal ricorrente (ossia le dichiarazioni del Goldoni e del
Bouadetti, che, per vero, nell’atto di appello servono piuttosto a giustificare la
richiesta di rinnovazione dell’istruttoria, attraverso lo svolgimento di una perizia).

doglianze sono riportate per brani che non consentono di comprendere
l’incidenza sulla valutazione espressa dalla Corte, con riguardo all’operazione nel
suo complesso, e si riferiscono a

singoli momenti di una vicenda che

razionalmente la Corte territoriale ha ricostruito giuridicamente come unitaria.
Così le dichiarazioni del Bouadetti riguardano alcuni dei primi contratti derivati,
quelli stipulati tra la fine del 2003 e il giugno del 2004, mentre prive di critica
rimangono le conclusioni della sentenza impugnata, sorrette da quanto riferito
dal medesimo teste, quanto al fatto che gli ultimi quattro, ossia quelli che erano
caratterizzati da un livello di complessità molto più elevato, avevano
rappresentato la ristrutturazione di quelli precedenti, con la conseguenza che è
proprio a questi ultimi, resi necessari dai precedenti, che si deve correlare la
valutazione finale della Corte territoriale.
6. Il quinto motivo è inammissibile, perché logicamente dipende dalle indicazioni
che il ricorrente intende trarre dalle dichiarazioni di cui al punto che precede e
ancora una volta prende le mosse da una valutazione atomistica dei singoli
contratti senza considerare l’esito finale scaturito dall’originaria conclusione degli
stessi e dalla loro successiva ristrutturazione.
7. Alla pronuncia di rigetto del ricorso agli effetti civili consegue la condanna del
ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di
legittimità, che, in relazione all’attività svolta, vengono liquidate in euro
2.500,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, per essere il reato
estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili. Condanna il ricorrente
a rifondere le spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità, che si
liquidano in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 05/02/2016

:*,051TATA IN CANCELLERIA

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Ciò premesso, si osserva che in ricorso le dichiarazioni invocate a sostegno delle

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