Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20989 del 09/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20989 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
HALILOVIC RENATO nato il 29/09/1975 a CEVA

avverso la sentenza del 03/07/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;

Data Udienza: 09/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Milano con sentenza 3.07.2017, decidendo ex art. 627
c.p.p. in sede di rinvio disposto da questa Corte con sentenza 13.01.2017,
confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Busto Arsizio in data 18.05.2011,
appellata dall’Halilovic, che lo aveva condannato alla pena di 4 anni di reclusione

2 e 5, e 61, nn. ri 5 e 7, c.p.), in relazione a fatti del 19.06.2005.

2. Con il ricorso per cassazione, articolato con un unico motivo, il ricorrente a
mezzo del difensore iscritto all’Albo speciale ex art. 613, c.p.p. deduce la manifesta
illogicità della motivazione (premesso che la decisione consegue ad annullamento
con rinvio disposto da questa Corte con la sentenza del 13.01.2017 (n.
8111/2017) della IV” Sezione penale, sostiene il ricorrente che la motivazione
della Corte territoriale – che, nell’esaminare il motivo inerente il mancato
riconoscimento delle attenuanti generiche, avrebbe giustificato il diniego ritenendo
che il quadro probatorio esistente nei confronti del reo fosse a tal punto
schiacciante che l’ammissione degli addebiti da parte del medesimo, non
apportasse alcun contributo all’accertamento del fatto, contributo invece che
sarebbe stato apprezzabile ove questi avesse rivelato i nomi dei complici, non
risultando credibile che egli non ne conoscesse le generalità -, non sarebbe
condivisibile, in quanto una confessione non potrebbe mai essere definita inutile,
in quanto anche davanti ad un quadro indiziario apparentemente ben strutturato,
l’amissione dell’addebito da parte del reo contribuirebbe sempre a conferire allo
stesso maggiore valore probatorio e a confortare il giudice sulla correttezza degli
accertamenti del PM; a ciò andrebbe aggiunto non solo il richiamo all’art. 533
c.p.p. e al principio dell’ogni oltre ragionevole dubbio, ma, soprattutto, la
considerazione che a prescindere dalla posizione dei correi, l’imputato,
confessando la propria partecipazione al reato contestato, avrebbe consentito
all’A.G. di pervenire a prova certa della sua responsabilità).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è nel complesso manifestamente infondato e generico.

4.

E’ anzitutto generico per aspecificità in quanto non si confronta con le

argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera
puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le

ed C 400 di multa, per il reato di furto aggravato in concorso (artt. 624, 625, nn.ri

identiche doglianze difensive svolte nel motivo di appello (che, vengono, per così
dire “replicate” in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elementi di
novità critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilità; ed invero, è
pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per
cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che
ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del

riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione
(v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv.
253849).

5.

Lo stesso è inoltre da ritenersi manifestamente infondato, atteso che,

l’impugnata sentenza, in adempimento del mandato conferitole dalla IVA Sezione
di questa Corte in sede di annullamento della precedente sentenza d’appello, ha
esaminato la doglianza difensiva relativa al mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, i giudici di appello, esaminando la censura
difensiva (secondo cui la confessione resa dall’imputato a fronte di un quadro
indiziario non sarebbe stata adeguatamente valutata dai giudici di primo grado al
fine di trarne le necessarie conseguente sotto il profilo sanzionatorio), hanno non
solo osservato che già il primo giudice, investito della richiesta, aveva ritenuto
l’imputato non meritevole delle invocate attenuanti per essere lo stesso sedicente,
senza fissa dimora e senza stabile occupazione lavorativa, ma, soprattutto, hanno
ritenuto lo stesso non meritevole delle stesse in quanto l’imputato aveva
confessato non di fronte ad un “mero” quadro indiziario, ma a fronte di una
schiacciante prova scientifica della sua manipolazione dei locali dove era avvenuta
l’effrazione, e l’asportazione, non solo della cassaforte contenente quasi 50.000 C
ma delle chiavi di scorta degli automezzi della società, del muletto e dei distributori
automatici; nel richiamare tali esiti “schiaccianti” (ossia il fatto che due dei tre
frammenti rilevati in sede di indagini recavano impronte digitali e palmari che,
confrontati con i dati inseriti nel database delle forze di polizia, evidenziavano che
il frammento A corrispondeva al pollice dx dell’imputato e che il frammento C al
suo palmo dx), i giudici di appello concludevano sottolineando come non vi era
alcun legame dell’imputato con i locali dell’effrazione tale da giustificare il
precedente accesso in quei luoghi, sicché, alla luce delle emergenze processuali,
era evidente che la confessione resa apparisse come una “presa d’atto” da parte
del reo di elementi a carico aventi tale forza dimostrativa da non poter scongiurare
in ogni caso un verdetto di colpevolezza, dovendosi aggiungere che l’ammissione
che vi fossero altri tre complici non solo era la conseguenza logica delle modalità
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gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni

di commissione del fatto attesa la necessità di asportare una cassaforte intera che
necessitava della presenza id più correi, ma anche, e soprattutto, che tale dato ex
se non poteva considerarsi sufficiente a ritenere l’imputato meritevole delle
attenuanti generiche, essendosi questi ben guardato dal farne i nomi e dal fornire
indicazioni utili alla loro individuazione, essendosi limitato di aver perpetrato il
furto unitamente ad altri tre nomadi di Milano di cui non conosceva l’identità,

6. Conclusivamente, per la Corte territoriale, la sua confessione non avrebbe
realizzato alcuna forma di collaborazione con le indagini, alcuna presa d’atto del
disvalore della propria azione o ancora alcun tentativo di emendare i rilevanti danni
inferti alla vittima del suo crimine, donde la mancanza di qualsiasi elemento,
tenuto conto di quanto già evidenziato dal primo giudice, che consentisse un più
benevolo trattamento sanzionatorio; al cospetto di tale apparto argomentativo, le
doglianze difensive si appalesano dunque manifestamente infondate, atteso che il
ricorrente, attraverso le prospettate illogicità della sentenza, sotto l’apparente
censura del vizio motivazionale, in realtà tenta di chiedere a questa Corte di
sostituire la propria valutazione a quella, operata dai giudici territoriali, non
condivisa dal ricorrente; ciò che si risolve, dunque, nella manifestazione del
dissenso di quest’ultimo, più che nella prospettazione di un reale vizio
motivazionale; deve, quindi, essere ribadito che il controllo di legittimità sulla
correttezza della motivazione non consente alla Corte di cassazione di sostituire la
propria valutazione a quella dei giudici di merito in ordine alla ricostruzione storica
della vicenda ed all’attendibilità delle fonti di prova (Sez. 1, n. 20038 del
09/05/2006 – dep. 13/06/2006, P.M. in proc. Matera, Rv. 233783); sono infatti
precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a
quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 – dep.
27/11/2015, Musso, Rv. 265482).

7. La soluzione offerta dalla Corte d’appello, infine, si appalesa anche conforme
alla costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui è legittimo il diniego delle
circostanze attenuanti generiche motivato con l’esplicita valorizzazione negativa
dell’ammissione di colpevolezza, in quanto dettata da intenti utilitaristici e non da
effettiva resipiscenza. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l’esclusione
di tali circostanze in favore di un imputato la cui confessione era stata considerata
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asserendo di non aver ricevuto alcuna parte del bottino.

dai giudici di merito necessitata dalle copiose emergenze investigative a carico e
tesa, mendacemente, a scagionare taluni concorrenti: Sez. 1, n. 35703 del
05/04/2017 – dep. 19/07/2017, Lucaioli e altro, Rv. 271454).

8. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad

versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 9 marzo 2018

Il Consigli re estensore
Alessid Scarcella

Il Presidente

escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al

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