Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20979 del 22/04/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20979 Anno 2016
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CRISCUOLO ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
D’Agostino Francesco, nato a Locri il 04/12/1959

avverso il decreto del 23/11/2015 della Corte di appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Criscuolo;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Pasquale Fimiani, che ha concluso chiedendo la l’inammissibilità
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il decreto impugnato la Corte di appello di Torino ha rigettato
l’appello proposto avverso il decreto, emesso in data 11/0672015, con il
quale il locale Tribunale aveva applicato a Francesco D’Agostino la misura
della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di 2 anni e 6
mesi con le relative prescrizioni e la cauzione di 500 euro, in ragione della
qualificata pericolosità dello stesso, condannato con sentenza irrevocabile

Data Udienza: 22/04/2016

del 23/02/2015, quale partecipe dell’associazione denominata ‘ndrangheta,
operante nel territorio piemontese, ritenuta l’attualità della pericolosità
sociale, in assenza di elementi indicativi di un recesso o di una frattura dei
legami con l’ambiente criminoso di appartenenza, e l’irrilevanza della
documentata dedizione al lavoro del proposto, destinata ad incidere
esclusivamente sulla determinazione della durata della misura, fissata in
termini più contenuti di quelli richiesti dal P.m. proponente.

violazione di legge ed in particolare in relazione alle norme applicabili in
punto di pericolosità sociale: si contesta la valutazione operata dalla Corte
di appello in punto di attualità della pericolosità sociale, in quanto non
desumibile da fatti remoti se non accompagnati da informazioni negative,
che pongano in rilievo ulteriori e specifici elementi atti a dimostrare la
sussistenza di detto requisito. Si sostiene l’inesigibilità della dissociazione da
un soggetto, che ha il diritto di dichiararsi innocente, specie nel caso in cui
le prove dell’appartenenza all’associazione sono deboli, riferendosi a
partecipazioni a cene, pranzi, funerali o feste o a telefonate dal contenuto
incerto. Si segnala, inoltre, la mancanza di altri presupposti per
l’applicazione della misura di prevenzione personale, non risultando cattive
frequentazioni del ricorrente né provata la titolarità di redditi di dubbia
provenienza o uno stile di vita, non confacente alle condizioni economiche
dichiarate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Il provvedimento impugnato risulta immune da censure e logicamente
argomentato. La Corte di appello ha fondato la valutazione di pericolosità
qualificata del ricorrente sulla sentenza di condanna, divenuta irrevocabile
23 febbraio 2015, che ne ha riconosciuto l’appartenenza al “locale” di Natile
di Careri, distaccato a Torino, con la dote di “quartino”, conferitagli nella
sua abitazione nell’aprile 2008 – elemento di per sé indicativo del grado
meritato dopo una pregressa militanza nell’associazione mafiosa-, e le
qualificate frequentazioni con esponenti di spicco dei “locali”, operanti nel
territorio piemontese, risultanti da intercettazioni e da servizi di
osservazione.
Pertanto, la contestazione difensiva del giudicato risulta del tutto sterile
al pari della dedotta inesigibilità di un atto di dissociazione e della

2

0,91

2. Avverso il decreto propone ricorso il difensore del proposto per

mancanza di elementi, indicativi dell’attualità della pericolosità sociale,
richiesti per soggetti rientranti nelle categorie di cui all’art. 1 d.lgs.
159/2011.
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi affermati
da questa Corte in tema di attualità della pericolosità sociale degli
appartenenti ad associazioni mafiose, per i quali il requisito dell’attualità
della pericolosità sociale è da ritenere implicito nell’accertamento giudiziale
dell’appartenenza del soggetto all’associazione mafiosa ed immanente, in

della tendenziale irrevocabilità dell’appartenenza a dette associazioni,
fondato sul patto di fedeltà e lealtà alla stessa, che può recidersi solo con
una concreta presa di distanza e un atto di dissociazione (Sez. 6, n. 567
del 17/11/2015 Cc. (dep. 08/01/2016 ), Rv. 265766, e Sez. 5, n. 1831
del 17/12/2015 Cc. (dep. 18/01/2016 ), Rv. 265863, secondo la quale “ai
fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di appartenenti
ad associazioni di tipo mafioso, non è necessaria alcuna particolare
motivazione in punto di attualità della pericolosità, una volta che
l’appartenenza risulti adeguatamente dimostrata e non sussistano elementi
dai quali ragionevolmente desumere che essa sia venuta meno per effetto
del recesso personale”).
Parimenti infondata è la contestazione circa la mancata considerazione
della dedizione al lavoro del proposto, che correttamente la Corte ha
ritenuto elemento rilevante ai soli fini della determinazione della durata
della misura applicata.
Per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile con
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
ed al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che si
stima equo determinare in € 1.500,00

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 1.500 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 22/04/2016.

assenza di elementi che dimostrino l’interruzione dei rapporti, in ragione

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