Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20881 del 10/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20881 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: CERRONI CLAUDIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Berlincioni Gabriele, nato a Firenze il 27/03/1958

avverso la sentenza del 12/01/2017 della Corte di Appello di Firenze

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi
Cuomo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
udito per il ricorrente l’avv. Luca Bisori, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 gennaio 2017 la Corte di Appello di Firenze, in
parziale riforma della sentenza del 4 marzo 2016 del Tribunale di Arezzo, ha
condannato Gabriele Berlincioni, nella qualità di legale rappresentante della
Artex Preziosi, alla pena, sospesa, di mesi uno di reclusione ed euro 300 di multa
per il reato di cui agli artt. 81 capoverso cod. pen., e 2, comma

1-bis, del

decreto legge 12 settembre 1983 n. 463, conv. in legge 11 novembre 1983, n.

Data Udienza: 10/11/2017

638, come modificato dall’art. 1 d.lgs. 24 marzo 1994, n. 211, in relazione
all’omesso versamento delle ritenute previdenziali per l’annualità 2010 per un
ammontare di euro 32.458,34.
2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto, tramite il difensore,
ricorso per cassazione con tre articolati motivi di impugnazione.
2.1. In particolare, col primo motivo è stata dedotta l’inammissibilità
dell’atto di appello del Pubblico Ministero, del tutto non rispondente ai requisiti di
specificità siccome intesi dallo stesso giudice di legittimità. In particolare, non

logico-giuridica, tant’è che era stato specificato che il reato non richiedeva il dolo
specifico, laddove mai il Tribunale di Arezzo ne aveva trattato; del pari non si

desumeva’( indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto tali da
sorreggere la richiesta di riforma, mentre non si presentava idonea
un’impugnazione che si limitava ad offrire una generica ed astratta rivalutazione
della sentenza in senso alternativo e diverso. In specie, secondo il ricorrente, la
censura si era risolta in una mera richiesta di condanna dell’imputato, senza
alcun riferimento tra i principi giurisprudenziali e i passaggi della sentenza, e di
rivalutazione del materiale probatorio in senso sfavorevole all’imputato.
2.2. Col secondo motivo, quanto all’affermata sussistenza dell’elemento
psicologico, esso andava invero escluso stante l’esito dell’istruttoria in ordine alle
ragioni che avevano condotto alla crisi aziendale, anche a seguito della mancata
riscossione di crediti, ed al ricorso al credito bancario, laddove la scelta di
proseguire nell’attività aziendale corrispondeva alla volontà di reperire le risorse
liquide per assolvere agli oneri datoriali, così non accettando il rischio di non
adempiere alla contribuzione previdenziale. In realtà il ricorrente aveva assolto
all’onere di provare che il mancato assolvimento degli oneri era dovuto a cause a
lui non imputabili, mentre il provvedimento impugnato aveva omesso di valutare
gli argomenti difensivi addotti altresì con apposita memoria.
2.3. Col terzo motivo infine il ricorrente ha osservato che avrebbe dovuto
essere applicata la speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod.
pen..
3. Il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato.
4.1.1. Per quanto riguarda il primo motivo di censura, il Tribunale di Arezzo
ha giustificato a suo tempo l’assoluzione dell’odierno ricorrente, quanto
all’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali relative
all’anno 2010 (quanto alle ritenute relative all’anno 2011, il relativo ammontare

erano indicati i punti che si intendevano criticare sotto il profilo della tenuta

è invece inferiore alla soglia di penale rilevanza ed in tal senso non vi è più
questione in questo giudizio, attesa la non contestata declaratoria in proposito
resa a suo tempo dallo stesso Giudice aretino), assumendo che, fermo il
mancato versamento delle somme dovute, lo stesso imputato aveva preferito
pagare gli stipendi ai dipendenti vista la disastrosa situazione economica in cui
versava la società, infine fallita il 27 settembre 2011. In considerazione di ciò,
l’assenza di liquidità faceva venire meno ogni tipo di dolo, in quanto non si
poteva chiedere all’agente “di compiere qualcosa di cui ne era oggettivamente

4.1.2. A fronte di tale decisione, il Pubblico ministero territoriale ha proposto
appello alla Corte fiorentina. Nell’impugnazione, e premettendo di non
condividere la sentenza del Tribunale, ha anzitutto osservato che il reato
contestato non richiedeva il dolo specifico, essendo sufficienti coscienza e
volontà dell’omesso versamento, mentre era irrilevante la crisi aziendale, così
come la destinazione delle risorse finanziarie a fare fronte ad altri debiti.
Nel richiamare la giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto (quanto
alla sufficienza del dolo generico, all’irrilevanza dell’insolvenza nonché agli
obblighi del datore di lavoro nei confronti dell’erario in relazione al versamento di
quella parte di retribuzione rappresentata dalle ritenute previdenziali),
l’appellante ha così concluso osservando che mancava qualsiasi presupposto per
invocare l’impossibilità di adempiere, dovendo la punibilità della condotta essere
individuata proprio nel mancato accantonamento delle somme dovute all’Istituto
previdenziale, mentre non poteva ipotizzarsi l’impossibilità di versamento per
fatti sopravvenuti.
Ciò premesso, l’appellante ha così sostenuto che il primo Giudice non aveva
fatto corretta applicazione dei principi indicati, limitandosi a ritenere giustificata
l’omissione in ragione del tracollo finanziario, e quindi assolvendo l’imputato che
aveva preferito pagare gli stipendi.
In esito a tale impugnazione, la Corte distrettuale adita ha accolto il
gravame, condannando il Berlincioni col provvedimento infine impugnato in
questa sede di legittimità.
4.1.3. L’odierno ricorrente ha riproposto la questione dell’inammissibilità
dell’appello, sostenendo che il provvedimento impugnato avrebbe dovuto
dichiarare l’inammissibilità del gravame per a-specificità dei motivi.
4.1.4. Il motivo è infondato.
In primo luogo va osservato che, pacifici essendo i fatti di causa, era stata
sollevata solamente una questione di diritto.
In proposito l’appellante si era posto in una posizione di critica dialettica
rispetto alla motivazione addotta dal primo Giudice, ricordando la giurisprudenza
già pronunciatasi e censurando la

ratio decidendi,

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che al contrario aveva

impossibilitato”.

collegato l’assoluzione dal reato all’impossibilità di pagare l’Erario, e ciò a fronte
del tracollo finanziario e del pagamento degli stipendi al personale dipendente.
In proposito, quanto ai profili di ammissibilità dell’appello, è stato
recentemente chiarito che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è
inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano
esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto
o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che
tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale

impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).
L’onere di specificità dei motivi di impugnazione, proposti con riferimento ai
singoli punti della decisione, è quindi direttamente proporzionale alla specificità
delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
impugnata, con riferimento ai medesimi punti.
Né può appunto essere sottaciuto che, in specie, si tratta appunto di
questione di diritto, nell’ambito della quale la dovuta specificità assume una
minore pregnanza, essendo necessario enunciare con chiarezza il principio di
diritto posto a fondamento della richiesta.
4.1.5. In specie, il Tribunale, con la propria sintetica decisione, aveva
assunto l’impossibilità di adempimento, stante l’illiquidità aziendale ed in
considerazione della scelta di pagare i dipendenti. L’appellante, a sua volta, si è
confrontato con tale motivazione, ne ha contestato il fondamento allegando la
giurisprudenza che sul punto ha sostenuto posizioni differenti, e ribadendo che
non poteva sussistere siffatta impossibilità di adempiere nella situazione data,
attesi gli obblighi esistenti in capo al sostituto d’imposta e contestando la
punibilità della condotta, consistente proprio nel mancato accantonamento delle
somme dovute all’Istituto previdenziale.
Alle ragioni allegate alla decisione del Tribunale, pertanto, sono state
opposte, e argomentate con riferimenti giurisprudenziali, le ragioni che invece
militavano nel senso della condanna dell’imputato. Laddove infine il riferimento
all’elemento soggettivo era stato operato al fine di confermare la sufficienza del
solo dolo generico di coscienza e volontà dell’omissione, e della consapevole
scelta di omettere il pagamento dei contributi dovuti (cfr. sul punto, ex plurimis,
Sez. 3, n. 3663 del 08/01/2014, De Michele, Rv. 259097).
In definitiva, quindi, l’appello del Pubblico Ministero si è in realtà confrontato
con le ragioni contrarie dispiegate nella sentenza del Tribunale aretino, allegando
e giustificando i motivi di censura e la richiesta di riforma della decisione.
4.2. In relazione poi al secondo motivo di ricorso, ed al fine di escludere la
colpevolezza, è stata invocata la crisi di liquidità del soggetto attivo, assumendo

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alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento

che l’omesso pagamento del debito previdenziale e la scelta di privilegiare il
pagamento degli stipendi non facevano desumere l’esistenza del dolo.
L’assunto non è fondato.
In particolare, è stato invero precisato (così, riassuntivamente ed anche per
gli ulteriori riferimenti, Sez. 3, n. 18501 del 17/07/2014, dep. 2015, Rubino, non
mass.) che è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione
che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente
della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche

tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova
che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse
economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale
‘Ackv, Ldi-z
adempimento delle obbligazioni tatarie, pur avendo posto in essere tutte le
possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a
consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle
somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per
cause indipendenti dalla sua volontà e ad allo stesso non imputabili. Mentre in
ogni caso, ai fini della sussistenza del reato, non è richiesto il fine di evasione,
tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto, il
dolo del reato in questione essendo integrato dalla condotta omissiva posta in
essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale
ulteriore requisito, un atteggiamento anti-doveroso di volontario contrasto con il
precetto violato.
4.2.1. È noto altresì, in proposito e sempre in linea generale, che la forza
maggiore esclude la suitas della condotta, è la vis cui resisti non potest, a causa
della quale l’uomo non agit sed agitur. Secondo la costante giurisprudenza di
questa Corte, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai
quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv.
157495; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138
del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui
la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica
è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al
comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità, e non può
quindi ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e
volontaria dell’agente.
In tal modo è stato sempre escluso, quando la specifica questione è stata
posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano
integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3, n. 4529 del
04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv.
255880; Sez. 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n.

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la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata

9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984,
Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).
Nei reati omissivi integra pertanto la causa di forza maggiore l’assoluta
impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento
omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856). Sì che: a) il
margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas
della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento
dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere

scelta politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si
può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato
sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla
singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità; d)
l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza
maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha
potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e
che sfuggono al suo dominio finalistico.
4.2.2. Alla stregua dei rilievi che precedono, quindi, nonché dalle stesse
emergenze processuali e dalle convinzioni espresse dal ricorrente, quest’ultimo
operò la scelta di pagare i dipendenti ed anche alcuni fornitori, omettendo di
versare all’Istituto previdenziale quanto già avrebbe dovuto essere accantonato
in suo favore; allo stesso tempo il ricorrente da un lato comunque continuò a
pagare i dipendenti ed in ogni caso scelse i creditori da soddisfare, e dall’altro
evitò ad esempio di chiedere il fallimento, così contribuendo a procrastinare nel
tempo la realizzazione della par condicio creditorum. Tra l’altro la crisi aziendale,
secondo le stesse allegazioni del ricorrente, si era già manifestata nel 2009,
ossia nell’annualità precedente a quella in contestazione in giudizio.
Al riguardo, e conclusivamente, l’odierno ricorrente allega quindi che la crisi,
ed anzi lo stato di decozione (cfr. pag. 12 ricorso), era insorta ancor prima ed
era coeva ai fatti. A maggior ragione, pertanto, la scelta di privilegiare il
cta,
pagamento ai dipendenti ma anche g altri creditori a propria pretesa discrezione
imprenditoriale, e di non operare diversamente, si colloca al di fuori del
perimetro della forza maggiore ed integra sicuramente l’elemento soggettivo del
reato. Sì che, in proposito, le valutazioni della Corte fiorentina vanno esenti da
censura.
4.2.3. D’altronde, le ulteriori vicissitudini lamentate, in relazione alla
diminuzione delle commesse, al mancato recupero dei crediti maturati ovvero
all’impossibile accesso al credito bancario, appaiono legate all’ineludibile rischio
d’impresa. Tant’è che la stessa difesa dell’odierno ricorrente ha comunque

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addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una

definito “imprudente” la scelta di pagare i dipendenti, allorché per vero la crisi di
liquidità era già risalente.
4.3. In relazione poi al terzo profilo di censura, la norma di cui all’art. 131bis cod. pen. prevede che la punibilità è esclusa quando, per le modalità della
condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133,
primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non
abituale.
In proposito, la Corte distrettuale ha all’evidenza ritenuto implicitamente di

causa di non punibilità.
Vero è, infatti, che l’assenza dei presupposti per l’applicabilità della causa di
non punibilità per la particolare tenuità del fatto può essere rilevata anche con
motivazione implicita (Sez. 5, n. 24780 del 08/03/2017, Tempera, Rv. 270033;
Sez. 3, n. 48317 del 11/10/2016, Scopazzo, Rv. 268499). In ogni caso, peraltro,
già in tema di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, ma il
principio è ovviamente estensibile a tutte le fattispecie in cui è prevista una
soglia di punibilità, è stato osservato che la causa di non punibilità della
“particolare tenuità del fatto”, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., è applicabile
soltanto all’omissione per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, in
considerazione del fatto che il grado di offensività che dà luogo a reato è già
stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale
(Sez. 3, n. 13218 del 20/11/2015, dep. 2016, Reggiani Viani, Rv. 266570; Sez.
3, n. 40774 del 05/05/2015, Falconieri, Rv. 265079).
In specie, non vi è contestazione in ordine al fatto che l’omesso versamento
penalmente rilevante è di euro 32.458,34, ossia un ammontare più di tre volte
superiore al limite fissato dal legislatore al momento della fissazione della soglia
di punibilità, e comunque consistente in un ammontare di oltre 20.000 euro
superiore a detta soglia. Da un lato, quindi, tali valori assoluti sono stati ritenuti
integrare una fattispecie non particolarmente tenue sul piano oggettivo (cfr. Sez.
3 n. 13218 cit., dove tra l’altro il superamento della soglia era percentualmente
pari a meno del 10 per cento dell’imposta evasa), ed in ogni caso la particolare
tenuità va esclusa anche e proprio in ragione del superamento assai rilevante di
quel limite che lo stesso legislatore ha recentemente posto come adeguato limite
di offensività.
Ciò posto, vi è quindi manifesta insussistenza dei requisiti, sì che già in
astratto, ed a prescindere da qualsivoglia eventuale omissione nelle fasi di
merito, va verificata l’inesistenza delle condizioni di applicabilità dell’istituto, in
tal modo evitando di procedere ad ulteriori attività processuali del tutto inutili.
5. In definitiva, quindi, tutti i motivi di impugnazione non appaiono
meritevoli di accoglimento, per cui va rilevata l’infondatezza del ricorso.
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valutare in senso negativo la richiesta dell’imputato di applicare detta speciale

Ne consegue altresì la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Claudio Cerro ii

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Così deciso in Roma il 10/11/2017

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