Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20870 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20870 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GAVAZZI ALBERTO nato il 22/12/1950 a BRESCIA

avverso la sentenza del 21/02/2017 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO MARIA ANDRONIO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCO
SALZANO
che ha co uso per
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
Udito il difensore C
Il difensore presente insiste nell’accoglimento del ricorso

Data Udienza: 07/11/2017

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 21 febbraio 2017, la Corte d’appello di Brescia ha parzialmente
riformato la sentenza del Tribunale di Brescia del 25 febbraio 2015, con la quale l’imputato
era stato condannato, per reati di cui all’art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000 commessi,
in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, attraverso l’utilizzazione di crediti tributari
inesistenti, nella sua veste di legale rappresentante dì società. La Corte d’appello ha
dichiarato non doversi procedere quanto ai reati commessi fino al 21 agosto 2009, per

anno e tre mesi di reclusione.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto – tramite il difensore – ricorso per
cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Si lamenta, con un primo motivo di doglianza, la mancata assunzione di una
prova decisiva, essendo stata revocata in primo grado, con ordinanza del 23 ottobre 2015,
l’audizione del teste Cascino, in precedenza disposta ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen.,
sul presupposto che i verbali degli interrogatori, acquisiti agli atti, fossero esaustivi. La
difesa sostiene di aver acconsentito all’acquisizione dei verbali di interrogatorio, ma di averlo
fatto al solo scopo di contestare in dibattimento dichiarazioni rese dal teste e, in particolare,
quelli in cui si afferma che questo aveva spiegato all’imputato che con le compensazioni non
si commetteva alcun reato, ma che le stesse avrebbero consentito di spostare il debito
erariale di un paio di anni, con l’applicazione di una sanzione amministrativa. La difesa
sostiene che il teste aveva altresì affermato avere operato in perfetta buona fede, convinto
della regolarità ciò che faceva. Si lamenta che il pubblico ministero, dopo avere ricevuto dal
teste la comunicazione di indisponibilità a partecipare all’udienza, aveva rinunciato alla sua
audizione, così privando la difesa della possibilità di chiarire circostanze rilevanti.
2.2. – Si lamenta, in secondo luogo, l’erronea applicazione della confisca, per la
mancata considerazione del fatto che l’imputato non aveva la consapevolezza di commettere
un reato, essendo stato assistito da commercialisti. Si sostiene, altresì, che i beni oggetto
di confisca non sono strumentali rispetto all’aggravamento o alla protrazione delle
conseguenze del reato, perché non ne costituiscono il prezzo né il profitto. Inoltre, tali beni
erano stati precedentemente sottoposti a sequestro poi annullato; con la conseguenza secondo la difesa – che gli stessi non potrebbero essere confiscati, essendo il sequestro un
presupposto necessario per la confisca.
2.3. – In terzo luogo, si deduce la manifesta illogicità della motivazione quanto alla
ritenuta consapevolezza dell’illecito in capo all’imputato. Non si sarebbe considerato che le
intercettazioni telefoniche richiamate nella sentenza confermavano la sua buona fede. Né vi
sarebbe conferma della tesi dell’accusa secondo cui l’importo della parcella del
commercialista Cascino era calcolato in modo proporzionale all’evaso. Inoltre, non si

essere gli stessi estinti per prescrizione, e ha rideterminato la pena per i residui reati in un

sarebbe considerato che l’imputato aveva comunicato agli enti interessati gli importi di
competenza, così confermando la sua buona fede.
2.4. – Con una quarta censura, si deducono vizi della motivazione in relazione alla
ritenuta esistenza di un vantaggio economico per l’imputato, sul rilievo che l’eventuale
vantaggio economico derivante dai reati sarebbe stato al più delle società, le quali non
hanno subito alcun provvedimento né alcuna indagine, neanche ai fini della determinazione
del profitto da confiscare.

valutazione dell’indebitamento delle società gestite dall’imputato. Secondo la difesa,
sarebbe inverosimile la circostanza che egli avesse consapevolmente commesso dei reati
per avvantaggiare non se stesso ma soggetti terzi, non essendo neanche socio della Società
Sintra.
2.6. – Si lamenta, infine, la mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche e della sospensione condizionale della pena, nonché il mancato contenimento
delle pene accessorie, rilevando che l’imputato è rimasto senza stabile occupazione proprio
in conseguenza dell’indagine penale suo carico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché basato su doglianze che non possono essere
ricondotte alle categorie di cui all’art. 606 cod. proc. pen., in quanto formulate in modo,ks
specifico e, comunque, dirette a contestare sostanzialmente la motivazione della sentenza
impugnata con riferimento a rilievi già esaminati e ampiamente disattesi dalla Corte
d’appello.
3.1. – Del tutto generico è il primo motivo di doglianza, con cui si lamenta la mancata
assunzione della prova decisiva che sarebbe rappresentata dalla testimonianza dei
commercialista Cascino. La difesa, in primo luogo, non precisa se, alla rinuncia del pubblico
ministero all’audizione del testimone, abbia fatto seguito la richiesta della stessa difesa di
sentirlo ugualmente; e si limita a meramente asserire di aver acconsentito all’acquisizione
dei verbali d’interrogatorio solo in vista della successiva audizione del teste in dibattimento,
senza che tale circostanza possa emergere dagli atti. In ogni caso, dalla stessa formulazione
déflicorso per cassazione, emerge la sostanziale irrilevanza delle circostanze sulle quali il
teste, in realtà coimputato sostanziale, avrebbe dovuto essere sentito, trattandosi della
conferma o della smentita di irrilevanti affermazioni circa la pretesa buona fede dello stesso
Cascino, evidentemente rese a scopo autodifensivo e ritenute poco credibili, in quanto tali,
dai giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione.
3.2. – Del pari generico è il secondo motivo di doglianza, perché esso si basa
sull’assunto, ampiamente smentito dalle risultanze istruttorie, della pretesa buona fede
dell’imputato, il quale sarebbe stato spinto a commettere il reato dai commercialisti che lo

2.5. – Una quinta censura è riferita a vizi della motivazione, in relazione alla mancata

’assistevano, essendone totalmente inconsapevole. E risultano del tutto irrilevanti, ancor
prima che generiche, anche le affermazioni secondo cui i beni oggetto di confisca non
costituirebbero il prezzo né il profitto del reato, trattandosi della confisca obbligatoria
disposta per equivalente ai sensi dell’art. 322 ter cod. pen., che nulla ha a che vedere con
il prezzo o il profitto del reato. Il tenore letterale della disposizione implica, del resto, che la
confisca debba essere sempre disposta, indipendentemente dal fatto se il suo oggetto sia
stato preventivamente sottoposto a sequestro.

consapevolezza dell’illecito in capo all’imputato e circa l’inverosimiglianza della tesi difensiva
secondo cui questi non avrebbe avuto alcun vantaggio economico, oggetto del terzo, del
quarto e del quinto motivo di doglianza. La difesa si limita a richiamare genericamente le
intercettazioni telefoniche che confermerebbero la buona fede dell’imputato, nonché non
meglio precisate comunicazioni che egli avrebbe effettuato agli enti competenti. Trascura,
però, di considerare in chiave critica le coerenti motivazioni delle sentenze di primo e
secondo grado, dalle quale emerge la piena conoscenza da parte dell’imputato del
meccanismo frodatorio utilizzato, avendo egli, ad esempio, concordato il compenso di
Cascino in una percentuale del valore delle imposte non versate a seguito delle illecite
e/
compensazioni. Quanto al vantaggio per l’imputato, le sentenze di primo/secondo grado
correttamente evidenziano che il risparmio fiscale derivante dalle indebite compensazioni
consentiva alle società, dalle quali l’imputato ricavava la sua capacità reddituale, di essere
illecitamente competitive sul mercato. E, in ogni caso, la formulazione letterale della
disposizione incriminale: esclude qualsiasi rilevanza dell’esistenza di un profitto in capo
all’autore deLYaiae, essendo la stessa semplicemente diretta/sanzionare l’indebita
compensazione. E del tutto generiche risultano le affermazioni difensive circa il preteso
indebitamento delle società e circa il fatto che le stesse non avrebbero subito indagini,
neanche ai fini della determinazione del profitto da confiscare. Né, del resto, l’imputato
aveva compiutamente formulato, nel corso del giudizio d’appello, censure relative alla
mancata verifica dell’esistenza di un profitto confiscabile in capo alle società.
3.4. – Del tutto generico è anche il sesto motivo di doglianza, riferito alle circostanze
al trattamento sanzionatorio. Esso si basa infatti sulla valorizzazione di un dato che risulta
irrilevante ancor prima che del tutto sfornito di prova, qual è il fatto che l’imputato sarebbe
rimasto senza stabile occupazione proprio in conseguenza dell’indagine penale suo carico.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle
4

3.3. – Analoghe considerazioni valgono quanto alla motivazione circa la ritenuta

’spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa
delle ammende, equitativamente fissata in C 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2017.

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