Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20997 del 20/04/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 20997 Anno 2015
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
Biscarini Ivana, nata a Perugia il 24/10/1944
avverso la sentenza emessa il 22/10/2012 dal Tribunale di Perugia, all’esito del
processo celebrato nei confronti di
Allegrini Sandro, nato a Lisciano Niccone il 27/09/1946
visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Enrico Delehaye, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso;
udito per la parte civile ricorrente l’Avv. Giovanni Bonelli, il quale ha concluso per
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata;
udito per l’imputato non ricorrente l’Avv. Alberto Stafficci, il quale ha concluso
chiedendo dichiararsi l’inammissibilità, ovvero il rigetto, del ricorso della parte
civile

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 20/04/2015

Il difensore di Ivana Biscarini, parte civile costituita in un processo a carico
di Sandro Allegrini in ordine all’addebito di ingiuria, ricorre avverso la pronuncia
indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa il 07/03/2011
dal Giudice di pace di Perugia; l’Allegrini risulta essere stato assolto
dall’imputazione ascrittagli, per insussistenza del fatto, con decisione ribadita dal
Tribunale – all’esito di appello presentato ai soli fini civilistici – sul presupposto
dell’impossibilità di collocare con esattezza nel tempo un dialogo che la Biscarini
ebbe a registrare, in occasione del quale l’imputato le avrebbe rivolto parole

supporto magnetico, che tuttavia appariva datato 01/01/1995, quando invece la
tesi accusatoria era nel senso che le lamentate ingiurie fossero avvenute
1’08/04/2009: i due protagonisti della vicenda, abitanti nel medesimo stabile uno
sopra all’altra, avevano infatti rapporti tesi per prolungati dissidi condominiali,
che – secondo le risultanze dibattimentali – erano spesso sfociato’ in litigi
verbali, e non era dunque possibile ritenere accertato cosa fosse davvero
accaduto quell’8 aprile, tanto più che la parte civile aveva riferito di essersi
munita di un registratore proprio a causa del ripetersi delle intemperanze. La
registrazione de qua, pur attestando un dialogo tra un uomo e una donna, nel
corso del quale il primo aveva usato le parole descritte in rubrica, non poteva
pertanto dimostrare con sufficiente certezza né che le voci appartenessero
all’Allegrini e/o alla Biscarini, né che le frasi in questione riguardassero
quell’episodio, e non invece uno diverso; nel contempo, la testimonianza del
figlio della Biscarini non aveva carattere decisivo, avendo egli ricordato che
1’08/04/2009 vi era stata l’ennesima discussione tra la madre e l’imputato, ma
non che nell’occasione l’Allegrini avesse utilizzato gli epiteti in rubrica.
Con l’odierno ricorso, il difensore della parte civile deduce mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza
impugnata; nell’interesse della ricorrente si fa rilevare che:
gli accertamenti tecnici compiuti sul file audio non escludevano che la
registrazione riguardasse i fatti dell’aprile 2009, essendo stata attribuita
la datazione al 1995 come mero risultato di un iniziale default;
il figlio della Biscarini aveva comunque precisato che 1’08/04/2009
l’Allegrini aveva avuto una discussione con la madre del teste;
lo stesso imputato aveva sostanzialmente ammesso la circostanza, atteso
che egli (pur escludendo di avere rivolto alla querelante le frasi indicate in
rubrica, e dichiarando anzi di essere stato egli stesso oggetto di ingiurie)
aveva ricordato una discussione con la Biscarini in quella data.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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offensive. Detto dialogo risultava riportato in un file audio versato in atti su

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile.
E’ infatti evidente che gli argomenti utilizzati dal difensore della parte civile,
afferenti presunti profili di vizio della motivazione, tendono a sottoporre al
giudizio di legittimità aspetti che riguardano la ricostruzione del fatto e
l’apprezzamento del materiale probatorio, da riservare alla esclusiva competenza
del giudice di merito e già adeguatamente valutati sia in primo che in secondo
grado.

questa Corte affermava pacificamente che al giudice di legittimità deve ritenersi
preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore
capacità esplicativa, dovendo soltanto controllare se la motivazione della
sentenza di merito fosse intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e
spiegare l’iter logico seguito. Quindi, non potevano avere rilevanza le censure
che si limitavano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la
verifica della correttezza e completezza della motivazione non poteva essere
confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti,
«non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione
dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento» (v., ex plurimis, Cass., Sez. IV, n. 4842
del 02/12/2003, Elia).
I parametri di valutazione possono dirsi solo parzialmente mutati per effetto
delle modifiche apportate agli artt. 533 e 606 cod. proc. pen. con la ricordata
novella: in linea di principio, questa Corte potrebbe infatti ravvisare un vizio
rilevante in termini di inosservanza di legge processuale, e per converso in
termini di manifesta illogicità della motivazione, laddove si rappresenti che le
risultanze processuali avrebbero in effetti consentito una ricostruzione dei fatti
alternativa rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito, purché tale
diversa ricostruzione abbia appunto maggior spessore sul piano logico
(realizzando così il presupposto del “ragionevole dubbio” ostativo ad una
pronuncia di condanna).
Si è peraltro più volte ribadito che anche all’esito della suddetta riforma «gli
aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del
significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono
rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso
giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e […], pertanto, restano

3

Sino alla novella introdotta con la legge n. 46 del 2006, la giurisprudenza di

inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a
sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio» (Cass., Sez. V, n.
8094 dell’11/01/2007, Ienco, Rv 236540). E, proprio con riguardo al principio
dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, si è da ultimo precisato che esso non ha
comunque inciso sulla natura del sindacato della Corte di Cassazione in punto di
motivazione della sentenza e non può, quindi, «essere utilizzato per valorizzare e
rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto,
eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che

dell’appello» (Cass., Sez. V, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv 254579).
Nella fattispecie oggi in esame, al contrario, la difesa punta proprio a far
rivalutare a questa Corte le emergenze istruttorie, occupandosi soltanto degli
elementi di fatto a dispetto della dedotta sussistenza di vizi

ex art. 606 cod.

proc. pen.; la tenuta logica della motivazione adottata dal Tribunale di Perugia,
invece, si sottrae ictu ocull alle censure sviluppate nell’interesse della ricorrente,
attesa la non superabilità degli elementi di incertezza su quanto accadde in data
08/04/2009 tra l’Allegrini e la Biscarini, già a partire dalla non dimostrata
appartenenza ai suddetti delle voci registrate sul supporto audio in atti.
2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., si impone la condanna della parte
civile ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità,
in quanto riconducibile alla sua volontà (v. Corte Cost., sent. n. 186 del
13/06/2000) – al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma
di C 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 20/04/2015.

tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice

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