Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20896 del 28/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20896 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

1) Ardolino Emilio Angelo Raffaele, nato il 04/06/1965;
2) Ardolino Giuseppe, nato il 10/06/1968;

Avverso la sentenza n. 2419/2011 emessa il 23/04/2014 dalla Corte di
appello di Napoli;

Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal Consigliere dott. Alessandro
Centonze;

Udito il Procuratore generale, in persona del dott. Paolo Canevelli, che ha
concluso per il rigetto dei ricorsi;

Udita per i ricorrenti l’avv. Silva Rivabella;

Data Udienza: 28/04/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 19/04/2010 il Tribunale di Avellino condannava
Emilio Angelo Raffaele Ardolino e Giuseppe Ardolino, in concorso tra loro, per il
reato di cui agli artt. 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, che si assumeva
commesso a Prata di Principato Ultra il 17/03/2007.
I fatti in contestazione traevano origine dall’accertamento eseguito presso
l’abitazione degli imputati, nel cui salotto, all’interno di una rastrelliera, veniva

nome di Ottavio Petrillo.
Nel processo che ne scaturiva gli imputati, riconosciute loro le circostanze
attenuanti generiche, venivano condannati alla pena di mesi cinque e giorni dieci
di reclusione e 200,00 euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

2. Avverso tale sentenza gli imputati proponevano appello davanti alla Corte
di appello di Napoli, censurando il provvedimento impugnato sotto i seguenti
profili processuali: carenza dell’elemento psicologico del reato, conseguente al
fatto che gli appellanti avevano ereditato l’immobile dal genitore e non avevano
consapevolezza della detenzione illecita del fucile; incongruità dosimetrica del
trattamento sanzionatorio, che non teneva conto del modesto disvalore delle
condotte contestate.
Queste ragioni imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.

3.

Con sentenza emessa il 23/04/2014 la Corte di appello di Napoli

confermava la sentenza impugnata, ritenendo congrua la qualificazione giuridica
dei fatti delittuosi contestati agli imputati sotto il duplice profilo oggettivo e
soggettivo; si riteneva, inoltre, la pena inflitta adeguata al disvalore del fatto,
tenuto anche conto della concessione delle generiche e del beneficio della
sospensione condizionale della pena, che conseguivano a un giudizio prognostico
favorevole agli imputati.

4.

Avverso tale sentenza Emilio Angelo Raffaele Ardolino e Giuseppe

Ardolino ricorrevano per cassazione, a mezzo dell’avv. Luigi Petrillo, deducendo
l’omessa motivazione in ordine alla doglianza relativa all’insussistenza di un
obbligo di denuncia dell’arma, esplicitata al punto I dell’atto di appello.
Si deduceva, in particolare, che la corte territoriale non aveva fornito alcuna
risposta in ordine all’assenza in capo agli imputati dell’obbligo di rinnovare la
denuncia del fucile in contestazione già presentata da Orazio Petrillo, congiunto
degli imputati e ancora vivente all’epoca dei fatti. Ne conseguiva che i ricorrenti
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rinvenuto un fucile Remington calibro 12, recante matricola 336105, registrato a

non erano incorsi in alcuna violazione del precetto penale, al contrario di quanto
ritenuto nel provvedimento impugnato, risultando esentati da ogni obbligo di
denuncia, già adempiuto dal loro congiunto.
Tali ragioni imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
Deve, innanzitutto, rilevarsi che l’assunto difensivo secondo cui la corte

dell’atto di appello depositato dall’avv. Luigi Petrillo risulta smentito dalle
emergenze processuali.
Si esaminava, in particolare, la doglianza difensiva di cui al punto I dei
motivi di appello, a pagina 3 della sentenza impugnata, laddove, in ordine alla
sussistenza in capo ai ricorrenti dell’obbligo di denuncia del fucile Remington in
contestazione, si rilevava, con argomenti processuali ineccepibili, che non si
poteva «nutrire alcun dubbio sul fatto che i due fratelli, eredi del comune
genitore avessero la disponibilità del fucile posto che gli stessi avevano anche la
disponibilità dell’immobile, la cui perquisizione il giorno 17/3/07 portò agli esiti
per i quali è processo […]».
Peraltro, su tale profilo processuale, al contrario di quanto dedotto dalla
difesa dei ricorrenti, si era soffermato congruamente anche il giudice di primo
grado a pagina 4 della sua sentenza, rilevando che l’obbligo di denuncia dei
fratelli Ardolino, non soltanto conseguiva al fatto di avere ereditato il fucile dal
genitore deceduto, ma discendeva ulteriormente dalla circostanza, parimenti
incontroversa, che entrambi i ricorrenti risiedevano presso l’abitazione dove
l’arma veniva rinvenuta.
In questi termini processuali, non possiamo non rilevare che la decisione
impugnata, risultando pienamente confermativa del provvedimento di primo
grado, è certamente legittima alla luce della giurisprudenza di questa Corte,
secondo cui: «È legittima la motivazione della sentenza di secondo grado che,
disattendendo le censure dell’appellante, si uniformi, sia per la “ratio decidendi”,
sia per gli elementi di prova, ai medesimi argomenti valorizzati dal primo
giudice, soprattutto se la consistenza probatoria di essi è così prevalente e
assorbente da rendere superflua ogni ulteriore considerazione. Nell’ipotesi in cui
siano dedotte questioni già esaminate e risolte, oppure questioni generiche,
superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’inipugnazione può motivare
“per relationem” e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti,

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territoriale aveva omesso di rendere motivazione sul motivo di cui al punto I

generici o manifestamente infondati» (cfr. Sez. 5, n. 3751 del 15/02/2000, dep.
23/03/2000, Re Carlo, Rv. 215722).

2. Preso atto dell’inesistenza della carenza motivazionale dedotta dalla
difesa dei ricorrenti, occorre passare a considerare l’ulteriore doglianza difensiva,
riguardante l’assenza di obblighi di denuncia in capo ai ricorrenti, conseguente al
fatto che la detenzione del fucile era stata originariamente denunciata da un loro
congiunto, Orazio Petrillo, che era il titolare dell’arma e che, al momento del

Deve, in proposito, rilevarsi l’incongruità del riferimento all’art. 38 del R.D.
18 giugno 1931, n. 773, così come modificato dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. 26
ottobre 2010, n. 204, nei termini prospettati in sede di ricorso dalla difesa degli
imputati, atteso che, nel caso di specie, non si verificava un trasferimento del
fucile Rennington da Orazio Petrillo ai ricorrenti, ma l’acquisizione della sua
disponibilità da parte dei fratelli Ardolino in conseguenza del decesso del loro
genitore, Carmine Ardolino, avvenuto nel 2004, al quale, a sua volta, il Petrillo
aveva consegnato l’arma.
Se così è, nel caso in esame, Emilio Angelo Raffaele Ardolino e Giuseppe
Ardolino risultavano investiti dell’obbligo di denunciare la detenzione dell’arma
per averla detenuta all’interno della loro abitazione, a prescindere dalle modalità
con cui jure successionis ne avevano acquisito la disponibilità materiale, essendo
tale obbligo giuridico connesso al possesso dell’arma e non già alla sua titolarità
formale (Sez. 1, n. 7906 del 12/06/2012, dep. 18/02/2013, Omacini, Rv.
255193).
Invero, la norma di cui all’art. 38 del R.D. n. 773 del 1931 mira ad
assicurare la possibilità di controllare tutte le armi esistenti nel territorio italiano
da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, attraverso la conoscenza di coloro
che le posseggono, anche a prescindere dei luoghi dove le stesse sono detenute.
Ne consegue che, ai fini dell’integrazione del reato di detenzione illegale dì armi,
non hanno rilievo né il titolo, né le modalità attraverso cui si perviene al
possesso di un’arma, essendo necessario che il detentore ne faccia comunque
denuncia alla competente autorità (cfr. Sez. 1, n. 680 del 30/11/1995, dep.
22/01/1996, Colocucci, Rv. 162575).
Ne discende che, ai presenti fini, non ha alcuna rilevanza la questione delle
modalità con cui i ricorrenti avevano acquisito il possesso del fucile, rilevando
esclusivamente il fatto che l’arma era detenuta nell’immobile che i fratelli
Ardolino avevano ereditato dal padre – all’interno di una rastrelliera collocata nel
salotto della stessa abitazione – presso cui entrambi risultavano residenti al

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controllo, era ancora in vita.


momento del fatto; circostanza, quest’ultima, non controversa, così come riferito
a pagina 4 della sentenza di primo grado.
Infine, nessuna rilevanza scriminante della condotta delittuosa contestata ai
ricorrenti può essere attribuita al fatto che anche sul padre, Carmine Ardolino,
quale originario detentore del fucile, gravasse lo stesso obbligo di denuncia,
atteso che, come si è detto, tale obbligo consegue alla condizione di attualità
della detenzione, rispetto alla quale nessun rilievo può attribuirsi a tale profilo

3. Per queste ragioni, il ricorso proposto da Emilio Angelo Raffaele Ardolino
e Giuseppe Ardolino deve essere rigettato, con la conseguente condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 aprile 2015.

soggettivo.

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