Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20862 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20862 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: SEMERARO LUCA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PALAZZO AMEDEO SALVATORE nato il 10/06/1959 a SAN SEVERO

avverso la sentenza del 09/02/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO
Udito il Proc. Gen., in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCO SALZANO
che ha concluso per il rigetto
Udito il dfénsore

DEPOSITATA IN CANCELLI”»,

Data Udienza: 07/11/2017

Ritenuto in fatto

1. Amedeo Salvatore Palazzo, in proprio, ha proposto ricorso avverso la
sentenza del 9 febbraio 2017 con cui la Corte di Appello di Milano ha confermato
la sentenza emessa dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano.
All’esito del rito abbreviato Amedeo Salvatore Palazzo è stato condannato alla pena
di anni uno di reclusione per il reato di cui all’art. 11 D.Lgs. 74/2000, con
applicazione della sospensione condizionale della pena.

delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, agli interessi ed alle sanzioni, per
un ammontare complessivo di € 149.316,47, alienato simulatamente i propri beni
in maniera idonea a rendere in tutto inefficace la procedura di riscossione coattiva.
In particolare, l’imputato, insieme alla moglie, ha costituito un trust , trasferendovi
le unità immobiliari ciascuno per la propria quota di proprietà. I beneficiari del
trust erano i disponenti stessi ed in via successiva la figlia Isabella Palazzo.

2. Con il primo motivo il ricorrente ha chiesto l’annullamento della sentenza
ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per mancanza e
contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato.
Secondo l’imputato, la motivazione della Corte di Appello di Milano è lacunosa,
contraddittoria e priva di logica giuridica quanto al c.d. “trust autodichiarato” o
“sham trust”, caratterizzato dalla mancanza di trasferimento a terzi dei beni
costituiti nel trust medesimo; in particolare, l’imputato contesta l’affermazione
della Corte di appello in ordine al fatto che la natura di sham trust non implica di
per sé la nullità o l’inesistenza dell’atto dispositivo (cfr. pag. 3 sentenza), i criteri
adoperati per valutare la sussistenza della nullità o inesistenza del trust (riportati
a pag. 4 della sentenza) e la qualificazione data del trust dalla Corte di appello di
Milano.
Inoltre, secondo il ricorrente, è priva di sostrato argomentativo e giuridico la
motivazione della Corte d’Appello di Milano laddove afferma che la nullità in re ipsa
del trust autodichiarato non è del tutto pacifica ed è oggetto di ampio dibattito
(cfr. pag. 4 della sentenza), risolvendosi la frase in una mera petizione di principio.
Secondo l’imputato invece, il Trust Alisa è uno sham trust caratterizzato da
nullità, inefficacia ed inopponibilità a terzi.
Ancora, l’imputato ritiene sussistere la contraddittorietà della motivazione in
quanto la Corte di appello di Milano – dopo aver affermato che la nullità di un trust,
nel quale «la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo
apparente», debba essere valutata sulla scorta dei caratteri concreti dell’atto
dispositivo – è giunta a conclusioni del tutto differenti sulla valutazione della nullità
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L’imputato è stato condannato per avere, al fine di sottrarsi al pagamento

del Trust Alisa, poiché nel trust de quo settlors e trustees coincidono (l’imputato e
la di lui moglie) e sono anche i primi beneficiari del trust. Da qui la violazione
dell’art. 2465 ter cod. civ. (sic) e l’insussistenza dell’altruità dell’interesse ex art.
1322 comma 2 cod. civ.: di conseguenza, ai sensi dell’art. 2465 cod. civ., il Trust
Alisa non è opponibile ai terzi.
Secondo il ricorrente, una volta applicate le premesse del ragionamento, la
Corte di appello di Milano avrebbe dovuto affermare la nullità del trust e la sua
inefficacia; dalla nullità sarebbe, poi, conseguita l’assoluzione con formula piena

«rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva» e,
quindi, ad integrare la fattispecie di pericolo concreto ex art. 11 D.Lgs. 74/2000.

3. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto i vizi di cui alle lett. b) ed e)
dell’art. 606 cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 62
bis c.p. e per mancanza della motivazione in ordine all’omessa concessione delle
circostanze attenuanti generiche.
Secondo il ricorrente, nel motivare la mancata concessione delle circostanze
attenuanti, la Corte di appello ha omesso di rispondere ai motivi di appello, con
conseguente illegittimità della motivazione (si richiama Corte di Cassazione,
Sezione III Penale, 23.04.2013, n. 23055). Secondo il ricorrente, la Corte di
appello di Milano non ha tenuto conto del corretto comportamento processuale del
ricorrente e, quanto al mancato raggiungimento dell’accordo transattivo con la
parte civile Equitalia Nord S.p.A., adoperato per negare le circostanze attenuanti
generiche, non ha valutato lo sforzo compiuto dall’imputato ed il suo concreto
attivarsi per la definizione degli aspetti civilistici e risarcitori della vicenda che qui
ci occupa.
La Corte di appello di Milano è poi incorsa, secondo il ricorrente, nella erronea
applicazione dell’art. 62 bis cod. pen. perché ha ignorato che tra gli elementi
positivi valutabili ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche,
rientrano il corretto comportamento processuale ed ogni altra situazione di
manifesto ravvedimento (cfr. Corte di Cassazione, sezione V Penale, 14.05.2009,
n. 33690); dunque, l’atteggiamento partecipativo del ricorrente rispetto al
procedimento penale ed il suo ravvedimento, concretizzatosi nel tentativo di
addivenire un accordo con la parte civile, avrebbero dovuto essere positivamente
valutati dal Giudicante.
Vi è stata dunque, secondo il ricorrente, una errata applicazione dell’art. 62
bis cod. pen., censurabile ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen.

4. Con il terzo motivo il ricorrente ha chiesto l’annullamento della sentenza ai
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dell’imputato perché il fatto non sussiste, non essendo un trust nullo idoneo a

sensi dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. per l’inosservanza o erronea applicazione
dell’art. 165 cod. pen.
Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello ha rigettato il motivo di appello
relativo alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al
pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno (pag. 4, 5
sentenza) richiamando un orientamento non pacifico quanto all’indagine da
compiere sulle condizioni economiche dell’imputato (Corte di Cassazione, Sezione
II Penale, 11.06.2015 n. 26221).

decisione con cui il giudice subordina la concessione della sospensione condizionale
della pena al risarcimento del danno contestualmente liquidato, senza procedere,
con apprezzamento motivato, alla valutazione, sia pure sommaria, delle condizioni
economiche dell’imputato e della sua concreta possibilità di sopportare l’onere del
risarcimento pecuniario» (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, 02.02.2015 n.
21557).
Il ricorrente segnala che la Corte di Cassazione ha affermato che il giudice
deve effettuare un motivato apprezzamento delle condizioni economiche
dell’imputato, qualora il medesimo – come nel caso di specie – «abbia
diligentemente allegato specifiche circostanze dirette a dimostrare l’assoluta
incapacità a soddisfare la condizione imposta» (Corte di Cassazione, Sezione IV
Penale, 05.04.2016 n. 25685).
L’incertezza interpretativa su tali punti non può risolversi ai danni
dell’imputato ma secondo il principio del favor rei.
La Corte d’Appello poi, secondo il ricorrente, non ha chiarito le ragioni per
aderire all’orientamento più restrittivo e, se avesse correttamente valutato le
circostanze del caso concreto (la condanna al risarcimento del danno di C
172.670,43 e la confisca del profitto anche per equivalente sui beni immobili
conferiti nel Trust Alisa, nei limiti della quota immobiliare dell’imputato), sarebbe
giunta a conclusioni differenti in relazione alla subordinazione del beneficio
concesso al risarcimento del danno. Secondo il ricorrente vi è una sostanziale
duplicazione delle conseguenze sanzionatorie del reato sulla sfera economicopatrimoniale dell’imputato, risolvendosi in un pregiudizio eccessivamente gravoso
per lo stesso.

5. Con il quarto motivo, in via subordinata, il ricorrente chiede l’assegnazione
del ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ex artt. 610 comma 2 e 618
cod. proc. pen. per dirimere il contrasto interpretativo sull’art. 165 cod. pen. ed in
particolare sulla sussistenza o meno dell’obbligo per il giudice di merito di
accertare le condizioni economiche dell’imputato prima di subordinare la
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Il ricorrente invece richiama un altro orientamento che ritiene «illegittima la

sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo
di risarcimento del danno ex art. 165 cod. pen.

Considerato in diritto

1. Va preliminarmente rilevato che la sentenza di primo grado, richiamata e
condivisa dalla Corte di appello di Milano, ha ritenuto simulato il Trust Alisa
realizzato dall’indagato – e dalla moglie – con atto notarile del 29 ottobre 2010,

costituito al solo fine di sottrarsi al pagamento del debito erariale accumulato dal
ricorrente.
La natura simulatoria e la finalità fraudolenta della costituzione del Trust Alisa
è stata ritenuta in quanto il trust:
– fu costituito il giorno dopo la terza comunicazione di irregolarità (le altre due
comunicazioni furono del 18 aprile 2009 e 14 giugno 2010) ed otto cartelle di
pagamento;
– ha una struttura giuridica particolare, con la coincidenza nella persona del
Palazzo del disponente, del trustee e del beneficiario.
Il trust, qualificato nelle sentenze quale trust cd. autodichiarato o shame trust,
è stato ritenuto atto simulato, così come indicato anche nel capo di imputazione,
cioè tale da essere idoneo ad interporre alle pretese di Equitalia lo schermo
segregativo proprio di tale istituto.

2. Va rilevato che la sentenza di primo grado da atto che non è stata
contestata dalla difesa la ricostruzione del fatto, per la quale il trust è stato
realizzato al fine di sottrarre i beni all’esecuzione del fisco.
Ed invero, sia con l’atto di appello che con il ricorso per cassazione, in estrema
sintesi, l’imputato ha contestato che le due sentenze abbiano qualificato il Trust
Alisa – ritenuto uno shame trust, trust cd. autodichiarato – quale atto simulato e
non nullo.
Secondo la tesi del ricorrente, la nullità dello shame trust determina che l’atto
non produca effetti nei confronti dell’Agenzia delle entrate; non producendo
l’effetto segregativo il reato non sussiste, non essendo un trust nullo idoneo a
«rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva» e,
quindi, ad integrare la fattispecie di pericolo concreto ex art. 11 D.Lgs. 74/2000.
I riferimenti normativi invocati dal ricorrente non sono corretti in quanto l’art.
2465 ter c.c. non esiste ed il richiamo all’art. 2465 cod.civ. è inconferente: tale
norma regola i poteri dei soci accomandatari.

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con il quale il patrimonio immobiliare dei due fu segregato all’interno del trust e

Il vizio dedotto dalla difesa con il ricorso per cassazione è relativo però alla
mancanza ed alla contraddittorietà interna della motivazione.
Il motivo di ricorso intende sollecitare allora il sindacato del giudice di
legittimità sulla motivazione, affinché si verifichi che sia effettiva, ovvero
realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto alla base
della decisione adottata, e non internamente contraddittoria, ovvero esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra

3. Il primo punto del motivo di ricorso, relativo alla mancanza della
motivazione, è manifestamente infondato: la Corte di appello ha ampiamento
risposto ai motivi di appello (pagine da 2 a 4 della sentenza), con una motivazione
che in alcun modo può ritenersi inesistente o apparente.

3.1. La Corte di appello di Milano ha in primo luogo richiamato la decisione di
primo grado relativa alla natura simulatoria del trust e, nel confermare la
sentenza, ha anche esplicitamente condiviso la qualifica di atto simulato del trust
fondata sull’analisi degli elementi di prova e dell’atto costitutivo del trust.
Quindi, la Corte di appello di Milano ha rigettato la tesi difensiva relativa alla
nullità del trust cd. autodichiarato o “shame trust”, di per sé, per la sola
coincidenza tra disponente e trust, con una pluralità di argomenti.
Quanto alla questione relativa alla natura giuridica del trust cd. autodichiarato
o “shame trust”; la motivazione si è confrontata con gli orientamenti delle sezioni
civili della Corte di Cassazione (sentenze nn. 3886, 3735 e 3737) che hanno
affermato la necessità, per la sussistenza del trust, del trasferimento a terzi da
parte del settlor dei beni costituiti in trust, quale tratto tipologicamente
caratteristico.
La Corte di appello di Milano, dopo aver affermato che il trust autodichiarato
può far sorgere fortissimi sospetti di essere simulato, e quindi di essere una
struttura fittizia o una costruzione artificiosa «come nel caso in esame”, ha
affermato che non ogni trust autodichiarato è automaticamente inesistente o nullo,
come invece sostiene la difesa: ciò perché le leggi straniere che disciplinano il trust
ammettono il trust autodichiarato; perché nell’ordinamento italiano esistono una
pluralità di fattispecie di vincoli auto-istituiti ed anche nella prassi vi sono
applicazioni di tale schema (come gli escrow accounts, cioè i depositi di somme in
garanzia che un professionista riceve per conto dei suoi clienti).
La Corte di appello di Milano si è anche confrontata con la sentenza del
Tribunale di Monza indicata dalla difesa, rappresentando che la convenzione

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le affermazioni in essa contenute.

dell’Aja non disciplina direttamente i trust, ma stabilisce le condizioni alle quali un
trust straniero debba essere riconosciuto e sia produttivo di effetti.
Secondo la Corte di appello di Milano, la legge straniera che conosce il trust
ed adottata nell’atto costitutivo del trust Alisa, è la Jersey Law del 1984 (e
successive modifiche) che ammette il trust autodichiarato.
Tale affermazione della Corte di appello di Milano è corretta, ove si considerino
in particolare l’art. 10 comma 12 della Jersey Law che prevede che «Un Disponente
od un trustee di un trust possono essere anche Beneficiari dello stesso trust» e

3.2. La Corte di appello di Milano ha rappresentato altresì che il trust
autodichiarato non è neanche contrario a norme inderogabili, alle norme di
applicazione necessaria ed a quelle relative l’ordine pubblico, perché nessuna di
queste norme riguarda, sia pure indirettamente, la possibilità di dar vita al trust
autod ichiarato.
Dopo aver ribadito la natura simulatoria del trust Alisa in quanto la perdita del
controllo dei beni del disponente è solo apparente, la Corte di appello di Milano ha
affermato che la nullità del trust non deriva dalla coincidenza tra disponente e
trustee («trustee non significa necessariamente “terzo” e ben potrebbe coincidere
con il disponente») ma dall’analisi complessiva delle clausole dell’atto, dalla
verifica in concreto dei poteri che il disponente si riserva ed attribuisce al trustee,
sia che queste figure s’identifichino sia si tratti di soggetti diversi.
Deve quindi ritenersi che la Corte di appello di Milano, avendo qualificato in
più passaggi il trust come simulato, abbia effettuato tale verifica dell’atto e abbia
escluso la nullità del trust Alisa.
Infine, la Corte di appello di Milano ha ritenuto correttdle argomentazioni del
giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano per il quale il processo civile
di esecuzione da parte di Equitatia non avrebbe potuto prescindere da una previa
declaratoria giudiziale di accertamento della nullità o inesistenza del trust e
l’iscrizione di ipoteca sui beni conferiti in trust si sarebbe scontrata comunque con
l’effetto segregativo interposto dal trust stesso. L’azione di riscossione di Equitalia
sarebbe stata comunque impedita.

4. Quanto al motivo di ricorso relativo alla contraddittorietà interna della
motivazione, deve osservarsi che la Corte di appello ha tratto conclusioni del tutto
coerenti con le sue premesse.
La Corte di appello ha infatti rilevato che l’atto costitutivo del trust Alisa
richiamava la Jersey Law che ammette il trust autodichiarato; ha proceduto
all’analisi dell’atto e lo ha ritenuto simulato e non nullo, in base all’analisi delle

l’art. 9 sui poteri del disponente.

clausole e della sua struttura complessiva (anche la moglie del ricorrente è
disponente per la sua quota di proprietà degli immobili e trustee del complesso dei
beni conferiti; beneficiaria in via successiva e’ la loro figlia Isabella Palazzo).
L’aver rilevato poi l’esistenza di soluzioni giuridiche non univoche sul trust
autodichiarato è del tutto irrilevante ai fini della decisione, fondata sulla
valutazione del concreto assetto di interessi realizzato con il trust Alisa per effetto
dell’adozione della Jersey Law.

la motivazione della sentenza di appello sulla soluzione di diritto alla questione
incidentale civile sul vizio dello sham trust (atto nullo o simulato) e l’erronea
applicazione dell’art. 11 del d.lgs. 74/2000; si chiede in sostanza di qualificare Io
sham trust, il trust cd. autodichiarato, quale nullo e di ritenere escluso dall’ambito
applicativo dell’art. 11 l’atto nullo, pur se commesso al fine di sottrarsi al
pagamento delle imposte.
Per come proposto, il motivo è inammissibile, perché quello relativo alla
contraddittorietà della motivazione contesta la soluzione in diritto data dalla Corte
di appello di Milano, sulla questione incidentale e sugli elementi costitutivi del
delitto ex art. 11 del d.lgs. 74/2000 e quindi non è proponibile ai sensi della lettera
e) dell’art. 606 cod. proc. pen.
Cfr. Cass. Sez. 1, n. 16372 del 20/03/2015 Rv. 263326 , De Gennaro: in
materia di questioni di diritto, non è ammissibile la deduzione di (ritenuti) vizi di
motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in quanto la mancanza,
la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione sono configurabili
“soltanto con riguardo ad elementi di fatto che il giudice abbia trascurato o di cui
abbia dato una valutazione illogica o contraddittoria, e non con riguardo” alle
questioni di diritto né alle “argomentazioni giuridiche delle parti”. Se, infatti, le
questioni e le argomentazioni in parola sono fondate, “il fatto che il giudice le abbia
disattese (motivatamente o meno) da luogo al diverso motivo di censura costituito
dalla violazione di legge”, mentre, se “sono infondate, … il giudice le abbia
disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale”
(così, da ultimo, Sez. U., n. 29817 del 17/07/2014, Cukon, non massimata sul
punto, e le sentenze ibidem indicate: Sez. 1, n. 4931 del 17/12/1991 – 1992,
Parente, Rv. 188913; Sez. 5, n. 4173 del 22/02/1994, Marzola ed altri, Rv.
197993; Sez. 2, n. 3706 del 21/01/2009, Haggag, Rv. 242634; Sez. 2, n. 19696
del 20/05/2010, Maugeri, Rv. 247123).
Cfr. nello stesso senso Cass. Sez. 3, sentenza n. 6174 del 23/10/2014,
(dep. 2015) Rv. 264273, Monai: Nel giudizio di cassazione il vizio di motivazione
non è denunciabile con riferimento a questioni di diritto, posto che il giudice di
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5. Analizzando il contenuto del ricorso emerge che la difesa contesta, in realtà,

merito non ha l’onere di motivare l’interpretazione prescelta, essendo sufficiente
che il risultato finale sia corretto. (In motivazione, la Corte ha osservato che le
lett. b) e c) dell’art. 606 cod. proc. pen., si riferiscono all’inosservanza ed
all’erronea applicazione della legge e non fanno alcun riferimento al percorso
logico-argomentativo del giudice, a differenza della successiva lett. e), che si
riferisce, peraltro, ai profili in fatto della motivazione).
Per altro, una volta che il trust sia stato qualificato quale atto simulato, la
soluzione in diritto, ai fini della sussistenza del reato ex art. 11 del d.lgs. 74/2000

6. La tesi difensiva non è neanche corretta in punto di diritto.
Va ricordato che l’art. 11 del d.lgs. 74/2000 sanziona chiunque, al fine di
sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di
interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un ammontare
complessivo superiore a 50.000,00 Euro, aliena simulatamente o compie altri atti
fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace
la procedura di riscossione coattiva.
Come affermato da Cass. Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, Rv. 268798, Di
Tullio, attraverso l’incriminazione della condotta prevista dall’art. 11 del d.lgs.
74/2000 il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo
dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza
tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente
sottratti alle ragioni dell’Erario.
Cfr., sul punto, Cass. Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251077,
secondo cui l’oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento
di imposte non è il diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica data dai
beni dell’obbligato, potendo quindi il reato configurarsi anche qualora, dopo il
compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell’imposta
e dei relativi accessori.
La norma punisce due distinte condotte: l’alienazione simulata ed il
compimento di atti fraudolenti.
L’alienazione è “simulata” quando è finalizzata a creare una situazione
giuridica apparente diversa da quella reale, quando il programma contrattuale non
corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione assoluta) o in parte
(simulazione relativa) alla effettiva volontà dei contraenti. Si è affermato che in
tale condotta rientrino anche i casi di interposizione fittizia di persona (cfr. Cass.
Sez. 3, n. 40319 del 2016, Scandiani).
Per “atto fraudolento” (cfr. in tal senso Cass. Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016,
Rv. 268798, Di Tullio) deve intendersi qualsiasi atto che, non diversamente dalla
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è del tutto corretta.

alienazione simulata, sia idoneo a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione
del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o
comunque rendendo più difficoltosa l’azione di recupero del bene in tal modo
sottratto alle ragioni dell’Erario.
Nel novero degli «altri atti fraudolenti» sono ricompresi sia atti materiali di
occultamento e sottrazione dei propri beni (sparizione materiale di un bene senza
alienazione), ma anche atti giuridici diretti, secondo una valutazione concreta, a
sottrarre beni al pagamento delle imposte (in tal senso Cass. Sez. 3 n.578/2017

Di Tulli) se posti in essere a tale fine, la messa in atto, da parte degli
amministratori, di più operazioni di cessioni di aziende e di scissioni societarie
simulate finalizzate a conferire ai nuovi soggetti societari immobili, la costituzione
di un fondo patrimoniale, la costituzione fittizia di servitù, di diritti reali di
godimento’, la concessione di locazione, la ricognizione di debito.
Secondo il costante indirizzo della giurisprudenza, il delitto è un reato di
pericolo concreto; in ossequio al principio di offensività, si deve valutare l’idoneità
“ex ante” dell’atto a mettere in pericolo la garanzia patrimoniale del debito
erariale. La diminuzione della garanzia può essere anche solo parziale, non
necessariamente totale (Sez. 3, n. 6798 del 16/12/2015, dep. 2016, Arosio, Rv.
266134), purché effettivamente in grado di mettere a rischio l’esazione del credito.

7. La tesi difensiva di fatto esclude dall’ambito applicativo dell’art. 11 gli atti
nulli, in contrasto con la formulazione dell’art. 11 e con la sua natura di reato di
pericolo; un contratto fraudolento concluso in violazione dell’art. 11 del d.lgs.
74/2000 può essere nullo ma concretizzare la condotta penalmente rilevante.
Ed invero, l’art. 11 del d.lgs. 74/2000 contiene un esplicito divieto, sanzionato
penalmente, di non porre in essere atti (fra cui rientrano tutti gli atti giuridici,
compresi i contratti) fraudolenti idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la
procedura di riscossione coattiva.
La norma è diretta alla tutela di un interesse pubblico generale: evitare che il
contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche, dovere
per altro previsto dall’art. 53 della Costituzione in ragione della capacità
contributiva.
Il divieto previsto dall’art. 11, avendo rilevanza penale, non ha alcuna
possibilità di esenzione dalla sua osservanza e pertanto la norma che impone il
divieto deve essere considerata imperativa: di conseguenza, il contratto concluso
con la finalità fraudolenta prevista dall’art. 11 ed in violazione del divieto ivi
previsto è nullo per contrasto con norma imperativa, ai sensi dell’art. 1418 c.c.

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Tartaglia), come ad esempio (cfr. Cass. Sez. 3 n. 3011 del 05/07/2016 Rv. 268798

In tal caso infatti, si concretizza la violazione di disposizioni di ordine pubblico
in ragione delle esigenze d’interesse collettivo sottese alla tutela penale,
trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti
perseguite dalla disciplina sull’annullabilità dei contratti.

8. Il carattere fraudolento di determinate operazioni negoziali presuppone,
quale dato pressoché costante, che l’attività fraudolenta sia nascosta attraverso lo
schermo formale di attività o documenti apparentemente regolari (Cass. Sez. 3,

l’alienazione di un bene – però caratterizzato da una componente di artificio o di
inganno (Cass. Sez. 3, n. 25677 del 16/5/2012, Caneva e altro, Rv. 252996).
Realizzando il trust – anche ove lo si ritenga nullo secondo le norme del codice
civile, perché sham trust, con la coincidenza tra disponente e trustee – il ricorrente
ha creato uno schermo formale, un diaframma, tra il patrimonio personale e
proprietà costituita in trust, nel quale è confluito il suo patrimonio immobiliare; e
ciò ha fatto, in maniera del tutto incontestata, per la finalità elusiva delle ragioni
creditorie erariali (sulla rilevanza penale di una tale condotta cfr. Cass. Sez. 5, n.
13276 del 24/01/2011, Rv. 249838, Orsi, che ha ritenuto sussistente il fumus del
delitto ex art. 11 d.lgs. 74/2000 nel caso di sham trust).
Tale schermo formale però può cadere solo quando si riveli la situazione di
mera apparenza; quando cioè emerga che, pur nella presenza formale del trust,
l’indagato continui ad amministrare i beni, conservandone la piena disponibilità.
L’atto fraudolento allora, pur se ha natura di sham trust, rende più difficoltosa
l’azione di recupero del bene, perché già con il trust è stato sottratto in un primo
momento alle ragioni dell’Erario; in secondo momento perché comunque, essendo
l’atto giuridico formalmente esistente, si dovrà dimostrare la sua nullità,
procedendo giudizialmente per ottenere la sua eliminazione dal mondo giuridico e
solo dopo procedere all’esecuzione sul bene.

9. Con il secondo motivo la difesa deduce i vizi di cui alle lett. b) ed e) dell’art.
606 cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 62 bis c.p. e
per mancanza della motivazione in ordine all’omessa concessione delle circostanze
attenuanti generiche.
Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello di Milano ha fatto una corretta applicazione dell’art. 62 bis
cod. pen.; non è incorsa in alcun vizio della motivazione.
Con l’atto di appello la difesa aveva chiesto la concessione delle circostanze
attenuanti generiche per la partecipazione attiva dell’imputato al procedimento ed
il tentativo di raggiungere un accordo con il fisco.
11

n. 40319 del 2016, Scandiani) o l’adozione di un atto formalmente lecito – come

La Corte di appello di Milano ha negato l’applicazione delle circostanze
attenuanti generiche rilevando che il ricorrente «… si è reso per più anni
inadempiente agli obblighi fiscali, preordinando un sistema fraudolento per
impedire o comunque ostacolare l’agente riscossore nelle sue attività di recupero
dei crediti. Il tentativo di transazione effettuato dall’appellante non risulta essere
stato portato poi a compimento con accordo definitivo».
La Corte di appello ha dato una motivazione del tutto esaustiva ed ha rigettato
la richiesta sulla base della negativa valutazione della personalità del ricorrente.

adeguatamente motivata quando il giudice, a fronte di specifica richiesta
dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle
plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti
tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi
sui quali la richiesta stessa si fonda (in tal senso Cass. Sez. 3, n. 35570 del
30/05/2017 Rv. 270694, Di Luca).
Per il costante indirizzo della Corte di Cassazione, ai fini della concessione o
del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a
prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che
ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio,
sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità
del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso
(così Cass. sez. 2, n. 3609 del 18.1.2011, Sermone ed altri, rv. 249163; conf., ex
plurimis, sez. 6, n. 7707 del 4.12.2003 dep. il 23.2.2004, Anaclerio ed altri, rv.
229768).

9. Con il terzo motivo si chiede l’annullamento della sentenza ai sensi dell’art.
606 lett. b) c.p.p., per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 165 c.p.
Tale motivo è fondato.
Con l’atto di appello la difesa aveva chiesto, come anche già effettuato in
primo grado, di non subordinare la sospensione condizionale della pena al
risarcimento del danno; con l’appello, in più, la difesa aveva prodotto alcuni
documenti per dimostrare l’incapacità economica dell’imputato.
La Corte di appello non ha motivato sulla subordinazione della sospensione
condizionale della pena perché ha ritenuto di aderire al principio di diritto espresso
da Cass. N. 26221 del 2015. Di conseguenza, non ha risposto allo specifico motivo
di appello.
L’interpretazione fornita dalla Corte di appello dell’art. 165 cod. pen. non è
corretta.

12

Va ricordato che l’esclusione delle circostanze attenuanti generiche è

Ed invero, aderendo a quanto già affermato da Cass. Sez. 3, n. 29996 del
17/05/2016, Rv. 267352, Lo Piccolo, in motivazione, deve affermarsi il seguente
principio di diritto: «nel caso in cui il beneficio della sospensione condizionale della
pena sia subordinato all’adempimento dell’obbligo di risarcimento del danno, il
giudice della cognizione non è tenuto a svolgere alcun accertamento sulle
condizioni economiche dell’imputato; il giudice deve, tuttavia, effettuare un
motivato apprezzamento di esse, se dagli atti emergono elementi che consentono
di dubitare della capacità di soddisfare la condizione imposta ovvero quando tali

Nello stesso senso Cass. Sez. 4, n. 25685 del 05/04/2016, Rv. 267372,
Scaretti: In tema di sospensione condizionale della pena subordinata al
risarcimento del danno, il giudice, pur non essendo tenuto a svolgere un
preventivo accertamento delle condizioni economiche dell’imputato, deve tuttavia
effettuare un motivato apprezzamento di esse, qualora l’imputato abbia
diligentemente allegato specifiche circostanze dirette a dimostrare l’assoluta
incapacità a soddisfare la condizione imposta.
Dunque, deve disporsi l’annullamento della sentenza impugnata
limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al
pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, con rinvio per
nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Trattandosi di annullamento parziale, per altro limitato alla sola
subordinazione della sospensione condizionale della pena, ai sensi dell’art. 624
c.p.p., la sentenza ha autorità di cosa giudicata quanto alle altre parti
(responsabilità, pena principale e pena accessoria, condanna al pagamento delle
spese processuali, concessione della sospensione condizionale della pena,
confisca, condanna al risarcimento del danno ed al pagamento delle spese
processuali in favore della parte civile).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale
della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di
appello di Milano.
Così deciso il 07/11/2017.

elementi vengono forniti dalla parte interessata in vista della decisione».

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