Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20806 del 15/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20806 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: FUMU GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Giovinazzo Rocco, n. Rosarno
4.7.1946
avverso il decreto in data 3.7.2015 della Corte di
appello di Reggio Calabria
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il
ricorso,
Udita la relazione svolta dal Consigliere dr. G. Fumu
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso
MOTIVI

DELLA

DECISIONE

1. Giovinazzo Rocco impugna il decreto della Corte di
appello di Reggio Calabria con il quale, in sede di
rinvio, è stato rigettato il ricorso da lui proposto

Data Udienza: 15/04/2016

avverso il provvedimento del Tribunale di quella città
che aveva disposto l’applicazione nei suoi confronti
della misura di sicurezza della sorveglianza speciale
con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la
durata di tre anni.
2. La Corte di merito, premesso che la sentenza di

Corte di cassazione aveva rilevato la totale carenza di
motivazione in ordine all’attualità della pericolosità
del prevenuto, riteneva che le emergenze del processo
penale contro di lui instaurato per il delitto di cui
all’art. 416 bis c.p., nel quale era stato assolto, se
insufficienti ad affermare la sua penale responsabilità
per la “partecipazione” al sodalizio si rivelassero
viceversa certamente idonee ad integrare il livello
indiziario di “appartenenza” all’associazione, che deve
ritenersi comprensiva di ogni comportamento il quale,
pur non integrando la presenza attiva nel contesto
delittuoso, sia funzionale agli interessi dei poteri
criminali e costituisca una sorta di terreno favorevole
permeato di cultura mafiosa.
Valorizzava quindi i rapporti del Giovinazzo con il
cognato Antonino Pesce, capo della cosca omonima di
‘ndranghetal, come risultanti anche da conversazioni
captate e concludeva nel senso della collocazione del
prevenuto come soggetto messo a parte del patrimonio
conoscitivo del “clan” e destinatario della fiducia
incondizionata del suo capo, il quale ne ipotizzava
l’utilizzo per i compiti più delicati della

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annullamento pronunciata dalla sezione sesta della

consorteria; osservava ancora in proposito che tratto
peculiare delle organizzazioni mafiose, specie quelle
familistiche della ‘ndrangheta’, è costituito
dall’insorgere di un ferreo vincolo tendenzialmente
permanente generante una “pericolosità latente” per
cui, in assenza di elementi di netta frattura con il

presupposti di applicazione della misura.
3. Avverso tale decisione ha proposto personalmente
ricorso per cassazione il Giovinazzo, che denuncia
violazione degli artt. 1,2,3, 4 comma 10 della legge n.
1423/56, 2 ter della legge n. 575/65, 125 c.p.p. nonché
mancanza e manifesta illogicità della motivazione in
ordine alla ritenuta sussistenza dei presupposti per
l’applicazione della misura. Osserva il ricorrente come
il giudice della prevenzione abbia apoditticamente
enfatizzato il suo rapporto di affinità con il “cognato
capoclan Antonino Pesce”, senza indicare o aggiungere
elementi attuali dai quali dedurre l’incidenza di tale
rapporto

nel

concreto

ruolo

da

lui

svolto

nell’associazione mafiosa e la sua perduranza nel
tempo. Illustra ulteriormente le doglianze con note
d’udienza.
4. L’atto di impugnazione propone all’attenzione della
Corte di cassazione motivi non consentiti in quanto
consistenti, pur nella veste formale della denuncia di
violazione di legge, nella censura della motivazione
posta a base della decisione.
5. Nel procedimento di prevenzione, infatti, il ricorso

suo mondo di riferimento, dovevano ritenersi attuali i

nella sede di legittimità è ammesso soltanto per
violazione di legge (artt. 4 l. 1423/56 e 3 ter 1.
575/65, applicabili nella specie), sicché dal novero
dei vizi denunciabili è escluso quello della
motivazione previsto dall’art. 606, lett. e), c.p.p.,
potendosi esclusivamente dedurre con l’impugnazione –

decreto motivato imposto al giudice dall’art. 4, comma
nono, della legge 1423/56 – il caso di motivazione
inesistente o meramente apparente (Cass., Sez. Un., 24
maggio 2014, Repaci, rv 260246) .
Nella specie la Corte di appello, nel colmare i limiti
motivazionali evidenziati nella sentenza di
annullamento pronunciata dal giudice di legittimità, ha
diffusamente argomentato circa la contiguità anche
familiare del prevenuto con il sodalizio mafioso e
sugli elementi sintomatici da cui dedurre la sua
perdurante pericolosità, anche per l’assenza di segni
di frattura con l’ambiente criminale.
La motivazione del provvedimento impugnato non è dunque
assente né sotto il profilo grafico né sotto quello
concettuale e si profila anzi congrua nella valutazione
delle emergenze di causa, delle quali peraltro il
ricorrente propone una non consentita diversa lettura.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato
inammissibile con le conseguenze di legge.
PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed

4

in quanto violazione dell’obbligo di provvedere con

al versamento della somma di C 1500,00 in favore della
Cassa delle ammende
Roma, 15 aprile 2016
Il Consigliere est.

l

(Giacomo Fumu)

Il Presidente
(Matilde Cammino)

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