Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20871 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20871 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA

11 MAG 2018

sul ricorso proposto da
Rossi Massimiliano, nato a Livorno il 19/04/1970

avverso la sentenza del 04/11/2016 della Corte d’appello di Cagliari sez. dist. di
Sassari

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Pierfrancesco Bruno sost. proc. avv. N. Dinelli che ha
concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 novembre 2016, la Corte d’appello di Cagliari sez.
dist. di Sassari ha confermato la sentenza del Tribunale di Sassari con la quale,
all’esito del giudizio abbreviato, Massimiliano Rossi era stato condannato per il
reato di cui agli artt. 81 comma 2 cod.pen. e 2 d.l. 12 settembre 1983 n. 463,
convertito dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, per l’omesso versamento delle

Data Udienza: 07/11/2017

ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai
lavoratori per il periodo agosto- novembre 2010 per complessivi C 13.479,55,
alla pena di mesi uno di reclusione e C 200,00 di multa.
2. Avverso la sentenza, l’imputato, ha proposto ricorso per cassazione, a
mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo con un
unico motivo di ricorso, la violazione di legge in relazione all’affermazione della
responsabilità penale in presenza di una situazione di crisi finanziaria dell’azienda
che avrebbe determinato l’impossibilità di adempiere al versamento dei
contributi previdenziali e assistenziali.

condotto, nel 2012, alla dichiarazione di fallimento della società e l’imputato,
anche con sforzi personali, aveva cercato invano di fronteggiare la crisi
economico-finanziaria in cui versava la Eurofin srl, di cui era legale
rappresentante. In tale contesto le scelte economiche erano stati obbligate e, in
tale ambito, aveva privilegiato il pagamento delle retribuzioni ai lavoratori,
sicchè, per tali ragioni, l’omissione non sarebbe volontaria e, dunque,
difetterebbe l’elemento soggettivo del reato.
Richiama il ricorrente il contenuto di alcune sentenze dei giudici di merito
che hanno dato rilievo, a fini dell’esclusione della punibilità, alla situazione di
crisi della società, invocando una rivisitazione dell’orientamento più rigoroso della
giurisprudenza di legittimità.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile per la proposizione di motivo manifestamente
infondato e, anche, generico.
5. Secondo il costante orientamento della Corte di cassazione, a cui il
Collegio intende dare continuità condividendolo, l’imputato ben può invocare la
situazione di crisi economica che determina l’impossibilità di adempimento
dell’obbligazione, quale causa di esclusione della responsabilità penale, purché
assolva agli oneri di allegazione riguardanti sia il profilo della non imputabilità a
lui medesimo della crisi economica, sia l’aspetto della impossibilità di
fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in
concreto (Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190). In altri termini,
l’indagato deve allegare la prova che non sia stato altrimenti possibile per il
contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale
adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le
possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a

Secondo il ricorrente, la crisi di liquidità era subentrata nel 2008 ed aveva

consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle
somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per
cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili (Sez. 3, n. 5467 del
5/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).
Anche di recente la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo Sez. 3, n.
47829 del 18/07/2017, Olivetto, non mass.; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015,
Mondini, Rv. 265262; Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013, P.G. in proc. Casella,
Rv. 258056) nel ribadire che il reato di omesso versamento delle ritenute
previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori è integrato,

dovuti. Si è, in particolare, sottolineato che è onere dell’imprenditore ripartire le
risorse esistenti al momento di corrispondere le retribuzioni ai lavoratori
dipendenti in modo da poter adempiere all’obbligo del versamento delle ritenute,
anche se ciò possa riflettersi sull’integrale pagamento delle retribuzioni
medesime (Sez. 3, n. 38269 del 25/09/2007, Tafuro, Rv. 237827; Sez. 3,
n. 33945 del 05/07/2001, Castellotti, Rv. 219989). Invero, la legge affida al
datore di lavoro, in quanto debitore delle retribuzioni nei confronti dei prestatori
di lavoro dipendenti, il compito di detrarre dalle stesse l’importo delle ritenute
assistenziali e previdenziali da quelli dovute e di corrisponderlo all’Erario quale
sostituto del soggetto obbligato.
In questo senso il sostituto adempie contemporaneamente a un obbligo
proprio e a un obbligo altrui da cui la conseguenza di ritenerlo vincolato al
pagamento delle ritenute allo stesso titolo per cui è vincolato al pagamento delle
retribuzioni. La conclusione che se ne trae è che lo stato di insolvenza non libera
il sostituto, salvo che questo sia dovuto a cause non imputabili al medesimo e
dal medesimo non fronteggiabile con misure da valutarsi nel caso concreto.
6. Dalla lettura del provvedimento impugnato risulta che l’onere allegativo
e probatorio non è stato assolto restando priva di allegazione e prova sia la crisi
di liquidità stessa, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di
liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto avendo,
peraltro ammesso di aver scelto, nell’alternativa tra rispettare il precetto
normativo o corrispondere le retribuzioni, di optare per il secondo. Quanto al
profilo della non imputabilità dell’omissione al ricorrente, perché questa sarebbe
imputabile alla cattiva gestione del professionista che seguiva la società, la
sentenza impugnata ha disatteso la deduzione difensiva con motivazione
congrua, evidenziando il generale dovere di vigilanza che fa capo
all’amministratore di una società tra cui vi è il dovere di controllo sui versamenti
periodici se delegati materialmente ad altri.

3

siccome è a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti

Il motivo di ricorso, come argomentato con richiamo a precedenti della
giurisprudenza di merito e di legittimità, finisce per essere generico e, come
tale, inammissibile.
Al riguardo, osserva il Collegio che non si intende rivisitare l’orientamento
espresso da questa Corte di legittimità, in punto rilevanza della situazione di crisi
economica che determina l’impossibilità di adempimento dell’obbligazione, quale
causa di esclusione della responsabilità penale (da ultimo Sez. 3, n. 47829 del
18/07/2017, Olivetto, non mass.; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, Mondini,
Rv. 265262; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n.

ribadire l’assenza dei presupposti applicativi e degli oneri allegativi, perché privo
di specificità il ricorso nel caso concreto.
Quanto poi al richiamo alla pronuncia di questa Sezione n. 11353 del
2015, rileva il Collegio che il riferimento all’esclusione della punibilità in
considerazione del modesto importo delle somme non versate o della
discontinuità ed episodicità delle inadempienze (cfr. Sez. 3, n. 3663 del
8/1/2014, Rv.259097), non è invocabile y( nel caso de quo in assenza dei
presupposti, non potendosi considerare di modesto importo quello omesso pari a
C 13.479,33, ed essendo priva di pregio l’argomentazione difensiva secondo cui
la rilevanza penale del fatto sarebbe da individuarsi solo per la minore somma di
C 3.479,33, dovendo sottrarsi l’importo di C 10.000,00 per effetto della nuova
soglia di punibilità, trattandosi di interpretazione/contra legem.

7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve
essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616
cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data
13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di C 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 07/11/2017

3705 del 19/12/2013, P.G. in proc. Casella, Rv. 258056), ma unicamente

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