Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20831 del 29/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 20831 Anno 2018
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
LA ROSA LUIGI nato il 20/04/1946 a MESSINA
AMATO ANTONIO nato il 28/11/1961 a NAPOLI

avverso la sentenza del 20/10/2016 della CORTE APPELLO di MESSINA.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO MOGINI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ALFREDO
POMPEO VIOLA che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

Uditi i difensori:
– avvocato STRANGI ANTONIO del foro di MESSINA difensore di LA ROSA LUIGI
il quale, nell’associarsi alle richieste del P.G., insiste nell’accoglimento dei motivi
di ricorso.
– avvocato SADA GIOVANNA del foro di MESSINA difensore di AMATO ANTONIO
che nel riportarsi ai motivi di ricorso insiste nel loro accoglimento.

Data Udienza: 29/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Rosa Luigi e Amato Antonio ricorrono per mezzo dei rispettivi difensori di fiducia
avverso la sentenza della Corte di appello di Messina in data 20/10/2016 che, in accoglimento
dell’appello del pubblico ministero, ha riformato quella di assoluzione perché il fatto non sussiste
pronunciata dal Tribunale di Messina ad esito del giudizio di primo grado e ha condannato
entrambi i ricorrenti per il reato di cui all’art. 328, comma 1, cod. pen. loro ascritto in
imputazione per avere, il primo quale direttore generale dell’A.M.A.M. (Azienda Meridionale

del Comune di Messina) e il secondo quale responsabile del Dipartimento Urbanizzazioni primarie
e secondarie del Comune di Messina, indebitamente rifiutato un atto di ufficio che per ragioni di
igiene e sanità doveva essere compiuto senza ritardo, in particolare omettendo di provvedere ai
lavori di urgente manutenzione e ristrutturazione dell’impianto di depurazione delle acque reflue
di Massa San Giorgio, dal quale fuoriuscivano liquami e odori nauseabondi, con pericolo per la
pubblica incolumità anche per la parziale assenza di copertura e l’avanzato stato di corrosione
della struttura ricadente in area delimitata da cancello privo di lucchetto ed interamente invasa
da sterpaglie. Fatti accertati in Messina il 18/11/2009 e il 14/12/2010.

2. La Rosa Luigi censura la sentenza impugnata deducendo i seguenti motivi di ricorso.

2.1. Violazione degli artt. 178, lett. c), e 484, comma 1, cod. proc. pen. per omessa citazione
in appello della parte civile De Pasquale Adele, regolarmente costituitasi nel giudizio di primo
grado.

2.2. Contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza impugnata, la quale si riporta
espressamente e integralmente alla ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale, secondo cui il
ricorrente avrebbe posto in essere tutti gli accorgimenti e tutte le iniziative consentite dalla sua
qualifica e dalle sue competenze, senza poi riuscire a fornire adeguata e coerente giustificazione
dell’opposto esito decisorio.

2.3. Errata applicazione della legge penale con riferimento all’art. 328 cod. pen., avendo la
Corte territoriale ritenuto integrato l’elemento materiale del delitto contestato benché non risulti
in concreto che il La Rosa abbia mai in forma esplicita rifiutato od omesso, in modo indebito, il
compimento di uno specifico atto del suo ufficio.
In realtà, l’unico addebito che la sentenza impugnata muove al ricorrente è quello, generico,
di aver tenuto un comportamento inerte limitatamente ad un breve arco temporale – dal 2007
al 2009, peraltro esterno alla contestazione – e senza alcun accertamento in ordine alla
illegittimità di tale condotta. Così facendo, la Corte distrettuale avrebbe assimilato la supposta

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Acque Messina, municipalizzata responsabile del servizio acquedotti e depurazione acque reflue

mera inerzia alla attiva condotta di rifiuto che, sola, integra la fattispecie di cui al primo comma
dell’art. 328 cod. pen.
Inoltre, la sentenza in esame ha ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto
contestato, confondendo l’addebito per dolo con quello per semplice colpa (consistita nella mera
conoscenza da parte del ricorrente della situazione di pericolo con conseguente sua volontaria
inerzia), estraneo alla fattispecie delittuosa in questione.

3.1. Il primo motivo di ricorso è analogo a quello descritto al precedente punto 2.1.

3.2. Col secondo e terzo motivo di ricorso, il ricorrente deduce errata applicazione della legge
penale, ed in particolare dell’art. 328, comma 1, cod. pen., e vizi di motivazione, in relazione
alla carenza di risorse di bilancio necessarie per finanziare i lavori di manutenzione straordinaria
dell’impianto in questione, situazione acclarata dalla sentenza di primo grado e del tutto ignorata
da quella impugnata. Inoltre, la decisione in esame non distingue adeguatamente le attribuzioni
proprie all’A.M.A.M. da quelle del Comune di Messina, e all’interno del Comune, tra quelle proprie
agli organi politici – titolari del potere di definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare,
nonché dell’individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare
alle diverse finalità – e quelle dei dirigenti, competenti in ordine all’attuazione degli obiettivi e
dei programmi definiti con gli atti di indirizzo.
La Corte territoriale ha ritenuto integrato l’elemento materiale del delitto contestato benché
non risulti in concreto che il ricorrente abbia mai in forma esplicita rifiutato od omesso, in modo
indebito, il compimento di uno specifico atto del suo ufficio.
In realtà, l’unico addebito che la sentenza impugnata muove al ricorrente è quello, generico,
di aver tenuto un comportamento inerte limitatamente ad un breve arco temporale e senza alcun
accertamento in ordine alla illegittimità di tale condotta. Così facendo, la Corte distrettuale
avrebbe assimilato la supposta mera inerzia alla attiva condotta di rifiuto che, sola, integra la
fattispecie di cui al primo comma dell’art. 328 cod. pen.
Inoltre, la sentenza in esame ha ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto
contestato, confondendo l’addebito per dolo con quello per semplice colpa (consistita nella mera
conoscenza da parte del ricorrente della situazione di pericolo con conseguente sua volontaria
inerzia), estraneo alla fattispecie delittuosa in questione e già espressamente escluso dalla
sentenza di primo grado.

3.3. Violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. per mancata correlazione tra accusa e
sentenza, là dove la prima riguarda l’omessa esecuzione dei lavori di urgente manutenzione e
ristrutturazione dell’impianto di manutenzione, mentre la seconda interviene per la pretesa

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3. Amato Antonio censura la sentenza impugnata deducendo i seguenti motivi di ricorso.

inerzia del ricorrente in presenza di una situazione di pericolo e fino all’esecuzione dei lavori
appaltati nell’ottobre 2010.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Vanno in primo luogo esaminati, per ragioni di priorità logica, i motivi coi quali entrambi
i ricorrenti hanno dedotto la nullità conseguente all’omessa citazione nel giudizio di appello della
parte civile De Pasquale Adele.

Si tratta di censure inammissibili, poiché fatte valere da soggetti non legittimati. L’omessa
citazione nel giudizio di impugnazione della parte civile, presente nel giudizio di primo grado,
integra infatti una nullità di ordine generale a regime intermedio che può essere eccepita
esclusivamente dalla parte illegittimamente pretermessa e non anche dall’imputato, il quale non
vanta un interesse giuridicamente apprezzabile all’osservanza della disposizione violata (vedi,
Sez. 4, n. 47288 del 09/10/2014, R.C., Rv. 261071, con riferimento all’ omessa citazione del
responsabile civile nel giudizio di appello).

5. Fondati sono invece i motivi coi quali entrambi i ricorrenti fanno valere vizi di motivazione
relativi al giudizio di penale responsabilità per i reati loro rispettivamente ascritti.

5.1. La giurisprudenza di questa Corte ha invero costantemente affermato che la sentenza
di appello che proceda a totale riforma del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare
specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a
sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico
e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai
contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di
una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia
ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova
diversi o diversamente valutati (S.U. n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231679, sulla scia
di Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 22609; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005,
Aglieri ed altri, Rv. 233083; Sez. 5, n. 42033 de/ 17/10/2008, Pappalardo, Rv. 242330), non
potendo limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile
a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, p.c. in proc.
Rastegar, Rv. 254638).
Di più, nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria non basta, in
mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio già
acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, che
sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo
giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni
ragionevole dubbio (Sez. 6, n. 46847 del 10/07/2012, Aimone e altri, Rv. 253718; Sez. 6, n.
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1266 del 10/10/2012, Andrini, Rv. 254024; Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012, Berlingeri, Rv.
254725; Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, Ciaramella e altro, Rv. 262261), sicché, una volta
compiuto il confronto puntuale con la motivazione della decisione di assoluzione, al giudice
d’appello si impone l’obbligo di argomentare circa la configurabilità del diverso apprezzamento
come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o
inadeguatezze probatorie che abbiano minato la permanente sostenibilità del primo giudizio
(Sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Farre e altro, Rv. 254113).
Orbene, la sentenza impugnata si limita ad un diverso apprezzamento del materiale

dell’insostenibilità logica e/o processuale del primo giudizio assolutorio, necessaria per
giustificare la pronuncia di colpevolezza di entrambi i ricorrenti nel rispetto del principio del
ragionevole dubbio.
In particolare, la sentenza impugnata non si confronta con la dettagliata ricostruzione dei
fatti e dei procedimenti amministrativi attinenti alla manutenzione e alla ristrutturazione del
depuratore di Massa San Giorgio, operata dal Tribunale – con riferimento alle competenze proprie
a ciascuno dei ricorrenti e al pessimo stato in cui tale obsoleto impianto era stato consegnato
dal Comune di Messina alla A.M.A.M. – anche in relazione al concomitante progetto, poi
abbandonato per mancanza di fondi, avente ad oggetto la realizzazione del depuratore di Tono.
Inoltre, la Corte territoriale non supera in modo specifico e concludente, sulla base delle prove
acquisite, l’argomentazione della sentenza di primo grado, fondata sulla deposizione del teste
Coglitore Fernando, secondo cui la perdurante carenza di risorse economiche da destinare alla
realizzazione delle opere di ristrutturazione dell’impianto di depurazione esistente avrebbe
impedito non solo la loro esecuzione da parte del Comune di Messina – che di quell’impianto è
proprietario – ma anche l’affidamento dei lavori all’A.M.A.M. lasciando che quest’ultima
anticipasse le spese, salva futura compensazione, poiché era impossibile per l’ente pubblico
operare compensazioni in bilancio. Sicché non adeguatamente dimostrata in capo ad entrambi i
ricorrenti, alla stregua dei principi di diritto sopra illustrati, deve ritenersi la sussistenza,
affermata dalla sentenza in esame, degli elementi costitutivi, materiale e psicologico, del
contestato reato di cui all’art. 328, comma 1, cod. pen.

5.2. A tale riguardo, il Collegio ulteriormente osserva che è affetta da vizio di motivazione
ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per mancato rispetto del canone di giudizio
“al di là di ogni ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533, comma primo, cod. proc. pen., la sentenza
di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell’imputato,
in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative
ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603, comma
terzo, cod. proc. pen.. Da ciò discendendo che, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso,
qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove
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probatorio acquisito in primo grado senza applicarsi alla compiuta, specifica dimostrazione

dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nell’art.
6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata
(Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267492).
In tale quadro interpretativo, costituiscono prove decisive al fine della valutazione della
necessità di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale delle prove dichiarative
nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado fondata su una diversa

determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l’assoluzione e che, pur in presenza di
altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si
rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito del giudizio, nonché quelle che, pur ritenute
dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante,
rilevanti – da sole o insieme ad altri elementi di prova – ai fini dell’esito della condanna
(Sez. U, Dasgupta, Rv. 267491). Viene al proposito in rilievo quantomeno la sopra citata
deposizione del teste Coglitore Fernando, la quale appare, dalla trama argomentativa della
sentenza di primo grado, aver senz’altro contribuito a determinare l’esito pienamente assolutorio
di quel giudizio per entrambi i ricorrenti.
Del resto, la previsione contenuta nell’art.6, par.3, lett. d) della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell’imputato di
esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei
testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU – che
costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne – implica che il giudice di
appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione
di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea
valutazione delle prove dichiarative, non possa riformare la sentenza impugnata, affermando la
responsabilità penale dell’imputato ovvero anche ai soli fini civili, senza avere proceduto, anche
d’ufficio, ai sensi dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., a rinnovare l’istruzione
dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del
processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado

(Sez. U, Dasgupta,

Rv. 267487 – 267489).
È in questa prospettiva che appare costituzionalmente e convenzionalmente orientato il
disposto del comma 3 bis dell’art. 603 cod. proc. pen., interpolato con L. 23/6/2017, n. 103, che
ha codificato il principio prima introdotto dalla Corte EDU e poi sviluppato da questa Corte di
legittimità, secondo il quale “Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di
proscioglimento per motivi attinenti alle valutazioni della prova dichiarativa, il giudice dispone la
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale” (sulla costituzionalità del previgente art. 603 cod.
proc. pen., Sez. 2, n. 46065 del 08/11/2012, Consagra, Rv. 254726). Sicché attualmente il
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concludenza delle dichiarazioni rese, quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno

sopra descritto vizio di motivazione per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni
ragionevole dubbio” si risolve in violazione di rilevante legge penale processuale, rilevabile
d’ufficio da questa Corte.
5.3. Sono assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.
6. Alla luce di quanto fin qui esposto si rende necessario, in conclusione, l’annullamento
della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria perché, in coerente

giudizio sui punti e profili critici segnalati, anche con riferimento alle specifiche censure enunciate
dai ricorrenti, colmando – nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito – le indicate
lacune e discrasie della motivazione.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria.

Così deciso in data 29 marzo 2018.

applicazione dei principi di diritto dettati dalle richiamate decisioni di legittimità, proceda a nuovo

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