Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20863 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20863 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: SEMERARO LUCA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BONADIO DOMENICO nato il 05/02/1968 a REGGIO CALABRIA

avverso la sentenza del 09/02/2017 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
BOLZANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO
Udito il Proc. Gen., in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCO SALZANO
che ha concluso per l’inammissibilità
Udito il difensore

Data Udienza: 07/11/2017

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza del 3 novembre 2015 il giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Bolzano, nel giudizio abbreviato, ha condannato Domenico Bonadio
alla pena di mesi 4 di reclusione, ritenendolo responsabile del reato di cui all’art.
10 D.Lvo 10.3.2000 n. 74.
Domenico Bonadio è stato condannato, quale titolare della ditta individuale
B&D di Bonadio Domenico, per avere occultato o distrutto le scritture contabili ed

ricostruzione dei redditi e del volume di affari.
La Corte d’Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, con la sentenza
del 9 febbraio 2017 ha confermato quella del giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Bolzano.

2. Il difensore di Domenico Bonadio ha proposto ricorso avverso la sentenza
della Corte d’Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, ex art. 606, lett.
b), c) ed e) cod. proc. pen. avverso tutti i punti e capi della sentenza della Corte
di appello di Trento.
La difesa ha svolto dapprima brevi cenni sul fatto, rappresentando che il
ricorrente è stato accusato di avere dolosamente distrutto od occultato la
documentazione contabile relativa alla ditta B&D di Bonadio Domenico; ciò in
quanto nel corso della verifica effettuata presso la sede dell’azienda nulla è stato
rinvenuto. La difesa ha indicato che le verifiche furono effettuate quando il
ricorrente era detenuto e la sede della ditta era ritornata nella disponibilità del
proprietario, a causa della morosità del Bonadio.

2.1. Con il primo motivo, la difesa ha dedotto ex art. 606 lett. e) cod. proc.
pen. la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento
alla sussistenza dell’elemento soggettivo.
Secondo la difesa, dal testo della sentenza di primo grado e dalla
testimonianza di Endrizzi Giorgio erano emersi l’improvviso arresto dell’imputato,
la perdita di possesso dell’immobile, la presenza di scatoloni, poi messi nel
giroscale dal teste.
Osserva la difesa che sia il Tribunale che la Corte di appello hanno ritenuto
che non vi sia prova dell’intervento di terzi nella sparizione della documentazione;
però, secondo la difesa, non vi è neppure prova alcuna che l’imputato abbia
effettivamente distrutto od occultato la documentazione, posto che l’improvvisa
carcerazione è elemento estraneo alla volontà dell’imputato e che dimostra che
egli non abbia avuto tempo per nascondere o distruggere documenti. Dal momento
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i documenti di cui è obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la

della traduzione in carcere Bonadio non ha più avuto modo di agire per
l’occultamento dei documenti.
Secondo la difesa non è stato fornito alcun elemento di prova circa il suo
coinvolgimento e ritenere l’imputato responsabile per un fatto il cui controllo non
era più nella sua disponibilità sembra il frutto di errore logico probatorio.

2.2. Con il secondo motivo la difesa ha dedotto il vizio ex Art. 606 lett. e)
C.p.p. in relazione alla mancata esclusione di ricostruzioni alternative.

acquisite (in particolare l’esame di Endrizzi e la dichiarazione scritta resa
dall’imputato in data 13.1.2014) permettono di effettuare una ricostruzione dei
fatti molto verosimile e alternativa a quella dell’imputazione, per la quale Bonadio
non ha nascosto o distrutto i libri contabili, a causa della detenzione, ma
disinteressatosi dei libri, né il commercialista né il padrone dei locali hanno curato
la conservazione dei documenti.
L’alternativa ricostruzione dei fatti, proposta dalla difesa, non è stata
sufficientemente scandagliata dai giudicanti.
Afferma la difesa che il teste Endrizzi non aveva alcun interesse a dichiarare
di avere avuto consapevolezza della presenza dei documenti negli scatoloni, per
non essere coinvolto nelle vicende di Bonadio; il teste Endrizzi è poco credibile
quando afferma di non aver visto i libri contabili.
Secondo la difesa, la motivazione è stata insufficiente nel superare il
ragionevole dubbio circa una differente eppure ragionevole ricostruzione dei fatti;
manca la motivazione per escludere la ricostruzione alternativa, né si esclude il
dubbio che possa essersi verificata una condotta da parte di persona diversa da
Bonadio.
Secondo la difesa il mancato esame dell’ipotesi alternativa è un vizio e
sintomo di contraddittorietà della decisione, che impone una nuova valutazione
degli elementi probatori.

2.3. Con il terzo motivo la difesa ha dedotto il vizio di violazione di legge e
della motivazione ex artt. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art 10
D.L.vo 10.3.200 n. 74.
La difesa ritiene che non possa dichiararsi la responsabilità se, nella catena
delle condotte, si intravede il possibile intervento di terzi soggetti; l’unico elemento
veramente sicuro è la detenzione di Bonadio, fatto che esclude che egli abbia
potuto agire per mettere in atto la condotta criminosa.
La difesa chiede, in accoglimento del ricorso, l’annullamento della sentenza
impugnata.
3

Secondo la difesa, l’insieme delle testimonianze e delle prove documentali

Considerato in diritto
a

1. Va preliminarmente rilevato che il difensore di fiducia ha trasmesso atto di
«declino al mandato». Va ricordato però che la rinuncia al mandato non produce
effetto fino a che la parte non sia assistita da nuovo difensore di fiducia o di ufficio
e che l’intervento del difensore all’udienza pubblica è meramente eventuale.

2. Il ricorso per cassazione è inammissibile per la mancanza del requisito della

sentenza della Corte di appello di Trento deducendo vizi di violazione di legge
sostanziale e processuale e vizi della motivazione in maniera del tutto generica,
senza neanche indicare quali siano le norme violate.

3. Analizzando il contenuto del ricorso, si rileva che con il primo motivo la
difesa ha ritenuto viziata da contraddittorietà e manifesta illogicità la motivazione
quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Orbene, deve rilevarsi che la Corte di appello di Trento ha dato una compiuta

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risposta ai motivi di appello, tutti incentrati sulla tesi difensiva t
incolpevole delle scritture contabili.

La Corte di appello di Trento ha rigettato l’appello perché ha ritenuto che la
tesi difensiva si fondasse sulle sole dichiarazioni dell’imputato, smentite però da
un lato dagli accertamenti della Guardia di Finanza e dall’altro dalle dichiarazioni
del teste Giorgio Endrizzi, che aveva escluso di aver messo le mani su scatoloni o
carte dell’imputato o della sua ditta.
Con il motivo in realtà si chiede alla Corte di Cassazione di operare la
rivalutazione nel merito del risultato probatorio e si offre la lettura alternativa della
difesa della ricostruzione del fatto.
Come più volte affermato (cfr. in particolare Cass. Sez. 3, n. 3141 del
10/12/2013, dep. 2014, Rv. 259310, D.V.), anche a seguito della modifica dell’art.
606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, il sindacato della
Corte di cassazione rimane circoscritto al controllo di sola legittimità, con la
conseguenza che la possibilità, attribuitale dalla norma, di desumere la mancanza,
la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti
del processo” non le conferisce il potere di riesaminare criticamente le risultanze
istruttorie, bensì quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito
dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova omessa o
travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata. Ne consegue che,
anche di fronte alla previsione di un ampliamento dell’area entro la quale il
controllo sulla motivazione deve operare, non muta affatto la natura del sindacato

specificità laddove l’impugnazione è rivolta avverso tutti i punti e capi della

di legittimità, che rimane limitato alla struttura del discorso giustificativo del
provvedimento impugnato e non può comportare una diversa lettura del materiale
probatorio, anche se plausibile, sicché, per la rilevazione dei vizi della motivazione,
occorre che gli elementi probatori indicati in ricorso siano decisivi e dotati di una
forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento del giudice del merito.
Nel caso in esame invece, deve rilevarsi che anche le critiche alla motivazione
della sentenza sono fondate su circostanze di fatto neanche precisamente collocate
nel tempo; sia nell’atto di appello che nel ricorso per cassazione la difesa fa

quale periodo l’imputato sia stato detenuto e, di conseguenza come la detenzione
possa costituire un fatto non valutato tale da vanificare l’intero ragionamento del
giudice.

4. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato: la difesa lamenta la
mancata motivazione sull’esclusione di ricostruzioni alternative. Come prima già
indicato, la Corte di appello di Trento ha escluso la ricostruzione alternativa della
difesa perché fondata sulle sole dichiarazioni dell’imputato smentite dalle altre
fonti di prova. Ancora una volta si chiede alla Corte di Cassazione di effettuare
rivalutazione nel merito del risultato probatorio rispetto alla lettura alternativa
della difesa della ricostruzione del fatto.

5. Sono poi stati dedotti vizi di violazione di legge e della motivazione in
relazione all’art 10 D.L.vo 10.3.200 n. 74 in quanto secondo la difesa non può
dichiararsi la responsabilità se, nella catena delle condotte, si intravede il possibile
intervento di terzi soggetti.’
Quanto alla violazione di legge, il motivo di impugnazione è inammissibile
perché non già eccepito con l’atto di appello: tale mancanza emerge con chiarezza
dall’analisi dell’atto di appello, tutto costruito sulla ricostruzione alternativa.
Va poi ricordato che il vizio di violazione di legge concerne gli errori di diritto
relativi a disposizioni di diritto sostanziale.
L’inosservanza va intesa quale mancata applicazione, mentre l’erronea
applicazione va riferita all’applicazione inficiata da errore, il quale può anche
essere determinato dalla falsa interpretazione della norma sostanziale.
Il vizio attiene al dispositivo e non alla motivazione della sentenza impugnata,
posto che l’art. 619 cod. proc. pen. prescrive la rettificazione degli errori di diritto
che non hanno avuto influenza decisiva sul dispositivo.
La difesa in realtà contesta la motivazione della sentenza, in relazione alla
mancata valutazione del possibile intervento di terzi, e non un errore
nell’applicazione della norma sostanziale; ciò fa ritenendo che l’unico elemento
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riferimento alla detenzione dell’imputato, senza mai però indicare ed allegare in

veramente sicuro è la detenzione di Bonadio, fatto che esclude che egli abbia
potuto agire per mettere in atto la condotta criminosa.
Dunque, le contestazioni della difesa sono sempre relative alla possibile
ricostruzione alternativa del fatto.
Per altro, tale motivo è ancorato ad un dato affermato quale certo ma invece
del tutto non documentato dalla difesa; come già osservato, né all’atto di appello
né al ricorso per cassazione sono allegati documenti relativi al periodo di
detenzione dell’imputato.

tutto generiche e come tali inammissibili; dall’altro, il ricorso per cassazione,
denunciando il vizio di motivazione, è inammissibile perché in forza del principio
di autosufficienza avrebbe dovuto contenere, oltre alle argomentazioni logiche e
giuridiche sottese alle censure rivolte nei confronti del provvedimento impugnato,
anche la specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali,
nella formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), può essere configurato
il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, allorquando lo stesso non
sia direttamente desumibile dal testo del provvedimento impugnato.

6. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento. Tenuto conto della sentenza della Corte
costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di
ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, si condanna altresì il ricorrente al
pagamento della somma di euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore
della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 07/11/2017.

Il Corsigli re estensore
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Il Presidente
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Dunque, da un lato le contestazioni operate con l’atto di appello erano del

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