Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20974 del 22/03/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20974 Anno 2016
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Sanna Michele, nato a Bitti il 23/12/1951

avverso la sentenza del 18/06/2015 della Corte di appello di Cagliari

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Luigi Orsi, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio
perché il fatto non sussiste o non costituisce reato;
udito per la parte civile, avv. Roberto Sorcinelli, che ha concluso chiedendo la
conferma della sentenza impugnata;

udita i

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difensor*, avv. Franco Luigi Satta,V che hantencluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18 giugno 2015, la Corte di appello di Cagliari
confermava la sentenza del Tribunale di Cagliari del 17 luglio 2014, che aveva

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Data Udienza: 22/03/2016

dichiarato Michele Sanna responsabile del delitto di abuso di ufficio e che lo
aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia.
In sede di merito era stato accertato che l’imputato, direttore generale del
Comune di Iglesias, aveva procurato, per ragioni punitive e ritorsive, al
dipendente Roberto Angioni, funzionario dell’Ufficio legale, l’ingiusto danno
consistito nella predisposizione, al fine della progressione economica, di una
negativa valutazione delle sue prestazioni professionali per il periodo 2005-2006
(attribuendogli un punteggio pari a 50,8, non consentendogli così di partecipare

superiore a 70).
In particolare, in ordine alla «valutazione qualitativa», l’imputato aveva
qualificato come «sufficiente» e «senza variazioni di spicco» il livello di
prestazione all’Angioni, ancorché questi avesse in quell’anno conseguito ottimi
risultati, vincendo tutte le cause in carico esclusivo all’avvocatura dell’ente, e
nonostante il conseguimento nella precedente valutazione del massimo
punteggio.
In ordine a tale giudizio, in sede di appello, era stato escluso che lo stesso
fosse limitato ai rapporti interni, in quanto si dava atto della qualità dei ricorsi
elaborati dall’Angioni e quindi delle sue capacità professionali. La Corte
territoriale evidenziava tra l’altro la lampante mala fede dell’imputato che aveva
espressamente fondato il suo giudizio sulla lettura degli atti predisposti dal
predetto, pur non avendo – come dallo stesso ammesso – alcuna competenza in
materia.
In ordine all’indicatore «utilizzo del tempo di lavoro e delle risorse
disponibili», l’imputato aveva definito insufficiente il comportamento dell’Angioni,
in quanto ritroso a qualsiasi regola sull’utilizzo del tempo di lavoro (definendo
«biasimevole» il suo comportamento con consigliabile immediato cambiamento
di rotta) e complicata e difficile la collaborazione dello stesso con i funzionari e
dirigenti dei diversi Uffici dell’ente, a causa di numerosi orpelli frapposti per le
soluzioni di quesiti. Diversamente, era risultato che l’Angioni dal gennaio 2005
era stato autorizzato a fornire le sue prestazioni in orari diversi da quelli ordinari,
venendo pertanto sottratto alle verifiche automatiche alla fase di ingresso e
uscita dagli Uffici comunali, e che aveva adottato dal 17 ottobre 2005 la
decisione, formalizzata in una nota scritta, di fornire pareri solo ai dirigenti o ai
vertici dell’ente dietro motivata istanza scritta (comportamento che, oltre ad
essere già adottato da anni dall’ufficio legale e razionalmente orientato a
perseguire obiettivi di ordine ed efficienza dell’azione amministrativa, era da
ritenersi in totale aderenza con il Piano economico di gestione).

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alla graduatoria, alla quale erano ammessi i dipendenti con punteggio pari o

In sede di appello, la Corte territoriale riteneva che l’attribuzione all’Angioni
di una condotta ostruzionistica era anch’essa pretestuosa, posto che l’imputato
ben era a conoscenza della posizione assunta da questi in ordine alle modalità di
rilascio dei pareri in ordine alla quale non aveva effettuato come Dirigente alcun
rilievo.
Quanto poi alla voce «Rapporti con il Dirigente», l’imputato aveva valutato
pessimi i rapporti dell’Angioni con il dirigente a causa del suo comportamento
irriguardoso e estremamente conflittuale, senza cenni di ravvedimento o

In ordine a tale giudizio, erano state ritenute non verosimili le giustificazioni
dell’imputato in ordine alla condivisone del parere da parte di tutti i dirigenti, in
quanto la scheda era firmata dal solo Sanna e non esisteva alcun verbale della
pretesa valutazione collegiale, né nella scheda si dava atto di tale collegialità
(anzi appariva significativa in senso contrario la modifica effettuata dall’imputato
della denominazione corretta del parametro «Relazione con la dirigenza» in
«Rapporti con il Dirigente»).
In sede di appello, venivano confermate tali valutazioni, ritenendo
compiacenti le deposizioni dei testi della difesa e comunque irrilevanti, posto che
non si era trattato di giudizio adottato collegialmente.
Quanto al parametro «arricchimento professionale», l’imputato, pur
giudicando buono il comportamento dell’Angioni, aveva aggiunto che lo stesso
non aveva dato consequenziali risultati positivi.
Secondo il primo giudice, il cambiamento di valutazione da un anno ad un
altro (l’anno prima l’Angioni aveva conseguito il massimo punteggio), non
trovava giustificazione nelle circostanze addotte dalla difesa (modifica dei
parametri, minori risorse economiche, rivendicazioni dell’Angioni contro il
Comune) e che l’Angioni, nuovamente valutato per l’anno 2006, all’esito di
contenzioso civile, aveva visto significativamente incrementato il suo punteggio,
tanto da ottenere l’accesso alla progressione economica, prima negata.
Inoltre, era evidenziata in primo grado la circostanza che l’imputato,
nonostante avesse riscontrato comportamenti negativi del dipendente, non
avesse assunto alcuna iniziativa disciplinare nei confronti dell’Angioni.
In sede di appello, la Corte territoriale riteneva che l’unico intento
perseguito dall’imputato fosse stato quello di pregiudicare la persona offesa,
bloccando o rallentando la sua progressione economica, come dimostravano i
punteggi ingiustificatamente negativi, la assenza di iniziative disciplinari a fronte
dei giudizi suddetti (il che dimostrava tra l’altro la compiacenza delle deposizioni
degli altri dirigenti, posto che neppure costoro avevano mai assunto iniziative in
tal senso).

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cedimento.

2. Avverso la suddetta sentenza ricorre per cassazione il difensore
dell’imputato, denunciando tre motivi di annullamento e segnatamente:

la violazione dell’art. 323 cod. pen., in relazione all’utilizzazione del

parametro dell’art. 97 della Costituzione, quale unico elemento per ricavare la
sussistenza del reato, senza far ricorso all’ulteriore profilo distintivo della
«doppia ingiustizia», che risulterebbe del tutto dimenticato dalla sentenza
impugnata, essendosi tratto il danno ingiusto esclusivamente dalla violazione di

orizzontale costituisce un mero concorso tra dipendenti (per cui l’ingiustizia del
danno doveva essere accertata attraverso la comparazione fra eventuali
punteggi asseritamente meritati ed analoghe valutazioni adottate in relazione ad
altri concorrenti);
– la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in relazione alla valutazione
della prova dell’ingiustizia del fatto, e vizio della motivazione, in ordine alla
valutazione delle dichiarazioni rese dai dirigenti del Comune e al travisamento
della prova: la sentenza sarebbe incorsa nel vizio di motivazione nella
valutazione delle testimonianze dei dirigenti, partendo dalla premessa travisata
che la scheda di valutazione fosse riferita ai soli rapporti con il dirigente (mentre
al contrario l’indicatore di valutazione riguardava i rapporti con la dirigenza); non
avrebbe valutato che la parte offesa non era un libero professionista, ma un
dipendente soggetto al rapporto gerarchico di subordinazione con il dirigente;
avrebbe illogicamente tratto la prova del dolo persecutorio dall’aver omesso di
promuovere azioni disciplinari nei confronti dell’Angioni;

la violazione di legge e il vizio di motivazione sulla prova del dolo

intenzionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso può essere accolto nei limiti di seguito indicati.

2. Il primo motivo è palesemente infondato.
In sede di appello, l’imputato aveva soltanto contestato la sussistenza della
condotta lesiva del principio di imparzialità della P.A., sostenendo che il suo
comportamento era stato ispirato alla finalità di «premiare i dipendenti produttivi
e spronare quelli improduttivi a fare meglio per poter ottenere dei riconoscimenti
di natura economica al contempo evitando di incorrere in eventuali danni erariali
ove non rispettasse la ratto della PEO».

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legge, trascurando la deduzione della difesa che la progressione economica

Pertanto, oltre a non aver sollevato la questione, è lo stesso imputato a
riconoscere alla valutazione PEO un diretto impatto economico sui dipendenti.
In ogni caso, la sentenza impugnata dimostra per tabulas l’ingiustizia del
danno patito dall’Angioni, richiamando le iniziative legali vittoriose da questo
intraprese in sede civile per ristabilire i propri diritti.
Invero, il sistema di progressione economica orizzontale prevede la
selezione – sulla base della valutazione del personale che ne abbia fatto
domanda e quindi una graduatoria di merito – di dipendenti meritevoli ad

Il vulnus arrecato all’Angioni con l’attribuzione di un punteggio insufficiente
per il passaggio alla categoria D4 realizzava quindi l’evento del danno ingiusto
richiesto dall’art. 323 cod. pen., che – come più volte chiarito dalla Suprema
Corte – non deve intendersi limitato solo a situazioni soggettive di carattere
patrimoniale e nemmeno a diritti soggettivi perfetti, riguardando l’aggressione
ingiusta alla sfera della personalità per come tutelata dai principi costituzionali
(tra le tante, Sez. 5, n. 32023 del 19/02/2014, Omodeo Zorini, Rv. 261899).
Nel caso in esame, oltre all’impossibilità di accedere alla selezione per
l’incremento economico (come tale tutelabile davanti al giudice ordinario, cfr.
Sez. U civ., n. 26295 del 31/10/2008, Rv. 605275), il danno subito dall’Angioni
era da rinvenirsi anche alla perdita di prestigio e di decoro nei confronti dei
propri colleghi di lavoro, strettamente connesso alla valutazione decisamente
negativa e pregiudizievole emessa a suo carico dall’imputato.

3. Il secondo motivo è privo di fondamento.
La sentenza impugnata risulta immune dalle censure mosse dal ricorrente in
ordine alla valutazione delle emergenze processuali.
Come esposto in narrativa, la Corte territoriale ha, con motivazione
adeguata e priva di manifeste illogicità, spiegato perché la valutazione espressa
dall’imputato in ordine al parametro «Rapporti con il dirigente» non poteva
essere espressione di una valutazione collegiale e perché le deposizioni degli altri
dirigenti dovevano ritenersi irrilevanti o comunque non dirimenti.
Significativa è la osservazione effettuata dai giudici di merito, in ordine alla
deliberata modificazione da parte dell’imputato dell’indicatore previsto dal
contratto integrativo (che si riferiva alla «Relazione con la dirigenza») in quello di
«Rapporti con il dirigente», in ordine al quale la valutazione espressa all’evidenza
si riferisce ai rapporti con il singolo dirigente.
Né la produzione della scheda di valutazione consente di ravvisare nel
ragionamento probatorio dei giudici di merito l’invocato vizio del travisamento.

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accedere a diverse posizioni economiche all’interno di una stessa categoria.

Tale vizio presuppone infatti l’esistenza di una palese difformità tra i risultati
obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di
merito ne abbia tratto (tra le tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia,
Rv. 244623).
Piuttosto, il ricorrente mira a confutare in questa sede il «significato della
prova», che, come è noto, è attività estranea al controllo affidato al giudice di
legittimità (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540).
Quanto al rapporto di subordinazione gerarchica, la sentenza impugnata ha

qualitativa delle prestazioni al solo profilo interno e non all’azione professionale
esterna), con argomentazioni immuni da illogicità manifeste.
Come in narrativa già evidenziato, la valutazione effettuata dall’imputato
aveva avuto ad oggetto la qualità degli atti predisposti dall’Angioni ed in
particolare i ricorsi presentati, così dimostrando in maniera incontrovertibile che
l’imputato volontariamente intese far riferimento alle capacità professionali di
costui come legale dell’ente.
Non appare censurabile la motivazione della sentenza impugnata neppure
con riferimento alla notazione della assenza di iniziative disciplinari mosse nei
confronti dell’Angioni. Invero, proprio il rapporto di subordinazione gerarchica e i
principi di buona amministrazione, più volte evocati dalla difesa, avrebbero
dovuto giustificare – a fronte dei consistenti rilievi mossi all’operato del
dipendente – l’attivazione da parte dell’imputato dei meccanismi finalizzati alla
contestazione delle infrazioni disciplinari; diversamente l’imputato si era limitato
a far emergere i suddetti rilievi in una procedura di mera incentivazione
economica, rendendo così plausibile la conclusione tratta dai giudici di merito,
secondo cui l’imputato intese deliberatamente danneggiare la persona offesa
utilizzando in modo strumentale la prima occasione utile di sua competenza.

4. Non può essere accolto neppure l’ultimo motivo.
Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata non abbia motivato sul
perché l’agire dell’imputato non fosse stato sorretto dalla finalità di perseguire il
buon andamento dell’ente.
Va ribadito al riguardo che la prova del dolo intenzionale del delitto di abuso
d’ufficio deve essere ricavata da elementi ulteriori rispetto al comportamento non

íure osservato dall’agente, che evidenzino la effettiva

ratio ispiratrice del

comportamento dell’agente, senza che al riguardo possa rilevare la compresenza
di una finalità pubblicistica, salvo che il perseguimento del pubblico interesse
costituisca l’obiettivo principale dell’agente (Sez. 2, n. 23019 del 05/05/2015 -,
Adamo, Rv. 264280).

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affrontato la questione devolutale dall’appello (riferibilità della valutazione

Si è anche condivisibilmente affermato che il dolo intenzionale non è escluso
per il solo fatto del perseguimento da parte del pubblico agente di una finalità
pubblica, laddove la stessa rappresenti una mera occasione della condotta
illecita, posta in essere invece al preciso scopo di perseguire, in via immediata,
un danno ingiusto ad altri o un vantaggio patrimoniale ingiusto per sé o per altri
(Sez. 3, n. 10810 del 17/01/2014, Altieri, Rv. 258893).
Fatte queste premesse, appaiono quindi non dirimenti le osservazioni
difensive.
Per il resto, le critiche sulle carenze motivazionali in ordine all’elemento

soggettivo si rivelano parimenti infondate.
La sentenza impugnata ha sufficientemente dimostrato come l’imputato
avesse perseguito come obiettivo primario del suo operato (evento tipico) quello
di danneggiare la persona offesa per ritorsione e vendetta personale, traendo
elementi dimostrativi dalla modalità della condotta, che si era estrinsecata in
punteggi così ingiustificatamente negativi (come il punteggio per i rapporti con il
dirigente pari a uno) da rivelare le reali intenzioni dell’imputato.
A tal riguardo va richiamato l’insegnamento, secondo cui la prova del dolo
intenzionale, che qualifica la fattispecie criminosa dell’abuso di ufficio, può essere
desunta anche da elementi sintomatici come la macroscopica illegittimità
dell’atto compiuto (Sez. 6, n. 36179 del 15/04/2014, Dragotta, Rv. 260233; Sez.
3, n. 48475 del 07/11/2013, Scaramazza, Rv. 258290; Sez. 6, n. 49554 del
22/10/2003, Cianflone, Rv. 227205).

5. La sentenza impugnata deve essere peraltro annullata senza rinvio
risultando il reato ascritto all’imputato estinto per intervenuta prescrizione e non
manifestamente infondati i motivi di ricorso.
Trattasi invero di reato di commesso in data 18 maggio 2007, per il quale il
termine massimo di prescrizione del reato è da individuarsi in sette anni e
mezzo. Il suddetto termine è decorso successivamente alla sentenza impugnata,
in presenza di periodi sospensione del processo.
Pacificamente non possono ritenersi sussistenti i presupposti per una
declaratoria di non punibilità nel merito, a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.,
alla luce dei motivati rilievi posti a base dell’accertamento di responsabilità
effettuato in sede di merito.
Va infatti qui ribadito che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il
giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione, a norma dell’art.
129, comma 2, cod. proc. pen., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad
escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte
dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo

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Vi

a

assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve
compiere al riguardo appartenga più al concetto di «constatazione», ossia di
percezione ictu ocu/i, che a quello di «apprezzamento» e sia quindi incompatibile
con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490
del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).

4. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per
essere il reato in parola estinto per prescrizione, mantenute ferme (ex art. 578

Il ricorrente deve essere condannato a rifondere alla parte civile Roberto
Angioni le spese sostenute nella presente fase di giudizio, che si liquidano come
da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per
prescrizione, ferme restando le statuizioni civili, e condanna il ricorrente a
rifondere alla parte civile Roberto Angioni le spese sostenute nel presente grado,
che liquida in euro 3.500,00, oltre spese generali nella misura del 15 per cento,
IVA e CPA.
Così deciso il 22/03/2016

cod. proc. pen.) le statuizioni di carattere civilistico della stessa decisione.

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