Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20978 del 09/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20978 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
ROSSI MASSIMO nato il 24/08/1948 a ROMA
ROSSI FABRIZIO nato il 11/06/1976 a ROMA
ROSSI EMANUELE nato il 14/01/1986 a ROMA

avverso la sentenza del 02/12/2016 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;

Data Udienza: 09/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Roma con sentenza 2.12.2016, in parziale riforma della
sentenza GIP/tribunale di Roma 16.10.2015, appellata da Rossi Massimo, Rossi
Fabrizio e Rossi Emanuele, per quanto qui di interesse, previo riconoscimento
dell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, co. 5, TU Stup., rideterminava per Rossi Fabrizio

in 8 mesi di reclusione ed 800 € di multa, revocando la pena accessoria agli stessi
ascritta e riconosceva il beneficio della sospensione condizionale della pena al
Rossi Emanuele; confermava, nel resto, l’appellata sentenza che aveva
riconosciuto colpevoli Rossi Fabrizio e Rossi Emanuele della detenzione di 11
involucri di sostanza stupefacente del tipo cocaina provenienti dalla loro abitazione
ed il Rossi Massimo del quantitativo più rilevante di cui all’imputazione, ossia dei
3 involucri di sostanza stupefacente del tipo cocaina da cui erano ricavabili 1208
dosi singole (art. 73, co. 1, TU Stup.).

2. Con il separato ricorso per cassazione, articolato su un unico motivo comune a
tutti i ricorrenti, gli stessi, a mezzo del difensore iscritto all’Albo speciale ex art.
613, c.p.p., deducono il vizio di illogicità della motivazione nella parte in cui si
afferma la responsabilità di ciascun imputato in ordine al reato di detenzione di
sostanza stupefacente a fini di spaccio e, in particolare:
a) quanto al Rossi Massimo, si censura la sentenza per aver tratto il convincimento
della responsabilità del ricorrente fondandolo sul risultato, che si assume
contraddittorio, dell’operazione di PG del 23.01.2015, con conseguenti ed evidenti
lacune di carattere argomentativo, avendo omesso la Corte territoriale di
esaminare il dato secondo cui gli operanti non avevano identificato nemmeno
sommariamente l’autore del gesto e la presenza all’interno dell’appartamento di
due persone; la responsabilità dell’imputato deriverebbe da una semplice
“associazione di idee”, in quanto al momento dell’ingresso nell’abitazione della PG
il Rossi Massimo era stato visto nell’atto di chiudere la finestra da cui era avvenuto
il lancio della busta; si tratterebbe di motivazione illogica e non esaustiva, in
quanto più persone erano all’interno dell’appartamento al momento dell’ingresso
della PG e non avrebbe invece confutato la tesi difensiva secondo cui proprio chi
ha aperto la porta avrebbe potuto poco prima effettuare il gesto lasciando la
finestra aperta per correre ad aprire alla PG; non sarebbe peraltro logica ed
esaustiva la motivazione che attribuisce in maniera certa la paternità dello
stupefacente rinvenuto al ricorrente;

la pena in 1 anno e 4 mesi di reclusione ed € 1800 di multa e per il Rossi Emanuele

b) quanto al Rossi Fabrizio, si censura la sentenza laddove lo ha ritenuto
responsabile a titolo di concorso con il fratello Emanuele, della detenzione degli
11 involucri di cocaina rivenuti sul prato condominiale ove è sita l’abitazione degli
stessi, facendo riferimento al contenuto di intercettazioni telefoniche risalenti a
due anni prima dei fatti tra il Rossi Fabrizio ed il padre; la motivazione sul punto
sarebbe illogica, laddove pretende di attribuire alle intercettazioni decisiva

e, conseguentemente, alla sicura riconducibilità della paternità dello stupefacente
rinvenuto all’imputato; i giudici di appello, tuttavia, avrebbero illogicamente
ritenuto che dette intercettazioni, da un lato, erano rilevanti per attribuire la
responsabilità a titolo di concorso nella detenzione degli 11 involucri, ma, nel
contempo, in quanto risalenti nel tempo, non potevano essere riferite a tutti i
quantitativi di stupefacente di cui si discute, dunque non utilizzabili per provare la
responsabilità di tutti gli imputati per entrambi i quantitativi intervenuti;
c) quanto al Rossi Emanuele, si censura la sentenza impugnata per averlo ritenuto
responsabile della detenzione, in concorso con il fratello Fabrizio, dello
stupefacente di cui sopra, in quanto convivente con il medesimo che ivi si trovava
ristretto agli arresti domiciliari; i giudici avrebbero omesso di argomentare come
potesse ritenersi rilevante la circostanza della convivenza tra i due fratelli e come
invece non lo fosse affatto la presenza di altri soggetti conviventi con loro, presenti
peraltro nell’abitazione durante lo svolgimento dei fatti oggetto del caso di specie;
non si sarebbe poi superata l’incongruenza derivante dagli atti di indagine, da cui
emergeva come la sostanza era stata rinvenuta dalla PG sul prato condominiale e
nel contempo come era stato avvistato il lancio di quella sostanza presumibilmente
dalla camera da letto dell’imputato; illogica, poi, sarebbe la motivazione laddove
ritiene prova al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità dell’imputato per
il sol fatto di essere convivente con il fratello, soggetto con precedenti specifici in
materia di stupefacenti e, nel contempo, esclude che lo stesso soggetto sia in
grado di detenere in proprio ed in esclusiva lo stupefacente a causa del disagio
psichico documentato di cui è affetto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il separato ricorso è nel complesso generico e manifestamente infondato.

4. Le doglianze svolte da ciascun ricorrente appaiono anzitutto generiche per
aspecificità in quanto non si confrontano con le argomentazioni svolte nella
sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del
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rilevanza in ordine alla prova dell’attitudine del ricorrente al traffico di stupefacenti

tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive
svolte nei rispettivi motivi di appello (che, vengono, per così dire “replicate” in
questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica),
esponendosi quindi al giudizio di inammissibilità; ed invero, è pacifico nella
giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione
fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono

risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla
decisione ‘impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (v., tra le
tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).

5. Le stesse inoltre sono da ritenersi manifestamente infondate, atteso che la
Corte d’appello motiva (v. pagg. 4/5) indicando che dagli atti relativi alle due
distinte operazioni di PG emergevano elementi comprovanti che gli involucri gettati
dalla finestra durante le due perquisizioni, provenivano esattamente dalle finestre
delle abitazioni degli imputati; anzitutto, i giudici, con riferimento alla posizione
dei fratelli Rossi Fabrizio ed Emanuele, escludono qualsiasi contraddizione negli
atti di indagine, in quanto sottolineano che dopo il lancio dello stupefacente dalla
finestra della stanza di Rossi Emanuele, l’involucro contenente la cocaina era
caduto a terra nel prato del giardino condominiale, luogo ove era stato rinvenuto
dalla PG; inoltre dal verbale di arresto emergeva che lo stupefacente era stato
lanciato proprio dalla stanza in cui si trovava Rossi Emanuele, che aveva la porta
chiusa a chiave al momento dell’accesso della PG in casa ed aveva avuto quindi
tutto il tempo necessario per disfarsi della cocaina lanciandola dalla finestra; i
giudici passano poi a confutare l’argomento difensivo volto ad introdurre il dubbio
che altri occupanti dell’abitazione potessero aver eseguito il lancio dalla finestra
perché allarmati dalla presenza della PG, osservando come si trattasse di pura
illazione sfornita di qualsiasi fondamento probatorio, non essendo credibile che
latri soggetti residenti in zona in possesso di stupefacenti, si fossero disfatti della
cocaina, prima ancora di essere certi che l’operazione di PG li riguardasse; quanto,
poi, al Rossi Fabrizio, che si trovava in quel momento agli arresti domiciliari, i
giudici di appello evidenziano che le conversazioni intercettate intercorse tra lui ed
il padre comprovavano come questi fosse dedito al traffico di stupefacenti, non
potendosi dunque dubitare che lo stupefacente rinvenuto nella sua abitazione
fosse anche nella sua disponibilità, oltre che del fratello Emanuele, la cui
condizione di disagio psichico conduceva la Corte territoriale ad escludere che egli
avesse detenuto la droga in proprio ed in via esclusiva, peraltro già suddivisa e
confezionata in 11 dosi pronte per essere spacciate; la Corte d’appello, ancora, si
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le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che

sofferma a evidenziare le ragioni per le quali il padre dei due, Rossi Massimo,
dovesse essere ritenuto responsabile della detenzione del quantitativo più
consistente di stupefacente, gettato dalla finestra dell’abitazione di quest’ultimo,
avendo la PG dato atto di aver esattamente individuato la finestra da cui la busta
contenente lo stupefacente era stata lanciata, atteso, peraltro, che la momento
dell’ingresso in casa della PG, proprio il Rossi Massimo venne visto nell’atto di

confutano, peraltro, la tesi difensiva del padre secondo cui l’imputato si sarebbe
reso responsabile del reato di favoreggiamento personale, per aver detenuto lo
stupefacente per conto del figlio Fabrizio, atteso che la condotta di custodia conto
terzi dello stupefacente integra una modalità della codetenzione.

6. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze di ciascun ricorrente,
in punto di responsabilità individuale, appaiono dunque anche manifestamente
infondate, in quanto si risolvono nel “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla
valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione
vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per
una presunta illogicità manifesta, che, lungi dal potersi qualificare come vizio
motivazionale, in realtà propone una doglianza non suscettibile di sindacato da
parte di questa Corte; deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità
operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito
proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne’ deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione
sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep.
31/01/2000, Moro, Rv. 215745); e, sotto tale profilo, la motivazione non può certo
dirsi manifestamente illogica, nel senso inteso dalla giurisprudenza di questa
Corte, ossia nella frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse nel
caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono (Sez. 1, n. 9539 del
12/05/1999 – dep. 23/07/1999, Commisso ed altri, Rv. 215132).

7. Nè può ravvisarsi alcuna contraddittorietà od illogicità nell’aver la Corte
territoriale valutato l’elemento costituito dalle intercettazioni quale dato rilevante
per ritenere Rossi Fabrizio soggetto dedito allo spaccio di stupefacenti e, nel
contempo, escluso che dette intercettazioni fossero idonee ex se a ritenere i due
fratelli corresponsabili con il padre della detenzione del maggior quantitativo di
stupefacente, non avendo ritenuto che gli ulteriori elementi indiziari, costituiti dalla
parentela e dall’identità di percentuale di principio attivo dei due quantitativi di
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richiudere la finestra da cui era avvenuto il lancio della busta; i giudici di appello,

cocaina sequestrati, fosse sufficienti a pervenire ad una attribuzione completa di
corresponsabilità ai fratelli nella detenzione della cocaina lanciata dal padre; quel
dato, infatti, è stato valorizzato al solo fine di comprovare che il Rossi Fabrizio
fosse dedito al traffico di sostanza stupefacenti, ma tale prova, generica, è stata
ritenuta insufficiente, in quanto non specifica rispetto alla detenzione del
quantitativo più consistente di stupefacente, laddove tale elemento non è stato

detenzione in concorso degli 11 involucri di stupefacente.

8. In definitiva, dunque, i ricorrenti, attraverso le prospettate illogicità della
sentenza, sotto l’apparente censura del vizio motivazionale, in realtà tentano di
chiedere a questa Corte di sostituire la propria valutazione a quella, operata dai
giudici territoriali, non condivisa dagli stessi; ciò che si risolve, dunque, come già
evidenziato, nella manifestazione del loro dissenso, più che nella prospettazione
di un reale vizio motivazionale; deve, quindi, essere ribadito che il controllo di
legittimità sulla correttezza della motivazione non consente alla Corte di
cassazione di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito in
ordine alla ricostruzione storica della vicenda ed all’attendibilità delle fonti di
prova, e tanto meno di accedere agli atti, non specificamente indicati nei motivi di
ricorso secondo quanto previsto dall’art. 606, primo comma, lett. e) cod, proc.
pen. come novellato dalla L. n. 46 del 2006, al fine di verificare la carenza o la
illogicità della motivazione (Sez. 1, n. 20038 del 09/05/2006 – dep. 13/06/2006,
P.M. in proc. Matera, Rv. 233783).

7. Alla dichiarazione di inammissibilità di ciascun ricorso segue la condanna di
ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00
in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro
in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 9 marzo 2018
Il Consigl ére estensore

Il Presidente

valorizzato dai giudici di appello per attribuire la responsabilità ai due fratelli della

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