Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20854 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 20854 Anno 2018
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: SEMERARO LUCA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PIAVE EMILIO nato il 14/06/1956 a ROMA

avverso la sentenza del 29/10/2015 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO
Udito il Proc. Gen., in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCO
SALZANO
che ha concluso per l’annullamento senza rinvio LIMITATAMENTE ALLA
SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA
Udito il difensore Avv. Giovanni Luca Nibali;
il difensore presente si riporta ai motivi

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Data Udienza: 07/11/2017

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza del 29.10.2015, la Corte di Appello di Roma ha
parzialmente accolto l’appello di Emilio Piave ed ha ridotto la pena irrogata dal
Tribunale di Roma con la sentenza del 17.2.2014 a mesi 3 di arresto ed euro 6.200
di ammenda.
Emilio Piave è stato condannato per aver realizzato un manufatto in muratura,
composto da piano seminterrato e piano rialzato, in assenza di permesso di

denuncia di inizio lavori ai sensi del d.p.r. 380 del 2001.

2. Il difensore di Emilio Piave ha proposto ricorso avverso la sentenza della
Corte di Appello di Roma del 29.10.2015; segnala la difesa che la Corte di appello,
pur riducendo la pena in accoglimento parziale dell’appello, non ha però concesso
la sospensione condizionale della pena, con conseguente violazione e falsa
applicazione degli artt. 163 e 164 cod. pen. e vizio di motivazione.
Secondo la difesa, la sentenza non ha tenuto conto che la sospensione
condizionale della pena può essere concessa anche due volte, laddove il giudice
presume che il colpevole si asterrà dal commettere reati (art. 164 comma 1 cod.
pen.); inoltre, secondo la difesa, la Corte di appello di Roma ha negato il beneficio
in base ad una precedente condanna per reati di specie diversa e risalente. La
difesa ritiene quindi che la motivazione della sentenza della Corte di appello sia
insufficiente, non avendo tenuto conto che il precedente penale è risalente nel
tempo, e non può fondare una prognosi negativa.
Inoltre, non è stata considerata la personalità dell’indagato, il quale a parte i
due episodi per i quali è stato giudicato, non è stato coinvolto in altri fatti, lavora
come libero professionista e conduce una normale vita familiare; non si è tenuto
conto che l’edificazione è avvenuta a fini abitativi e senza intenti speculativi o
imprenditoriali; una valutazione più approfondita avrebbe condotto ad altre
conclusioni.
Secondo la difesa, la motivazione è poi contraddittoria in quanto la Corte di
appello ha ridotto la pena, ritenendo così il minimo disvalore giuridico del fatto, ed
implicitamente ha ritenuto non particolare la capacità a delinquere dell’imputato,
posto che la condotta è stata posta in essere per le esigenze della propria famiglia.
In conclusione, la difesa ritiene la motivazione priva di logica e chiede
l’annullamento della sentenza impugnata.
Con la memoria depositata il 24 aprile 2017, la difesa ha rilevato che il giudizio
prognostico avrebbe dovuto essere formulato ex art. 133 cod. pen., non

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costruire, senza progetto esecutivo e direzione dei lavori, senza la prescritta

menzionato nella motivazione della sentenza ed ha ribadito le argomentazioni già
espresse con il ricorso.

Considerato in diritto

1. Va preliminarmente rilevato che nel dispositivo della sentenza, a differenza
che nella motivazione in cui la pena è correttamente indicata, la Corte di Appello
di Roma ha indicato che la condanna ha avuto ad oggetto la pena pecuniaria della

correttamente indicata in quella dell’ammenda; dunque, non vi è alcuna
contraddizione tra il dispositivo pubblicato e la motivazione della sentenza, poiché
entrambe fanno riferimento alla pena dell’ammenda.

2. Il ricorso è inammissibile perché i motivi sono manifestamente infondati.

2.1. È del tutto insussistente il vizio di violazione di legge, in quanto la Corte
di appello di Roma ha ritenuto non applicabile la sospensione condizionale della
pena per la sussistenza di una causa impeditiva prevista dalla legge. La Corte di
appello di Roma ha infatti ritenuto di non poter formulare una prognosi favorevole
circa l’insussistenza del pericolo di reiterazione dei reati, ai sensi dell’art. 164
comma 1 cod. pen., in base ad una precedente condanna del ricorrente per il
delitto di violazione di sigilli.

2.2. Sono poi inammissibili perché manifestamente infondate le doglianze
relative alla motivazione.
La motivazione della Corte di appello di Roma è del tutto immune da censure,
soprattutto ove la si valuti complessivamente.
Deve ricordarsi che secondo l’orientamento costante della Corte di
Cassazione, (Cass. Sez. 2 n. 7986 del 18 novembre 2016 Rv. 269217, La Gumina
e altro) il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni
svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per implicito
o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità
con la ricostruzione effettuata.
Va in primo luogo osservato, contrariamente a quanto sostiene la difesa, che
la riduzione della pena è stata effettuata in relazione alla gravità del reato,
adeguando così la pena, e non in relazione alla personalità dell’imputato.
In secondo luogo, la Corte di appello, nel Fire le circostanze attenuanti
generiche, ha tracciato un ulteriore quadro della personalità negativa dell’imputato
che rafforza la prognosi neelert-i.vapoco prima effettuata; la Corte di appello di Roma

C)
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multa. Nel dispositivo pubblicato all’esito dell’udienza la pena è stata però

infatti, ha rilevato che l’imputato, oltre ad avere un precedente specifico per
violazione di sigilli, ha continuato a violare la legge penale realizzando la
costruzione senza permesso di costruire, proseguendo la condotta nonostante il
sequestro; ha ottenuto il dissequestro al fine di demolire la costruzione ma poi
non l’ha eseguita.
Dunque, la complessiva motivazione della sentenza ha esaminato in maniera
logica e coerente tutti i motivi di appello.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

delle spese del procedimento.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n.
186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato
presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di
euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle
Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 07/11/2017.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento

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