Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21001 del 26/04/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 21001 Anno 2016
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAIELLO RAFFAELE N. IL 03/09/1986
avverso l’ordinanza n. 403/2016 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
08/02/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
ernvaAnO )
lette/sentite le cqnclusioni del PG Dott. Giuz2i0
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Uditi di sor Avv.;

Data Udienza: 26/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del Riesame di Napoli, con ordinanza del 8.2.2016, pronundando sull’istanza di riesame proposta da MAIELLO RAFFAELE, sottoposto alla
misura cautelare degli arresti domiciliari, confermava l’ordinanza di applicazione
della misura emessa dal GIP del Tribunale di Napoli Nord il 27.1.2016.
Il Maiello risulta indagato per il reato di cui agli artt. 81 cpv, 110 cod. pen. e
73 comma 1 e 4 DPR 309/90 perché in concorso e previo accordo con Petrillo
Silvio, detenevano illecitamente ai fini della vendita complessivi gr. 2,00 di co-

confezionati in 18 bustine di cellophane, nonché materiale per la lavorazione ed il
confezionamento della sostanza, in Casal di principe il 25.1.2016.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, personalmente, MAIELLO RAFFAELE, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma
1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Nullità dell’ordinanza per violazione ed erronea applicazione degli artt.
192 comma 3 e 4, 274 cod. proc. pen. Nullità per mancanza ed illogicità della
motivazione.
Il ricorrente deduce che l’ordinanza cautelare sarebbe fondata unicamente
sul verbale di arresto, il quale ultimo consente, ad avviso del Tribunale, di ricostruire la vicenda senza dubbi, le dichiarazioni dell’indagato non sono attendibili
così come le dichiarazioni autoaccusatorie del Petrillo.
L’ordinanza riporterebbe anche l’errata circostanza che il parcheggio si trovava in zona periferica mentre in realtà si troverebbe al centro del paese.
Il ricorrente afferma che le dichiarazioni del Petrillo troverebbero puntuale
ed incontestabile riscontro non solo nel verbale di arresto, ma anche nelle dichiarazioni del Maiello che ha subito chiarito la sua posizione fin dall’interrogatorio,
dichiarando di conoscere il Petrillo, di avergli dato un passaggio e di non sapere
nulla della sostanza stupefacente che questi aveva indosso ed avrebbe poi trasferito nel suo borsello.
La ricostruzione operata dal tribunale del riesame sarebbe invece, illogica, in
quanto se il Petrillo ha riposto la droga nel marsupio, comunque avrebbe potuto
posizionarla successivamente tra i due sedili del veicolo, all’insaputa del Maiello.
b. Violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 81
cpv, 110 cod. pen. e 73 comma 1 e comma 4 DPR 309/90, per inosservanza e/o
erronea applicazione della legge penale.
Il ricorrente deduce l’inidoneità degli elementi probatori acquisiti ad integrare il reato di detenzione si fini di spaccio di sostanze stupefacenti.
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caina frazionati e confezionati in 3 bustine di cellophane e gr. 21 di marijuana

I giudici del riesame avrebbero desunto i gravi indizi di colpevolezza
dall’elevato numero di dosi confezionate. Tale valutazione sarebbe incongrua
perché le dosi erano appena 18.
Anche l’affermata esclusione, sulla base di alta probabilità, di un futuro riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui al 5° comma sarebbe incongrua e in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale che ritiene il valore preclusivo del dato quantitativo quando diviene preponderante.
Sul punto la motivazione sui gravi indizi di colpevolezza sarebbe carente.

cpv, 110 cod. pen. e 73 comma 1 e comma 4 DPR 309/90 per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonché travisamento del
fatto.
Il giudizio sui gravi indizi di colpevolezza sarebbe fondato sul dato quantitativo, costituito da appena 21 grammi di marijuana confezionati in 18 bustine,
senza che la droga sia stata sottoposta a perizia per valutarne la capacità drogante.
Ancora l’illogicità della motivazione si ravviserebbe nel attribuire alle conversazioni il valore di gravi indizi, quando invece sono di segno contrario.
d. Nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 274 let. c) e 275 comma 2
bis cod. proc. pen. Nullità per inosservanza ed erronea applicazione della legge
penale.
Il giudizio espresso dal GIP e del Tribunale non sarebbe rapportato ad effettive esigenze cautelari. La valutazione del pericolo di reiterazione sarebbe avvenuta con formule stereotipate, senza tenere conto di dati fattuali significativi
quale lo stato di incensuratezza dell’indagato e la non rilevante gravità del fatto.
Non sarebbero emersi, a differenza di quanto affermato dal GIP, elementi
dai quali desumere che l’indagato fosse dedito in maniera stabile allo spaccio di
sostanza stupefacente, essendo stata contesta solo la detenzione, sia pire finalizzata allo spaccio, ma nemmeno un singolo episodio concreto di cessione a terzi
della sostanza.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con i provvedimenti consequenziali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Tutti i motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso
va rigettato.

2. Va ricordato che questa Corte Suprema è ferma nel ritenere che, in tema
di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il

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c. Violazione dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 81

quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta
illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i
principi di diritto, ma non anche quando (…) propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell’8
marzo 2012, Lupo, rv. 252178).
In altra pronuncia, che pure si condivide, si è sottolineato che, allorquanin ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema
spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio
di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato
adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità
del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della
motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni
della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
probatorie (sez. 4, n. 26992 del 29.5.2013, rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878
del 6.7.2007, Cuccaro e altri, rv. 237475);
Spetta dunque a questa Corte di legittimità il solo compito di verificare se il
giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi
indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali
delle vicende indagate.
Compete a questa Corte, dunque, esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato. Se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di
carattere positivo e l’altro negativo, e cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè
prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
Questa Corte di legittimità, ancora di recente ha peraltro ribadito come la
nozione di gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare non sia omologa a quella
che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (sez. 5 n. 36079 del 5.6.2012).

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do si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame

Al fine dell’adozione della misura cautelare, infatti, è sufficiente l’emersione
di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata
probabilità” sulla responsabilità dell’indagato» in ordine ai reati addebitati.
In altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2,
cod. proc. pen.
Ciò lo si desume con chiarezza dal fatto che l’art. 273, comma ibis, cod.
proc. pen. richiama i commi 3 e 4 dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il com-

concordanza degli indizi (così univocamente questa Corte, ex plurimis Sez. 2, n.
26764 del 15.3.2013, Ruga, rv. 256731; sez. 6 n. 7793 del 5.2.2013, Rossi, rv.
255053; sez. 4 n. 18859 del 14.2.2013, Superbo, rv. 255928).

3. Se questi sono i canoni ermeneutici cui questa Corte di legittimità è anco-

rata, va rilevato che nel caso all’odierno esame non risulta essersi verificata né
violazione di legge e nemmeno vizio di motivazione rilevante ex art. 606, comma
1, lett. e), cod. proc. pen.
La motivazione del Tribunale del riesame partenopeo è stata prospettata in
concreto e diffusamente in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e
coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.
I giudici del gravame cautelare, legittimamente, ricostruiscono la vicenda
oggetto del presente procedimento, in primis, dalle risultanze del verbale di arresto, da cui si desume che : a) in data 25.1.2016, alle ore 17.30 circa, i carabinieri della stazione di Casal di Principe notavano un’autovettura Fiat 500, dotata
di vetri posteriori opacizzati, stazionare in un parcheggio deserto, con a bordo
tre persone che si guardavano attorno con aria sospetta, tra cui Maiello Raffaele;
b. i militari procedevano, quindi, alla perquisizione personale e veicolare con il
seguente esito: all’interno del marsupio dell’odierno ricorrente venivano rinvenute 6 bustine in cellophane contenenti sostanza stupefacente del tipo marijuanaamnesia ed un sacchetto contenente ulteriori 12 bustine di marijuana (peso
complessivo grammi 21 lordi), nonché banconote di vario taglio per complessivi
C 730,00 ed un telefono I Phone, nella cui galleria immagini erano presenti 26
fotografie ritraenti sostanza stupefacente; all’interno del marsupio indossato da
Petrillo Silvio venivano rinvenute 3 dosi di sostanze stupefacenti del tipo cocaina,
per un peso complessivo di grammi 3 lordi e, nelle tasche dei pantaloni, la somma di C 69,00; c) la successiva attività di perquisizione domiciliare dava il seguente esito: all’interno della stanza da letto in uso al ricorrente i militari rinvenivano, occultata in un armadio, una scatola contenente 85 bustine di cellopha5

ma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e

ne, un tritaerba con tracce di sostanza vegetale ed un flacone di liquido oleoso;
nella camera da letto in uso al Petrillo i militari rinvenivano un portaocchiali contenente tracce di sostanza vegetale nonché, occultata in un pupazzo, due bustine
contenenti verosimilmente semi di marijuana, oltre a 5 tritaerba.
Nel provvedimento impugnato si ricorda che, in sede di convalida dell’arresto, Petrillo Silvio ammetteva gli addebiti, dichiarando di aver organizzato, versando in situazioni economiche precarie, una piccola attività di spaccio di marijuana e cocaina. Affermava, inoltre, di aver chiesto in quell’occasione un passagrealtà doveva incontrarsi con tale Franco, al quale avrebbe ceduto sostanza stupefacente; una volta fermi nel parcheggio, alla vista degli agenti, preso dal panico, trasferiva l’erba che aveva con sé nel borsello del Maiello, ignaro di tutto, posto al centro tra i sedili anteriori, nei pressi del freno a mano. L’odierno ricorrente, dal suo canto, negava ogni addebito, affermando che nell’occasione aveva
dato un passaggio in auto al Petrillo senza immaginare che potesse detenere sostanza stupefacente, pur essendo a lui nota l’attività di spaccio da quest’ultimo
svolta, anche per avere da lui acquistato, in talune occasioni, piccole dosi di marijuana. Precisava che, all’atto dell’intervento dei militari, il borsello si trovava
nella tasca posteriore del sedile passeggero e che il denaro sequestrato (pari ad
C 730,00) rappresentava il guadagno settimanale dell’attività lavorativa di vendita di pane, esercitata “al nero”.
4. Orbene, con motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità- i giudici del gravame
del merito danno conto nel provvedimento impugnato che gli esiti dell’attività di
indagine appena descritti valgano senz’altro ad integrare un grave quadro indiziario nei confronti del ricorrente, non scalfito dal tentativo del coindagato di assumere solo su di sé la responsabilità del delitto.
Premesso che ai sensi dell’art. 192 comma 3 c.p.p. le dichiarazioni rese dal
coindagato nel medesimo reato vanno valutate unitamente ad altri elementi di
prova che ne confermano l’attendibilità (regola questa valevole, stante il chiaro
dettato della norma, non solo per le dichiarazioni etero accusatorie, ma anche
per quelle favorevoli al concorrente nel reato), i giudici napoletani osservano che
le versioni rese, oltre a divergere quanto all’indicazione del luogo ove era posizionato il borsello (nella tasca posteriore del sedile, lato passeggero secondo la
versione del ricorrente; al centro tra i sedili anteriori, in prossimità del freno a
mano) secondo la versione del Petrillo), appaiono in insanabile contrasto con gli
ulteriori esiti dell’attività di indagine, che attestano invero il pieno coinvolgimento
dell’odierno ricorrente nell’attività illecita ed, in particolare, con le fotografie ri6

gio al Maiello, dicendogli di avere un appuntamento con una ragazza, mentre in

traenti sostanza stupefacente rinvenute nel telefono cellulare in uso al Maiello e
con il rinvenimento presso la sua abitazione di un taglia-erbe e di 85 bustine in
cellophane del tutto simili a quelle contenenti la marijuana sottoposta a sequestro.
Viene poi evidenziato che la tesi accusatoria trova ulteriore conforto nella
cospicua somma di denaro detenuta dal ricorrente, da ritenere, alla luce delle
circostanze del caso concreto, con alto grado di probabilità, provento dell’attività
di spaccio (apparendo difficilmente credibile che detenesse i proventi di un’intera

all’interno di un parcheggio deserto, verosimilmente deputato agli incontri con gli
acquirenti.
L’ordinanza impugnata, dunque, non dice che era parcheggio in zona periferica, come afferma il ricorrente, ma che era deserto.
Logica pare anche l’affermazione che i dati di cui sopra – a meno di non voler ritenere che il Petrillo, in una precedente e non precisabile occasione, si fosse
impossessato del telefono cellulare dell’amico, scattando fotografie ritraenti sostanze stupefacenti e che sempre, all’insaputa dell’odierno ricorrente, avesse
provveduto a nascondere, in una non precisabile occasione, nell’armadio della
sua camera da letto ben 85 bustine di cellophane ed un taglia erba – confermano
la sussistenza a suo carico dei gravi indizi di colpevolezza.
Rispetto a tale logica ed articolata motivazione il ricorrente si è limitato ad
offrire una propria lettura degli esiti delle indagini preliminari, tutta incentrata
sulle dichiarazioni con cui il Petrillo si è autoaccusato.

5. Infondati sono anche i motivi di doglianza riguardanti la mancata qualifi-

cazione dei fatti con riferimento al quinto comma di cui all’art. 73 Dpr. 309/90.
Sul punto i giudici del gravame del merito hanno congruamente motivato il
loro diniego, facendo riferimento non solo al dato ponderale, ma anche alla pluralità di sostanze stupefacenti di differente tipologia detenute -ritendo tale condotta, a prescindere dal dato quantitativo, indicativa della capacità dell’agente di
procurarsi sostanze tra toro eterogenee e, per ciò stesso, di rifornire assuntori di
stupefacenti di diversa natura, così da recare un danno non tenue al bene della
salute pubblica tutelato dalla norma incriminatrice (conferente il richiamo alla
pronuncia della sez. 3 n. 26205/2015)- ed alle complessive modalità dell’azione
desumibili, in particolare, dalla suddivisione in bustine della sostanza stupefacente, pronte per essere cedute ai clienti ed agli esiti dell’attività di perquisizione
domiciliare, che depongono in modo evidente per la natura tutt’altro che occasionale dell’attività illecita.

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settimana lavorativa), nonché nel luogo ove gli indagati vennero sorpresi, ossia

L’ordinanza sul punto fa, dunque, buon governo della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui in tema di sostanze stupefacenti,
ai fini del riconoscimento dell’ipotesi attenuata richiesta, il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia
quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli
che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze
stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente

escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità (vengono
richiamate sul punto le sentenze di questa Corte sez. 4 n. 6732 del 22.12.2011
dep. il 20.2.2012, Sabatino, rv. 251942; sez. 4 n. 38879 del 29.9.2005, Frank,
rv. 232428; sez. 4, n. 43399 del 12.11.2010, Serrapede, rv. 248947; nello stesso senso anche la più recente sez. 6, n. 39977 del 19.9.2013, Tayb, rv.
256610).
Questa Corte ha anche precisato che la fattispecie del fatto di lieve entità
di cui all’art. 73, comma quinto, D.P.R. n. 309 del 1990, anche all’esito della
formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in
legge n. 10 del 2014), può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo,
sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici
previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione
resta priva di incidenza sul giudizio (così sez. 3, n. 27064 del 19.3.2014, Fontana, rv. 259664, fattispecie in cui è stato ritenuto illegittimo il riconoscimento del
fatto di lieve entità per avere il giudice attribuito rilievo decisivo soltanto alla
condizione di tossicodipendente dell’imputato, senza considerare i precedenti penali specifici e il quantitativo non modesto di sostanza stupefacente detenuta;
conf. sez. 3, n. 23945 del 29.4.2015, Xhihani, rv. 263651, fattispecie in cui è
stata ritenuta legittima l’esclusione dell’attenuante in esame per la protrazione
nel tempo dell’attività di spaccio, per i quantitativi di droga acquistati e ceduti,
per il possesso della strumentazione necessaria per il confezionamento delle dosi
e per l’elevato numero di clienti).

6. Infondati sono anche i motivi di doglianza relativi alla motivazione del

provvedimento impugnato in punto di esigenze cautelari.
Secondo i giudici napoletani, le medesime considerazioni appena esposte in
ordine alle modalità dell’azione impongono di ritenere sussistenti, in termini concreti ed attuali, il pericolo che, in assenza di adeguato presidio cautelare, l’inda8

escludere il riconoscimento quando anche uno solo di questi elementi porti ad

gato possa commettere ulteriori reati della stessa specie e, segnatamente, di
cessione in favore di terzi di sostanze stupefacenti.
I giudici del gravame cautelare precisano, sul punto, che si tratta di una
conclusione imposta tanto dal non modesto quantitativo di sostanza stupefacente
rinvenuta, quanto dagli ulteriori esiti dell’attività di perquisizione innanzi descritta (fotografie ritraenti sostanza stupefacente conservate nel telefono cellulare;
detenzione presso l’abitazione di un apprezzabile numero di bustine di cellophane e di un tagliaerba, evidentemente destinate alla preparazione di dosi).

dabili con misure meno afflittive di quella in atto, che lascerebbero all’indagato
una libertà di azione, di movimento e di incontro con fornitori e clienti, incompatibile con il rischio di recidiva. E nel provvedimento impugnato si dà conto che i
limiti edittali del reato ascritto e il già segnalato rischio di commissione di analoghe condotte criminose consentono di escludere che, in ipotesi di condanna, l’indagato possa godere del beneficio della sospensione condizionale della pena.

7. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna del ricorrente al pa-

gamento delle spese processuali.

P.Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 26 aprile 2016
Il

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sigliere esrz sore

I

Il Presidente
Patn4 Picciallín
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Le descritte esigenze cautelali vengono in tal senso non ritenute salvaguar-

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