Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20807 del 05/03/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 20807 Anno 2018
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
ESPOSITO VINCENZO nato il 08/06/1974 a MILANO
VERCESI CARLO nato il 23/03/1955 a PAVIA

avverso la sentenza del 19/10/2016 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA FIDANZIA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIO MARIA
STEFANO PINELLI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita in subordine per il rigetto di entrambi
i ricorsi.
Udito il difensore
Udito l’avvocato MARMONTI MASSIMO del foro di PAVIA in difesa di Vercesi Carlo
il quale illustra il contenuto dei motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.

Data Udienza: 05/03/2018

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza emessa in data 19 ottobre 2016 la Corte d’Appello di Genova, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, ritenuta la prevalenza delle già concesse attenuanti
generiche sulle contestate aggravanti, ha ridotto la pena inflitta a Esposito Vincenzo ad anni 2
di reclusione, confermando invece la pena inflitta a Vercesi Carlo.
Al’Esposito sono stati contestati, quale amministratore di diritto fino al 15.2.2002 e poi di

21.3.2005, i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale – segnatamente, la cessione senza
contropartita di una pluralità di beni immobili di proprietà della fallita e la distrazione del
prezzo di vendita di altri cespiti immobiliari ceduti – nonché documentale.
Al Vercesi è stato a sua volta contestato il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale
quale concorrente extranus nella vendita degli immobili siti in Camogli ceduti dalla società
fallita alla I.F. Immobiliare s.r.I., di cui l’imputato, secondo l’impostazione accusatoria, era
amministratore di fatto.
Era imputato degli stessi delitti ascritti a Esposito Vincenzo anche il padre Esposito
Salvatore, il quale era stato condannato in primo grado ed era deceduto prima della sentenza
d’appello.
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore hanno proposto separatamente ricorso per
cassazione gli imputati affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo Esposito Vincenzo ha dedotto violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione sia all’elemento materiale che soggettivo del delitto di bancarotta
fraudolenta patrimoniale ascrittogli.
Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello adita ha erroneamente affermato che
l’imputato non aveva specificamente impugnato i punti da 10 a 12 del capo a) della rubrica.
In realtà, il ricorrente aveva specificato a pag. 7 dell’appello di svolgere le proprie censure
concernenti “le vendite a terzi capo a sub 12” nonché a pag. 11 di impugnare la sentenza di
primo grado con riguardo alle “vendite a terzi paragrafo a) sub 11”.
In ordine all’elemento oggettivo, la sentenza impugnata aveva omesso di pronunciarsi
sulle censure svolte dal ricorrente in atto di appello e concernenti le vendite a Mercadante
s.r.I., atteso che lo stesso giudice di primo grado aveva affermato che dopo una serie di
passaggi di proprietà la Edil Immobiliata era, infine, risultata l’acquirente di tutti gli immobili
siti in Ceriale.
Lamenta, inoltre, il ricorrente che, avendo la stessa Corte territoriale dato atto che i beni
gravati da ipoteca che avevano formato oggetto delle cessioni avevano un valore inferiore al
credito garantito, tali cessioni non avevano integrato degli atti distrattivi in quanto inidonee ad
arrecare pregiudizio sia ai creditori garantiti (i quali potevano comunque agire direttamente
2

fatto fino alla dichiarazione di fallimento della Edil Immobitalia s.r.I., dichiarata fallita in data

sugli stessi beni a garanzia del loro credito) sia agli altri terzi creditori, non danneggiati dalle
vendite, non potendo comunque ricavare da quei beni alcun che.
In ordine all’elemento soggettivo, lamenta l’Esposito che la Corte territoriale, nel sostenere
la sua consapevolezza della illiceità delle condotte del padre Esposito Salvatore, coimputato
deceduto, aveva omesso di vagliare tutte le deposizioni testimoniali, da cui era emerso che
unico deus ex machina della società fallita era il padre e che il ricorrente era una mera testa di
legno, sprovveduto per la giovane età , senza esperienza sul campo e comunque in contrasto
con il padre.

carica formale nella società fallita ma verificando chi si fosse avvantaggiato in danno dei
creditori.
2.2. Con il secondo motivo Esposito Vincenzo lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione in ordine sia all’elemento materiale che soggettivo del delitto di bancarotta
fraudolenta documentale.
In ordine all’elemento materiale, lamenta il ricorrente che già nell’atto di appello aveva
dedotto l’insussistenza del delitto ascrittogli sia perché il curatore era stato in grado di
ricostruire i bilanci, pur mancando qualche documento, sia perché solo in alcuni periodi era
stato amministratore ed aveva consegnato tutta la documentazione a chi gli era succeduto.
Su tali punti la sentenza di appello aveva omesso di motivare.
In ordine all’elemento soggettivo, assume il ricorrente che eventuali carenze nella tenuta
della contabilità dovevano essergli addebitate a titolo di colpa e non di dolo, tenuto conto che
era stato solo nel primo periodo amministratore della società.
2.3. Con il primo motivo Vercesi Carlo ha dedotto vizio di motivazione in ordine
all’appartenenza allo stesso della IF Immobiliare s.r.l..
Lamenta il ricorrente che, anche a prescindere dalla riconducìbilità al medesimo della
predetta società, la Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare il contributo fornito dallo stesso
in concreto per la distrazione dei due immobili.
2.4. Con il secondo motivo è stato dedotto dal Vercesi vizio di motivazione nella parte della
sentenza in cui sono stati considerati i ruoli di Dagrada Marco – il ricorrente in più punti
chiama tale soggetto “Granata Marco” ma si tratta di un evidente errore materiale – e
Sampellegrini Francesco.
Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata ha ritenuto erroneamente i due testi
credibili anche con riferimento all’affermazione che i due non si erano mai conosciuti, e ciò in
contrasto con le risultanze documentali e notarili.
Non corrispondeva, inoltre al vero che il Dagrada non lo avesse conosciuto, essendosi
rivolto a lui per acquisire ed utilizzare quale amministratore la I.F. Immobiliare.
Diversamente argomentando, il notaio Accolla, che aveva autenticato la sottoscrizione del
Dagrada in occasione delle vendite, avrebbe dovuto essere imputato di concorso in
bancarotta.
3

L’accertamento della sua penale responsabilità non poteva dunque fondarsi solo sulla

Inoltre, il ricorrente assume sulla scorta di una pluralità di documenti allegati al ricorso che
la patente del Dagrada ai fini della stipula del rogito presso il notaio Accolta non fu inviata via
fax dal Brusacà ma consegnata in studio dallo stesso.
2.5. Con il terzo motivo è stato dedotto vizio di motivazione in relazione alla mancanza di
valore patrimoniale degli immobili distratti.
Infatti, su tali beni gravava una ipoteca a garanzia del creditore ipotecario per un importo
superiore al loro valore.

contraddittoria motivazione della sentenza approfondendo le questioni già sollevate nei motivi
del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo dell’Esposito ed il terzo del Vercesi sono infondati.
I ricorrenti assumono che la cessione di beni gravati da ipoteca, il cui valore sia inferiore
all’ammontare del credito garantito, non sarebbe idonea ad integrare un atto distrattivo. Non
sussisterebbe, infatti, alcun pregiudizio per i creditori, sia quelli ipotecari, in quanto in grado di
soddisfarsi comunque sui beni ipotecati a prescindere dalla loro titolarità, sia tutti gli altri
creditori, che non sarebbero stati comunque soddisfatti, assorbendo totalmente il credito
garantito il valore del bene ceduto.
Questo Collegio non condivide tale impostazione.
Va preliminarmente osservato che è orientamento consolidato di questa Corte che essendo
l’oggetto giuridico del contratto di bancarotta fraudolenta patrimoniale o distrattiva, ovvero
l’interesse tutelato dall’art. 216 comma 1° n. 1 L.F., quello dei creditori alla conservazione
della garanzia dei loro crediti – che coincide con il patrimonio dell’impresa – ed avendo la
bancarotta fraudolenta patrimoniale la natura di reato di pericolo, integra un atto distrattivo
qualunque condotta dell’amministratore che determini un depauperamento del patrimonio
dell’impresa o che sia anche solo potenzialmente idonea a porre in pericolo, seppur concreto,
le ragioni dei creditori.
Nel caso di specie, sussiste un elemento dirimente ed assorbente che fa deporre per la
evidente natura distrattiva delle cessioni di immobili poste in essere dalla società fallita senza
corrispettivo in denaro, ma solo mediante accollo da parte dell’acquirente del mutuo concesso
dalle banche creditrici ipotecarie: è stato pattuito tra le parti un accollo c.d. cumulativo, senza
liberazione della fallita.
Ne è scaturita la conseguenza, ben evidenziata dalla Corte territoriale, che tali vendite hanno
determinato una “perdita secca”, essendosi la società disfatta dei propri beni mantenendo,
tuttavia, a suo carico l’intero relativo debito. In sostanza, la società fallita ha consapevolmente
continuato ad esporsi alle richieste restitutorie provenienti dagli istituti di credito ipotecari
(peraltro, non soddisfatti neppure in minima parte dalle società acquirenti) senza avere
4

2.6. Con memoria difensiva depositata il 27 febbraio 2018 è stata dedotta l’omessa e

neppure più i beni con cui farne fronte, così danneggiando in modo evidente gli altri creditori,
costretti a doversi soddisfare su beni sociali – i residui, non oggetto di tali vendite – su cui gli
istituti bancari potevano parimenti concorrere e vantare analoghe pretese.
E’ evidente quindi come tali atti dispositivi non abbiano costituito un atto “neutro” per i
creditori non ipotecari, avendo concretamente messo in pericolo la garanzia patrimoniale degli
altri creditori nei termini sopra illustrati.
2. In ordine alle censure svolte dal ricorrente con riferimento alle “vendite a terzi capo a

ricorrente nei motivi d’appello aveva formulato critiche alla sentenza di primo grado – e ciò
contrariamente a quanto evidenziato dalla sentenza impugnata a pag. 3 – ma non può
comunque ritenersi, per le considerazioni che seguono, che la Corte territoriale sia venuta
meno al proprio obbligo motivazionale.
Con riferimento alle doglianze svolte in appello sulle vendite a terzi capo sub 12, il
ricorrente Esposito aveva lamentato che, anche ammettendo che vi fosse stata la distrazione
dei prezzi di vendita dei posti auto siti in Ceriale, in ogni caso, dalle deposizioni testimoniali era
emerso che tali pagamenti era avvenuti direttamente in nero a Salvatore Esposito, padre del
ricorrente.
Orbene, sul punto, la Corte d’appello adita ha implicitamente risposto a tale censura a pag.
5 nella parte in cui ha evidenziato la responsabilità dell’imputato a norma dell’art. 40 comma
2° c.p., stante l’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale gravante sullo
stesso (nel periodo interessato dalle vendite di cui al capo a punto 12 l’Esposito era
pacificamente l’amministratore di diritto della società poi fallita).
Con riferimento alle vendite di cui a 11), va rilevata la palese genericità delle censure
svolte dal ricorrente a pag. 10 dei motivi d’appello, essendo state utilizzate argomentazioni l’insussistenza della natura distrattiva delle vendite di beni gravati da ipoteca il cui valore era
inferiore all’ammontare del credito garantito – assolutamente non pertinenti, trattandosi di
vendite in cui il corrispettivo era stato effettivamente versato dagli acquirenti, seppur distratto
dagli Esposito.
3.

Priva di fondamento è inoltre la censura secondo cui la sentenza impugnata sarebbe

venuta meno al proprio obbligo motivazionale con riferimento alle censure svolte dal ricorrente
in atto di appello e concernenti le vendite a Mercadante s.r.I..
In particolare, manifestamente infondata è l’affermazione del ricorrente secondo cui la
stessa sentenza di primo grado, nell’esaminare i passaggi di proprietà degli immobili siti in
Ceriale e ceduti dalla fallita alla Mercadante s.r.I., avrebbe riportato che la Edil Immobiliata era
stata l’acquirente finale di tali immobili e che quindi si sarebbe sostanzialmente in presenza
della fattispecie della c.s. bancarotta riparata.
In realtà, da un attento esame dei passaggi motivazionali della sentenza di primo grado
concernenti le vendite alla Mercadante s.r.l. (pagg. 10 e 11), avuto riguardo anche alle relative
5
—…

sub 12” ed alle “vendite a terzi paragrafo a) sub 11”, va osservato che effettivamente il

imputazioni in rubrica (capi al e a2), emerge che, da un lato, la fallita ha venduto alla
Mecadante s.r.l. rispettivamente con atto del 22/04/98 e 18/02/98 gli immobili identificati
rispettivamente con il mappale 1019 subalterni 106,107 e 105,108 e 109, mentre, con atto
del 15/3/99, la Edil Immobiliata ha acquistato il mappale 1019 sub. 61, bene quindi diverso da
quelli precedentemente ceduti, rispetto ai quali non vi è stata alcuna bancarotta riparata.
4. La censura formulata dal ricorrente Esposito con riferimento alla sussistenza dell’elemento
soggettivo del reato di bancarotta patrimoniale è inammissibile.

ricorrente, per quanto inesperto e pur se agiva sotto le direttive del padre, non è stato affatto
un prestanome della fallita.
Il ruolo di Esposito Salvatore nell’amministrazione della fallita fu effettivamente
preponderante ma non esclusivo, atteso che il figlio Vincenzo ha compiuto inequivoci atti
gestori, avendo sottoscritto una pluralità di contratti di vendita immobiliare, ne ha incassato i
prezzi, omettendo, tuttavia, di versare i corrispettivi nelle casse della società e di annotare le
stesse vendite nelle scritture contabili della fallita.
E’ evidente quindi che il ricorrente, in quanto amministratore della fallita, era titolare di
una posizione di garanzia per la conservazione del patrimonio della società poi fallita nonchè
responsabile della destinazione dei suoi beni a finalità sociali.
Anche ammettendo che il prezzo delle compravendite sia stato talvolta materialmente
incassato dal padre, pienamente corretta è stata la configurazione a suo carico da parte della
sentenza impugnata anche di una responsabilità ex art. 40 comma 2° cod. pen. nonché
l’addebito degli atti distrattivi sotto il profilo soggettivo, dovendo il ricorrente essersi
necessariamente reso conto, in relazione a quanto sopra illustrato (segnatamente la mancata
annotazione delle vendite nella contabilità), della illiceità delle operazioni.
In relazione a tali precise argomentazioni, l’Esposito non ha denunciato alcuno specifico vizio
motivazionale ma si è limitato, attraverso l’inammissibile richiamo al contenuto di alcune
deposizioni testimoniali, a far valere censure di mero, in quanto finalizzate a sollecitare una
rivalutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito e ad accreditare una
diversa ricostruzione del fatto.
Peraltro, tutti i richiami giurisprudenziali effettuati dal ricorrente e concernenti la figura della
c.d. testa di legno non sono pertinenti al caso di specie alla luce di quanto sopra illustrato.
5. Le censure svolte dal ricorrente in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta documentale
sono infondate.
Va preliminarmente osservato che la sentenza di primo grado ha evidenziato che la mancanza
del libro cespiti e l’irregolare tenuta degli altri libri contabili, come analiticamente riportata alle
pagine da 2 a 7, ha reso evidentemente difficoltosa per la curatrice la ricostruzione della
6

Va premesso che, in ordine a tale profilo, la sentenza impugnata ha precisato che il

situazione economica e del movimento degli affari, con particolare riferimento alle
compravendite immobiliari di cui non risulta traccia nella contabilità della fallita.
Orbene, sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la
ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono
state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati
ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza. (Sez. 5, n. 21588 del
19/04/2010 – dep. 07/06/2010, Suardi, Rv. 247965).

periodo in cui ha assunto la carica di amministratore di diritto della fallita, stante il diretto e
personale obbligo di tale amministratore di tenere e conservare le scritture contabili, sia nel
periodo successivo al 15.12.2002 in cui ha esercitato le funzioni di amministratore di fatto,
seppur non esclusivo della società fallita.
In proposito, va osservato che, posto che l’art. 223 L.F. estende la soggettività attiva dei
reati di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale previsti per il soggetto fallito
dall’art. 216 L.F. a tutti coloro che siano stati preposti all’amministrazione ed al controllo di una
società commerciale, tale norma ha come diretti destinatari tutti gli amministratori, e quindi
non solo quelli ufficialmente investiti della carica ma anche quelli che abbiano svolto tali
funzioni solo di fatto.
E’, infatti, principio consolidato di questa Corte che qualsiasi soggetto che di fatto si sia
inserito nell’attività amministrativa di una società, poi dichiarata fallita, risponda del reato di
cui agli artt. 223 e 216 I.F., potendo un amministratore ritenersi tale non solo con riferimento
ad una formale attribuzione di qualifiche, ma anche per l’esercizio concreto delle funzioni che le
sostanziano.
Nessun dubbio, peraltro, in ordine alla circostanza che il ricorrente sia stato effettivamente
amministratore di fatto della fallita anche nel periodo successivo a quello in cui ha formalmente
lasciato la carica di amministratore di diritto.
La sentenza di primo grado, che integra la sentenza impugnata dando luogo ad un unico
apparato argomentativo, ha indicato con dovizia di particolari una pluralità di atti gestori posti
in essere dall’odierno ricorrente nel periodo successivo a quello in cui formalmente ha lasciato
l’incarico di amministratore unico a Giuseppe Carlini (dal 15.2.2002 al 5.7.2004).
In data 19.2.2002 l’Esposito ha, infatti, firmato l’atto di transazione con i coniugi Sebastiani
Cavanna relativamente alla vendita di un immobile sito in Camogli.
Ha condotto la trattativa per la stipula in data 22.3.2002 della vendita dell’immobile in
Castelletto di Branduzzo a favore di Gennari Erzellino.

7

Il ricorrente risponde del delitto di bancarotta fraudolenta documentale sia relativamente al

Fu il ricorrente

che propose a Carlini, che era rimasto disoccupato, di diventare

amministratore della società poi fallita, promettendogli che l’incarico sarebbe durato solo pochi
mesi, senza considerare che per lungo tempo fino al 2005 il ricorrente fu socio di maggioranza
e socio unico della fallita.
Orbene, al cospetto di un così articolato percorso argomentativo, le censure svolte dal
ricorrente anche nell’atto di appello si appalesano come generiche, non avendo specificamente
confutato le argomentazioni svolte, non confrontandosi con le stesse, limitandosi a riportare a

valenza significativa e comunque sprovviste di una qualunque connotazione spazio-temporale.
Le censure del ricorrente in ordine all’elemento soggettivo del delitto di bancarotta
fraudolenta documentale, fondandosi soprattutto sul rilievo che lo stesso solo nel primo
periodo è stato amministratore della società, si appalesano parimenti inammissibili per
mancata correlazione con le argomentazioni risultanti dall’impianto argomentativo unitario
delle sentenze di entrambi i giudici di merito, svolgendosi, anche sotto tale profilo, doglianze in
fatto.
E’ evidente che di fronte alla genericità anche in appello di tali censure – reiterate
pedissequamente nell’odierno ricorso – la sentenza impugnata non è incorsa in alcun vizio
motivazionale.
6. Il primo motivo del ricorrente Vercesi è infondato.
Va osservato che entrambi i giudici di merito con un percorso argomentativo molto articolato
ed immune da vizi logici (rispettivamente la sentenza di primo grado da pag. 26 a 31 e la
sentenza d’appello a pag 6) hanno evidenziato il ruolo da parte del Vercesi di amministratore di
fatto della IF Immobiliare nonché il suo coinvolgimento come concorrente esterno nell’atto
distrattivo del 23/06/2009 sub a 3) posto in essere dall’Esposito.
La sentenza impugnata, nel condividere l’impostazione di quella di primo grado e riportandosi
per relationem alla stessa – dando quindi luogo ad un apparato argomentativo unitario – ha
evidenziato in maniera dettagliata le ragioni per cui è addivenuta alla conclusione che il sig.
Dagrada Marco fosse stato nominato amministratore della IF Immobiliare a sua insaputa e solo
apparentemente avesse partecipato alla stipula dell’atto del 23/06/1999.
I giudici di merito non hanno fondato il proprio convincimento solo sul disconoscimento
effettuato dal Dagrada della firma apposta in calce al contratto sopra menzionato ma su altri
significativi elementi:
– la radicale differenza tra la firma sicuramente autografa del Dagrada – quella risultante dal
verbale di s.i.t. firmato davanti alla G.d.F. (pag. 27 sentenza di primo grado) – e quelle
apposte sia in calce al contratto summenzionato sia nei verbali di assemblea della IF
Immobiliare del 30.6.1999 e del 5.10.1999;
8

pag. 5 circostanze (vedi deposizioni Albano, Brusacà, Sereniti, Sampellegrini) prive di una

- la totale eterogeneità tra l’attività del Dagrada, titolare di una macelleria e quella della IF
Immobiliare;

la breve permanenza del Dagrada, dal 1.6.1999 al 5.10.1999, in carica;

– il mancato rilevamento di un collegamento diretto tra il Dagrada e gli Esposito;
– la esistenza di consolidati rapporti di collaborazione degli Esposito con il Vercesi, che era per
lungo tempo stato il principale professionista di riferimento della fallita;
la circostanza che Vercesi aveva presieduto

all’atto di nomina del Dagrada quale

amministratore (verbale di assemblea ordinaria della I.F. Immobiliare del 1.6.199) sicchè tutti i
dati anagrafici relativi alla persona del legale rappresentante della società acquirente per la
stipula su capo a 3) non potevano che essere stati forniti dall’odierno ricorrente;
– l’assenza del Dagrada all’atto del 23/06/99, evincibile dalla sicura presenza del Sampellegrini
alla stipula e dalle circostanze che sia Sampellegrini che il Dagrada dichiararono di non essersi
mai conosciuti e che i documenti del Dagrada per il predetto contratto non furono esibiti in
originale dall’acquirente – come solitamente avviene – ma furono inviati al notaio da due terzi
estranei, ovvero dal Sampellegrini e dal Brusacà, altro commercialista che conobbe Salvatore
Esposito nello studio di Carlo Vercesi.
La sentenza impugnata si è fatta pure carico di rispondere alle obiezioni del Vercesi secondo
cui la firma del Dagrada era stata autenticata dal notaio Accolla in occasione dell’atto del
23/06/1999, rilevando coerentemente che il carattere fidefaciente della firma non impedisce al
giudice penale di accertarne incidentalmente la falsità e che comunque il relativo reato ex art.
479 c.p. era già estinto per prescrizione al momento della pronuncia della sentenza d’appello.
Il coerente ed articolato ragionamento svolto dai giudici di merito rende lo stesso immune da
censure in sede di legittimità.
7. Il secondo motivo del Vercesi è inammissibile.
Non vi è dubbio che il ricorrente in tale motivo abbia svolto alcune censure nuove, e come tali
non consentite a norma dell’art. 606 comma 3 0 c.p.p. (il riferimento alla seconda vendita del
25/10/1999, la confutazione della circostanza affermata dal giudice di primo grado che
Granada e Sampellegrini non si erano mai conosciuti, l’elencazione dettagliata dei documenti
inviati dal Brusacà al notaio Accolla) e comunque in fatto, in quanto finalizzate a sollecitare una
diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito ed a d accreditare
una diversa ricostruzione del fatto.
In ordine alla eccezione di travisamento della prova implicitamente svolta dalle pagg. 6 e ss.
sul rilievo dell’omessa valutazione di una serie di circostanze dettagliatamente indicate in
ricorso, tale eccezione si appalesa inammissibile.
9

E’ orientamento consolidato di questa Corte che il vizio del travisamento della prova, per
utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione
di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando la decisione
impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cosiddetta “doppia
conforme”, essere superato il limite costituito dal “devolutum” con recuperi in sede di
legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei
motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice. (Sez. 4, n.

Nel caso di specie, si è in presenza di una c.d. “doppia conforme” e non solo il ricorrente non
ha in alcun modo evidenziato che la sentenza impugnata abbia richiamato elementi probatori
non esaminati dal primo giudice, ma anzi, come sopra evidenziato, il giudice di secondo grado
ha evidenziato di richiamare integralmente le argomentazioni svolte dal giudice di primo grado
da pag. 26 a 31, provvedendo ad una sintesi delle stesse.
Il rigetto dei ricorso comporta la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2018

19710 del 03/02/2009 – dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636).

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