Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20874 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20874 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BALDUCCI GIORGIO nato il 21/06/1941 a PORDENONE

avverso la sentenza del 06/04/2017 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO MARIA ANDRONIO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCO
SALZANO
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
Udito il difensore

Data Udienza: 07/11/2017

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 6 aprile 2017, la Corte d’appello di Trieste ha parzialmente
confermato la sentenza del Tribunale di Gorizia del 15 aprile 2015, con la quale – per quanto
qui rileva – l’imputato era stato condannato, applicate la continuazione e la recidiva specifica
reiterata: per il reato di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere emesso, quale
legale rappresentante di una società, fatture per operazioni inesistenti (escluse quelle più
risalenti nel tempo, coperte da prescrizione); per il reato di cui all’art. 10 dello stesso d.lgs.,

consentire la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari. La Corte d’appello, in
accoglimento dell’appello del Procuratore generale, ha rideterminato il trattamento
sanzionatorio in aumento.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione dell’art. 507 cod.
proc. pen., sul rilievo che la Corte d’appello non avrebbe attivato il suo potere istruttorio
d’ufficio per acquisire gli atti del procedimento sanzionatorio tributario, anche allo scopo di
valutare la sussistenza di un ne bis in idem.
2.2. – In secondo luogo, si deducono vizi della motivazione in relazione al mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, laddove si sarebbe omesso di
considerare l’utilità della confessione dell’imputato all’accertamento dei fatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
11. – Con il primo motivo la difesa formula generiche asserzioni circa la pretesa
esistenza di un procedimento tributario sanzionatorio che avrebbe per oggetto gli stessi fatti
oggetto del procedimento penale, ma non deduce, neanche in via di mera prospettazione,
la circostanza dell’effettiva irrogazione della sanzione amministrativa o, comunque, della
definitività del procedimento sanzionatorio, né precisa se tale procedimento riguardi
l’imputato odierno ricorrente o la società, dotata di autonoma soggettività giuridica, della
quale lo stesso era legale rappresentante. Tale assoluta incertezza rende del tutto generica
la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale – comunque preclusa, in quanto
formulata per la prima volta con il ricorso per cassazione – per di più motivata sulla base
della sostanziale ammissione di una colpevole inerzia dello stesso difensore, il quale
semplicemente assume di non avere avuto la possibilità di attivarsi per acquisire la relativa
documentazione in quanto nominato nel corso del giudizio di primo grado, ovvero in epoca
ampiamente precedente al giudizio di appello. Né, in ogni caso, il mutamento della persona
del difensore fa venire meno, in via generale, le preclusioni istruttorie già verificatesi.
Ne deriva l’inammissibilità della prima doglianza del ricorrente.

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per avere, nella stessa qualità, distrutto o occultato le scritture contabili, in modo da non

3.2. – Inammissibile, per difetto di specificità, è il secondo motivo di ricorso, riferito
al diniego delle circostanze attenuanti generiche. La difesa si limita a ribadire, sul punto, le
censure già formulate e motivatamente disattese dalla Corte d’appello, la quale
correttamente chiarisce che l’imputato non ha fornito alcun apporto alle indagini, essendosi
limitato a dare una spiegazione della vicenda in chiave meramente autodifensiva. E ciò, in
mancanza di elementi positivi di giudizio, la cui esistenza, peraltro, non è stata dedotta
neanche con il ricorso per cassazione.

conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle
spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa
delle ammende, equitativamente fissata in C 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2017.

4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto

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