Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20931 del 09/03/2018
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20931 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
EL ACHHAB MOHAMED LARBI nato il 01/01/1978
avverso la sentenza del 21/05/2014 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA;
Data Udienza: 09/03/2018
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Firenze con sentenza 21.05.2014, in parziale riforma della
sentenza del GIP/Tribunale di Firenze del 28.06.2012, appellata dall’EL ACHHAB,
rideterminava la pena nella misura di 2 anni ed 8 mesi di reclusione ed C 14000,00
di multa, confermando nel resto l’appellata sentenza che lo aveva riconosciuto
non ricorrente, di sostanza stupefacente del tipo Hashish per un quantitativo di
kg. 30, in relazione a fatti del 30.10.2011 (art. 73, co. 4, TU Stup.).
2.
Con il ricorso per cassazione, articolato sue due motivi, il ricorrente
personalmente deduce: 1) la violazione della legge processuale in relazione all’art.
143 c.p.p., per non essere stati tradotti in lingua araba, l’unica comprensibile
all’imputato, tutti gli atti processuali e la sentenza impugnata; 2) la violazione
della legge processuale in relazione all’art. 129 c.p.p. (si duole il ricorrente per
non averlo i giudici di merito prosciolto dal reato contestato, nonostante non
fossero emersi elementi certi ed univoci; la motivazione, sul punto, sarebbe quindi
apparente).
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
4. Ed invero, quanto al primo motivo afferente alla mancata traduzione degli atti
e della sentenza in lingua araba, si rileva, da un lato, che l’imputato ha proposto
personalmente impugnazione in lingua italiana né risulta dagli atti che questi
avesse mai proposto nei gradi del giudizio di merito l’eccezione; dall’altro, si rileva
che lo stesso aveva dichiarato (rectius, eletto), il proprio domicilio presso il
difensore, Avv. S. Gambini del foro di Lucca, legale che era stato delegato anche
al deposito del ricorso per cassazione personalmente proposto dall’imputato;
ritiene pertanto il Collegio di dover dare continuità alla giurisprudenza
maggioritaria, ritenuta condivisibile perché maggiormente aderente alla ratio legis
sottesa alla previsione dell’art. 143 c.p.p., secondo cui l’obbligo di traduzione degli
atti in favore dell’imputato alloglotta è escluso ove lo stesso abbia eletto domicilio
presso il difensore di fiducia, non verificandosi in tale ipotesi alcuna lesione
concreta dei suoi diritti (v., in senso conforme, da ultimo: Sez. 2, n. 31643 del
16/03/2017 – dep. 28/06/2017, Afadama. Rv. 270605).
colpevole del reato di acquisto e detenzione, in concorso con altro soggetto qui
5. Quanto al secondo motivo, lo stesso è manifestamente infondato e generico;
generico perché articolato in forma puramente contestativa, limitandosi ad
affermare assertivamente il ricorrente che la sua colpevolezza non sarebbe emersa
in maniera univoca e certa, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza
impugnata; manifestamente infondato, in quanto articolato ai sensi dell’art. 606,
lett. c), c.p.p. in relazione all’art. 129 c.p.p. per presunta violazione dell’obbligo di
predibattimentale di proscioglimento non può essere pronunciata dal giudice di
appello, atteso che l’art. 601 cod. proc. pen. disciplina autonomamente la fase
degli atti preliminari a tale giudizio rispetto a quella del giudizio di primo grado e
non richiama la facoltà prevista dall’art. 469 cod. proc. pen. secondo cui il giudice,
in camera di consiglio e su accordo delle parti, può pronunciare sentenza di
proscioglimento prima del dibattimento di primo grado (v., tra le tante: Sez. 1, n.
26815 del 19/06/2008 – dep. 03/07/2008, P.G. in proc. Karwowski, Rv. 2408769;
la Corte territoriale, pertanto, non avrebbe potuto prosciogliere l’imputato ex art.
129 c.p.p. essendo preclusa tale possibilità dalla legge processuale.
6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al
versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 9 marzo 2018
proscioglimento; è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la sentenza