Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20997 del 09/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20997 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
AVELLA CIRO nato il 13/12/1952 a TORRE ANNUNZIATA

avverso la sentenza del 29/06/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;

Data Udienza: 09/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Napoli con sentenza 29.06.2016, in riforma della sentenza
emessa in data 25.06.2014 dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere, appellata
dall’Avena, dichiarava non doversi procedere in relazione al reato di cui all’art.
181, comma 1-bis, d. Igs. n. 42 del 2004, per essere estinto a seguito di

della declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza n. 56/2016, per l’effetto
rideterminando la pena per il residuo reato edilizio, contestato al capo a), in 2
mesi di arresto ed € 12.000 di ammenda, in relazione a fatti del 14.02.2012.

2. Con il ricorso per cassazione, articolato con un unico motivo, il ricorrente a
mezzo del difensore iscritto all’Albo speciale ex art. 613, c.p.p. deduce violazione
di legge e vizio di motivazione (si duole il ricorrente perché non sarebbe stata
eseguita alcuna valutazione in ordine alla concreta potenzialità offensiva della
condotta dell’imputato, nonostante la difesa avesse provveduto a fornire la
documentazione atta a giustificare la scelta di realizzare le serrande e coperture
in ferro in luogo del PVC espressamente autorizzato nel provvedimento comunale;
le ragioni risiedevano infatti nella necessità di garantire maggiore sicurezza
privata, ed evitare che i luoghi costruiti divenissero ricovero di drogati e ricettacolo
di animali randagi, donde l’installazione delle quattro serrande avvolgibili in ferro,
provvisorie e removibili, non aventi carattere di stabilità; non risulterebbe quindi
alcuna offensività della condotta, avendo la Corte d’appello posto n essere un
automatismo nel ritenere la sussistenza del danno urbanistico, limitandosi alla
constatazione di un pericolo presunto; la sentenza sarebbe altresì censurabile
laddove non avrebbe motivato in ordine alle ragioni della determinazione di un
trattamento sanzionatorio così severo, disattendendo i criteri di cui all’art. 132 e
all’art. 133 c.p., senza tener conto che l’imputato aveva provveduto al ripristino
dello stato dei luoghi prima della pronuncia della sentenza di primo grado, così
manifestando una condotta collaborativa che avrebbe giustificato un trattamento
sanzionatorio più mite).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile.

4.

Ed infatti, i motivi di appello riguardavano esclusivamente la sussistenza

dell’elemento psicologico e la misura della pena inflitta con conseguente richiesta

ravvedimento operoso ex art. 181-quinquies, d. Igs. n. 42 del 2004 per effetto

di riduzione della pena; quanto sopra rende evidente la inammissibilità del primo
profilo di doglianza, afferente alla mancata valutazione della concreta offensività
dell’intervento edilizio, atteso che le censure svolte in appello non investivano tale
punto; trova applicazione, pertanto, il principio secondo cui non sono proponibili
in Cassazione motivi, non basati su censure attinenti al diritto sostanziale, con i
quali vengono sollevate per la prima volta questioni che per non essere state

grado, per non essere riconducibili nei limiti degli effetti devolutivi prodotti
dall’impugnazione; in tal caso le censure dedotte in ricorso hanno per oggetto
“punti della decisione” che hanno acquistato autorità di giudicato in base al
principio del “tantum devolutum, quantum appellatum”, sancito ex art. 597,
comma primo, cod. proc. pen..

5.

Quanto, poi, alla censura relativa alla rivisitazione del trattamento

sanzionatorio, il giudice di appello precisa che la rideterminazione della pena a
seguito del venire meno del reato paesaggistico era da ritenersi assorbente quanto
ai motivi appello afferenti alla dosimetria della pena; le doglianze difensive sul
punto sono manifestamente infondate, in quanto la pena base (mesi 3 di arresto
ed C 18000 di ammenda) non supera il medio edittale, in relazione alla cornice
edittale attualmente prevista (l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 15493 a
51645 C), trovando quindi applicazione l’ormai consolidata giurisprudenza secondo
cui in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena
al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata
motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di
adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod.
pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015 – dep. 23/11/2015, Scaramozzino, Rv.
265283); a ciò va aggiunto, infine, che l’atteggiamento di chi collabora per
ottenere un vantaggio nella quantificazione della pena non giustifica, però, che si
vada oltre il limite al di là del quale il giudice violerebbe l’art. 133 cod. pen., che
esige che la pena sia commisurata alla gravità del reato ed alla capacità a
delinquere del reo (Sez. 2, n. 12331 del 16/05/1989 – dep. 18/09/1989, Tulli, Rv.
182086).

6. Alla dichiarazione di inannmissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al
versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.
2

dedotte nei motivi di appello non potevano essere rilevate dai giudici di secondo

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della
Cassa delle ammende.

Il Consiglier estensore
Alessio

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Il Presidente
avallso
A
ik(4.>

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 9 marzo 2018

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