Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20999 del 26/04/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 20999 Anno 2016
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIURLANDA ANGELO N. IL 26/09/1973
avverso l’ordinanza n 36/2014 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
25/06/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
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Data Udienza: 26/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di L’Aquila, con ordinanza del 25.6.2015 rigettava
l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione avanzata, in data 23.10.2014,
dall’odierno ricorrente GIURLANDA ANGELO in relazione alla custodia cautelare in
carcere patita, dal 7.8.2012 al 9.4.2014, data in cui veniva revocata la misura
cautelare contestualmente alla pronuncia, della Corte di Appello di L’Aquila, della
sentenza di assoluzione, ai sensi dell’art. 530 comma 2° cod. proc. pen., per insussistenza del fatto, per il reato continuato di cui all’art. 609 quater cod. pen. in

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo
del proprio difensore di fiducia, Giurlanda Angelo, deducendo i motivi di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• Inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale, in riferimento
all’art. 314 cod. proc. pen. o di altre norme penali, art. 24 Cost., di cui si deve
tener conto nell’applicazione della legge penale.
Il ricorrente deduce che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto
che il silenzio mantenuto con pervicacia dall’imputato ha notevolmente influenzato l’applicazione ed il mantenimento della misura cautelare.
In realtà. Si sostiene, invece, che l’imputato non poteva fornire alcun elemento da contrapporre alla consulenza del P.M. sull’attendibilità della minore. In
realtà il convincimento del giudice di primo grado sulla colpevolezza del ricorrente è stato determinato dalla consulenza del perito del P.M., mentre l’assoluzione
in appello è stata determinata dalla consulenza svolta dal perito di ufficio.
Nessun elemento avrebbe potuto fornire all’autorità giudiziaria l’indagato si lamenta in ricorso- tale da attribuire un significato diverso agli elementi posti a
fondamento del provvedimento cautelare, anche se avesse rinunciato alla scelta
di avvalersi della facoltà di non rispondere.
La Corte distrettuale, pertanto, sarebbe venuta meno all’obbligo motivazionale, non avendo indicato specificamente il comportamento determinante o sinergico all’emissione del provvedimento limitativo della libertà personale o che
possa integrare il dolo o la colpa grave.

Chiede, pertanto, l’annullamento o la revoca dell’ordinanza impugnata con
ogni consequenziale pronuncia.

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danno della figlia minorenne.

2. Il P.G. presso questa Corte Suprema ha rassegnato ex art. 611 cod. proc.
pen. le proprie conclusioni scritte chiedendo l’annullamento con rinvio
dell’impugnata ordinanza.

3. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato ha presentato tempestiva memoria, chiedendo preliminarmente
di accertare e dichiarare l’inammissibilità del ricorso e respingere ogni altra richiesta di parte ricorrente; in subordine, accertare e dichiarare l’infondatezza del

corrente con ogni conseguente statuizione per ciò che concerne spese, diritti ed
onorari del giudizio.
Rileva che il provvedimento impugnato è stato correttamente motivato con
giudizio ex ente. L’iter motivazionale appare autonomo e corretto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va
rigettato.

2.

L’art. 314 cod. pen., com’è noto, prevede al primo comma che “chi è

stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non
aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare
subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce
causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato
dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della
custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza
di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla
deduzione della parte (cfr. sul punto questa sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002,
Guadagno, rv. 226004).
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che,
in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi
dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini
fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la
condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimen3

ricorso e per l’effetto respingerlo unitamente ad ogni altra richiesta di parte ri-

to riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidie secondo le regole
di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13.12.1995
dep. il 9.2.1996, Sarnataro ed altri, rv. 203637)
Poiché inoltre, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi
ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto primo
comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risul-

scuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento
dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso.
In altra successiva condivisibile pronuncia è stato affermato che il diritto alla
riparazione per l’ingiusta detenzione non spetta se l’interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia
posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi
nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella manl-tice-/ci
cata revoca di uno già emesso (sez. 4, n. 43302 del 23.10.2008, Mk

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