Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20899 del 28/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20899 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Mesiti Armando, nato il 18/10/1956;

Avverso l’ordinanza n. 768/2013 emessa il 12/06/2014 dal Tribunale di
Torino;

Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Oscar
Cedrangolo, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 28/04/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 12/06/2014 il Tribunale di Torino, quale giudice
dell’esecuzione, rigettava l’opposizione avverso il diniego della richiesta di
declaratoria di estinzione della pena pecuniaria irrogata con sentenza emessa il
15/01/1997 dalla Corte di appello di Torino nei confronti di Armando Mesiti.
Tale rigetto veniva motivato in considerazione del fatto che al Mesiti nella
sentenza presupposta risultava contestato un reato della medesima indole di un

1’08/04/2002, che non consentiva l’accoglimento dell’istanza proposta nel suo
interesse.

2. Avverso tale ordinanza Armando Mesiti, a mezzo dell’avv. Rocco Femia,
ricorreva per cassazione, deducendo la violazione dell’art. 606, comma 1, lett.
b), c), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 101 e 172 cod. pen., cui si collegava
il vizio di motivazione del provvedimento impugnato.
Si deduceva, in particolare, che la medesima indole dei reati giudicati nelle
due sentenze presupposte era stata desunta, come riferito a pagina 2
dell’ordinanza, dall’attitudine a rendere difficoltosa l’identificazione del Mesiti,
senza fornire ulteriori indicazioni su come una condotta di partecipazione a
un’associazione a delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti potesse
essere concretamente esplicativa di tale attitudine, che veniva affermata in
modo apodittico. Si era violato, in tal modo, il principio affermato dall’art. 101
cod. pen., che consente di ritenere connotati dalla stessa indole solo quei reati
che, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei moventi che vi sono sottesi,
presentano caratteristiche di omogeneità.
Tali

ragioni

imponevano

l’annullamento dell’ordinanza

impugnata

nell’interesse del Mesiti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.
Deve, innanzitutto, rilevarsi che è pacifico che durante il periodo necessario
per l’estinzione della pena irrogata dalla Corte di appello di Torino, con sentenza
del 15/01/1997, interveniva la sentenza emessa dal Tribunale di Torino
1’08/04/2002. Tale circostanza integra una causa ostativa alla dichiarazione di
estinzione della pena per decorso del tempo prevista dall’art. 172, comma 6,
cod. pen. (cfr. Sez. 1, n. 46691 del 24/10/2012, dep. 03/12/2012, Jacovitti, Rv.
253975).
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reato giudicato con una successiva sentenza, emessa dal Tribunale di Torino

Tuttavia, questa condizione processuale non è, di per sé sola, sufficiente,
occorrendo che i reati sottesi alle sentenze presupposte siano della medesima
indole, nel valutare la quale occorre tenere presente che tale identità sussiste sia
nell’ipotesi di reati che violano la stessa disposizione di legge, sia nell’ipotesi in
cui le diverse fattispecie presentano profili di omogeneità sul piano oggettivo
ovvero sul piano soggettivo. Sotto il primo profilo, in particolare, occorre fare
riferimento al bene giuridico tutelato e alle modalità esecutive dell’azione
criminosa; sotto il secondo profilo, occorre fare riferimento ai motivi a delinquere

17/09/2014, dep. 23/10/2014, Durdev, Rv. 260800).
A tale principio di diritto il giudice dell’esecuzione non sembra essersi
attenuto, limitandosi a osservare, nel caso in esame, che il reato di associazione
a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, per il quale il Mesiti
riportava condanna con sentenza emessa dalla Corte di appello di Torino il
15/01/1997, nonché il reato di falsificazione del contrassegno assicurativo
dell’autovettura a bordo della quale viaggiava, per il quale riportava condanna
con sentenza emessa dal Tribunale di Torino 1’08/04/2002, fossero connotati da
omogeneità tale da essere ritenuti della stessa indole, conformemente alla
previsione dell’art. 172, comma 6, cod. pen.
Invero, l’esistenza di tale omogeneità veniva affermata in modo assertivo,
senza alcuna ricognizione del contesto soggettivo e oggettivo nel quale
maturavano le due condotte delittuose, in assenza della quale i due reati
appaiono difficilmente riconducibili a un medesimo ambito criminoso. Né è
possibile desumere tale omogeneità dal passaggio del provvedimento
impugnato, contenuto a pagina 2, nel quale il giudice dell’esecuzione si limitava
ad affermare – genericamente e senza alcun riferimento alle concrete emergenze
processuali – che, rispetto al reato giudicato con la sentenza del 15/01/1997, i
fatti delittuosi oggetto delle successive condanne dovevano ritenersi della stessa
indole, in quanto «per le modalità della condotta ed il contesto in cui sono stati
commessi, sono esplicativi dell’attitudine a rendere difficile la propria
identificazione».
Da questo punto di vista, non può non rilevarsi che, nelle due ipotesi,
differenti sono i beni giuridici tutelati dalle fattispecie in esame, in relazione alle
quali non può esprimersi alcun giudizio di omogeneità sulla base della sola
natura pubblica di tali beni, tenuto conto della previsione dell’art. 101 cod. pen.,
così come interpretata dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo
cui: «Per reati della stessa indole, a norma dell’art. 101 cod. pen., devono
intendersi non soltanto quelli che violano una medesima disposizione di legge,
ma anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, per la natura
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che influiscono sulla determinazione volitiva (cfr. Sez. 1, n. 44255 del

dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati, presentano,
nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni, desunti – anche a prescindere
dall’identità del bene protetto – dalle modalità di esecuzione o dai moventi
economici del reo» (cfr. Sez. 2, n. 40105 del 21/10/2010, dep. 12/11/2010,
Apostolico, Rv. 248774).

2. Le ragioni giuridiche che si sono esposte impongono l’annullamento
dell’ordinanza impugnata, con il conseguente rinvio al Tribunale di Torino,

richiamati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Torino.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 aprile 2015.

affinché proceda a un nuovo esame che tenga conto dei principi che si sono

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