Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20916 del 05/05/2017
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20916 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: MAGI RAFFAELLO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
LUCIANI LILLO N. IL 10/10/1980
avverso la sentenza n. 2095/2015 TRIBUNALE di TERAMO, del
09/09/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
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12-r-f Data Udienza: 05/05/2017 IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con sentenza emessa in data 9 settembre 2015 il Tribunale di Teramo - su concorde
richiesta delle parti - ha applicato a Luciani Lillo la pena di mesi otto di reclusione in
relazione alla contestazione di violazione delle prescrizioni correlate alla sorveglianza
speciale con obbligo di soggiorno (fatto del 8.9.2015).
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, della generale previsione di legge di cui all'art. 129 cod.proc.pen. .
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il Collegio premette che l'applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo
processuale in virtù del quale l'imputato ed il pubblico ministero si accordano sulla
qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla
comparazione fra le stesse e sull'entità della pena. Da parte sua il giudice ha il poteredovere di controllare l'esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena
richiesta e di applicarla, dopo aver accertato che non emerga in modo immediatamente
percepibile (e diversamente da quanto prospettato dalle parti) una delle cause di non
punibilità previste dall'art. 129 c.p.p.
Ne consegue che - una volta ottenuta l'applicazione di una determinata pena ex art. 444
c.p.p. - l'imputato non può rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della
fattispecie, perché essi sono coperti dal patteggiamento, non essendo stato manifestato in sede di merito- dubbio alcuno sulla valenza degli elementi ricostruttivi, nè essendo
stata proposta una lettura alternativa delle risultanze di fatto .
Tanto premesso, il Collegio osserva che i motivi di ricorso appaiono privi di specificità e,
comunque manifestamente infondati, atteso che il giudice, nell'applicare la pena
concordata, si è, da un lato, adeguato a quanto contenuto nell' accordo intervenuto fra le
parti e, dall'altro, ha escluso la sussistenza dei presupposti di cui all'art.129 c.p.p., con
motivazione sintetica ma aderente alla natura dell'istituto .
La motivazione, nel far riferimento all'intervenuto accordo e alla valenza dimostrativa
degli atti acquisiti ha espresso, in modo sintetico ma conforme alla legge, il risultato della
valutazione operata.
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell'accertamento in sede di
applicazione della pena su richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri
richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (si
vedano tra le altre, Cass. SS.UU. 27 marzo 1992, Di Benedetto; SS.UU. 27 settembre
1995, Serafino; SS.UU. 25 novembre 1998, Messina).
Anche la Corte Costituzionale nella decisione num. 336 del 2009 (intervenuta sul profilo
della efficacia della decisione emessa ex art. 444 nel giudizio disciplinare) ha ben
2 Luciani Lillo, deducendo vizio di motivazione in riferimento alla mancata applicazione evidenziato come la «contrazione» del momento di verifica giurisdizionale nel
patteggiamento sia, infatti, del tutto ragionevole in quanto posta in stretta correlazione
all'atteggiamento di «non contestazione» del fatto assunto dall'imputato patteggiante : ..
la scelta del patteggiamento, infatti, rappresenta un diritto per l'imputato - espressivo,
esso stesso del più generale diritto di difesa -, al quale si accompagna la naturale
accettazione di tutti gli effetti sia favorevoli che sfavorevoli che il legislatore ha
tassativamente tracciato come elementi coessenziali all'accordo intervenuto tra
l'imputato ed il pubblico ministero ed assentito dalla positiva valutazione del giudice. fatto, sulla relativa illiceità e sulla responsabilità, ai fini del giudizio disciplinare davanti
alle pubbliche autorità. La circostanza, invero, che l'imputato, nello stipulare l'accordo sul ríto e sul merito della regiudicanda, "accetti" una determinata condanna penale,
chiedendone o consentendone l'applicazione, sta infatti univocamente a significare che
l'imputato medesimo ha ritenuto, a quei fini, di non contestare "il fatto" e la propria
"responsabilità", con l'ovvia conseguenza di rendere per ciò stesso coerente, rispetto ai
parametri di cui si assume la violazione, la possibilità che, intervenuto il giudicato su quel
fatto e sulla relativa attribuibilità allo stesso imputato, simili componenti del giudizio si
cristallizzino anche agli effetti del giudizio disciplinare.. .
Dunque è evidente che la ricostruzione del fatto nel patteggiamento è - in larga misura non realizzata in senso proprio dal giudice ma affidata alla «non contestazione» delle
risultanze delle indagini da parte del soggetto imputato, che si accorda con la parte
pubblica sull'esito del processo.
Ciò determina la piena ragionevolezza di una motivazione che - nella sentenza di
patteggiamento - resta una motivazione «in negativo» (insussistenza delle condizioni
applicative dell'art. 129 per ciò che risulta dagli atti) e non si pone l'obiettivo di
rappresentare expressis verbis la sussistenza dei presupposti fattuali della penale
responsabilità, al di là di ogni ragionevole dubbio.
Ciò posto, i profili di critica non tengono conto di tale assetto giuridico dell'istituto, che da
un lato esclude la necessità di una motivazione estesa sul fatto e dall'altro non richiede
che il giudice debba ripercorrere in modo analitico, ove ritenga di omologare l'accordo,
tutti i passaggi determinativi del trattamento sanzionatorio, potendo rinviare al contenuto
del medesimo, ove condiviso.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a
favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo
determinare in euro duemila, ai sensi dell' art. 616 cod. proc. pen.. 3 Effetti tra i quali il legislatore ha ritenuto di annoverare anche il valore di giudicato sul P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento di euro 2.000,00 a favore della cassa delle ammende. Il Consigliere estensore Il Presidente Raffaello Magi Francesco Maria Silvio Bonito (-" Così deciso in data 5 maggio 2017