Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20887 del 05/05/2017


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 20887 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ROMA GIOVANNI N. IL 02/08/1960
avverso l’ordinanza n. 294/2016 TRIBUNALE di BRINDISI, del
25/07/2016
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;

1r5

Data Udienza: 05/05/2017

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con ordinanza emessa in data 29 luglio 2016 il Tribunale di Brindisi – quale giudice
della esecuzione – ha respinto l’istanza proposta da Roma Giovanni.
La decisione vede sul tema della recidiva che era stata ritenuta sussistente in cognizione,
in quanto obbligatoria (art. 99 co.5 cod.pen.).
Posto di fronte alla modifica di tale natura, derivante dai contenuti della decisione

fondamento di tale aggravante (in rapporto alla consistenza e gravità dei precedenti e
della nuova condotta giudicata) e lo ritiene sussistente.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Roma Giovanni, a mezzo
del difensore, deducendo inosservanza della disciplina regolatrice (art. 30 co.4 1.n.87 del
1953) e vizio di motivazione.
Secondo il ricorrente non rientra tra le facoltà spettanti al giudice dell’esecuzione la
valutazione in concreto della sussistenza dei presupposti – ora per allora – dell’incremento
sanzionatorio, dovendosi solo prendere atto dell’avvenuta espunzione dall’ordinamento
dell’ipotesi di recidiva obbligatoria.
Si tratterebbe di intervento in malam partem, non consentito in fase esecutiva.

3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi addotti.
Questa Corte di legittimità, in diritto, ha di recente affermato, esaminando il tema e
riprendendo gli arresti delle Sezioni Unite successivi alle decisioni dichiarative di
illegittimità costituzionale di norme incidenti sul trattamento sanzionatorio, che l’aumento
di pena disposto in data anteriore alla sentenza della Corte costituzionale n. 185 del
2015, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del carattere obbligatorio
dell’aumento di pena per recidiva reiterata, può essere

rivalutato

dal giudice

dell’esecuzione, che ha il compito di verificare se l’applicazione della recidiva fu sorretta,
indipendentemente dalla previgente obbligatorietà, dal concorrente apprezzamento di
merito della valenza dei precedenti penali (Sez. I n. 18546 del 13.7.2016, rv 269817).
Con ciò si è inteso dire che, essendo la declaratoria di illegittimità costituzionale
intervenuta esclusivamente sul meccanismo presuntivo della obbligatorietà
(oroginariamente contenuto nell’art. 99 co.5 cod.pen.), il giudice della esecuzione risulta
essere titolare di due poteri concorrenti : a) quello di verificare se, nonostante la – allora
vigente – obbligatorietà dell’aumento di pena il giudice della cognizione aveva, in ogni
caso, reso motivazione espressa circa la ‘meritevolezza’ dell’incremento sanzionatorio nel
caso concreto (in tal caso la domanda di rivalutazione sarebbe da dichiararsi

numero 185 del 2015 Corte Cost., il giudice dell’esecuzione valuta in concreto il

manifestamente infondata) ; b) quello di apprezzare in concreto, aprendosi una
incidentale ‘parentesi cognitiva’ (con riferimento a ciò che emerge dalla decisione
irrevocabile) – nel caso di avvenuta applicazione della recidiva reiterata ‘in quanto
obbligatoria’-, se il nuovo reato era da ritenersi indicativo di un particolare incremento di
pericolosità, in tal caso esprimendo una ‘propria’ motivazione, se del caso idonea a
mantenere inalterata la entità della pena inflitta con la decisione irrevocabile (qui la
decisione del giudice dell’esecuzione ‘tiene luogo’, su tale punto della decisione, di quella
emessa in cognizione).

condizioni di legge per l’incremento della pena – una volta mutata la natura della recidiva
– sia precluso in sede esecutiva.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a
favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo
determinare in euro duemila, ai sensi dell’ art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento di euro 2.000,00 a favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 5 maggio 2017

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Raffaello Magi

Francesco Maria Silvio Bonito

Non può pertanto affermarsi, come ipotizzato dal ricorrente, che il potere di verifica delle

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