Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20803 del 26/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 20803 Anno 2018
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PECORELLI OSCAR nato il 11/04/1979 a NAPOLI

avverso la sentenza del 28/06/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA FIDANZIA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FELICETTA
MARINELLI
che ha concluso per

Ti Proc. Gen. conclude per il rigetto
Udito il difensore

Data Udienza: 26/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 28 giugno 2016 la Corte d’assise d’Appello di Napoli,
quale Giudice del Rinvio, in parziale riforma della sentenza di primo grado del G.U.P. del
Tribunale di Napoli del 9.7.2012, escluso il ruolo di dirigente e ed organizzatore contestato
all’imputato, ha condannato Pecorelli Oscar (cl. 79) alla pena di quattordici anni di reclusione,
pena che è stata applicata per l’imputazione di partecipe di un’associazione criminale ex art.

d’Appello di Napoli del 21.10.2013 (irrevocabile il 15.7.2015) inflitta all’imputato per il delitto
ex art. 416 bis cod.pen.
Tale giudizio è stato celebrato a seguito dell’annullamento da parte della I sezione di
questa Corte, con sentenza n. 4497/2016 del 16.12.2015, della sentenza n. 17959 della Corte
d’assise d’Appello di Napoli del 13.5.2014.
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso per cassazione l’imputato
affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione agli artt. 81 c.p.,
442 c.p.p., e 546 lett. e) c.p.p.
Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata, nel non applicare la riduzione di pena
per il reato satellite (sul rilievo che questa fosse già stata operata ex art. 442 c.p.p. essendo il
reato in continuazione già stato giudicato con rito abbreviato), ha violato i consolidati principi
di diritto elaborati sul punto da questa Corte.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione agli artt. 597
c.p.p., 99 comma V c.p., art. 7 L. 203/91 e 546 lett e) c.p.p..
Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata, nel determinare un aumento di pena
nella misura di 2/3 per la recidiva e nell’operare un ulteriore aumento facoltativo per la
circostanza aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 7 L. 203/91, ha violato il divieto della
reformatio in peius.
In assenza dell’impugnazione del Procuratore Generale, il Giudice di rinvio non avrebbe
potuto operare per le circostanze aggravanti un aumento superiore a quello operato dal
precedente giudice di merito.
In particolare, l’aumento per la recidiva, trattandosi di passaggio in giudicato parziale
della sentenza di primo grado, non avrebbe potuto essere rideterminato.
In ordine all’aggravante del metodo mafioso, l’aumento non poteva peraltro essere
operato atteso che questa Corte, in sede di annullamento, non aveva rinviato al giudice di
merito affinchè applicasse tale aumento.
2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione agli artt. 63
comma I e IV c.p., 99 comma comma V , art. 7 L. 203/91 e 546 lett. e) c.p.p..

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74 DPR 309/90, aumentata a titolo di continuazione per i fatti di cui alla sentenza della Corte

sentenza impugnata che per il delitto di cui all’art. 416 bis giudicato proprio con la sentenza
della Corte di Napoli del 2013 era stata inflitta al prevenuto la pena superiore di 10 anni e
mesi 8 di reclusione.
5. Il quinto motivo è infondato.
Va premesso che la giurisprudenza di questa Corte è divisa in ordine alla necessità del
giudicante di fornire una congrua motivazione non solo in ordine alla individuazione della pena
base, ma anche all’entità dei singoli aumenti per la continuazione. Infatti, ad un orientamento
che ritiene che sussista un obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento (sez. 4

13/05/2017, Rv. 271830) se ne contrappone un altro che non ritiene necessario tale
adempimento (sez 2 n. 18944 del 22/03/2017, Rv. 270361, sez 3 n. 44931 del 2/12/2016,
Rv. 271787, sez 2 n. 50699 del 4/10/2016, Rv. 268908; sez. 5 n. 29847 del 30/04/2015, Rv.
264551).
Ad avviso di questa Collegio, in una ipotesi, come nel caso di specie, in cui il giudice di
rinvio era tenuto a quantificare l’aumento in virtù del vincolo di continuazione riconosciuto
con un reato già precedentemente giudicato con sentenza irrevocabile, pur sussistendo in
linea di principio l’obbligo del giudice di dar conto delle ragioni della quantificazione
dell’aumento di pena per il reato meno grave, tale obbligo motivazionale debba essere
rapportato all’entità della pena inflitta precedentemente per i reati satelliti. Ne consegue che
qualora l’aumento (pur ridotto per il rito, come nel caso di specie) sia di entità alquanto
modesta al cospetto della grave pena che era stata precedentemente comminata per il reato
ritenuto in continuazione, l’obbligo motivazionale può ritenersi comunque soddisfatto anche
con espressioni come quelle utilizzate dalla sentenza impugnata del tipo “ritiene congruo
determinare”.
Nel caso di specie, come già evidenziato, a fronte di una pena di dieci anni e otto mesi di
reclusione che era stata inflitta per il reato ritenuto satellite, il giudice di rinvio ha determinato
un aumento per la continuazione (pur comprensivo della riduzione per il rito), di due anni di
reclusione, entità modesta che giustifica un minore sforzo motivazionale.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2018
Il consigliere estensore

Il Presidente

n. 28139 del 23/12015, sez. 6 n. 48009 del 28/06/2016, Rv. 268131, sez 3 n. 1446 del

grave dal giudice di primo grado, ha applicato correttamente la recidiva nella misura “piena”
di due terzi, non essendo più applicabile, proprio per il venir meno della prima aggravante, il
meccanismo di contenimento di cui all’art. 63 comma 4 0 c.p..
D’altra parte, tale orientamento si pone in linea con quello espresso dal Supremo Collegio
di questa Corte (S.U. n. 16208 del 27/03/2014, Rv. 258653) in materia di reato continuato
secondo cui non viola il divieto di “reformatio in peius” previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il
giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene

quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento
maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena
complessivamente maggiore.
Manifestamente inammissibile è la censura del ricorrente secondo cui non poteva essere
operato l’aumento per l’aggravante del metodo mafioso, sul rilievo che questa Corte, in sede
di annullamento, non avrebbe rinviato al giudice di merito affinchè applicasse tale aumento.
La I sezione di questa ha annullato la sentenza n. 17959 della Corte d’assise d’Appello di
Napoli del 13.5.2014 limitatamente alla valutazione del ruolo di organizzatore dell’imputato,
con la conseguenza, che non essendo peraltro neppure stato proposto dal ricorrente ricorso
per cassazione con riferimento al riconoscimento dell’aggravante del metodo mafioso, tale
aggravante è stata definitivamente accertata ed è quindi stata correttamente applicata dal
giudice del rinvio.
3. Il terzo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Va osservato che il giudice di rinvio ha applicato l’aggravante del metodo mafioso con una
motivazione per nulla apparente, essendo stata evidenziata l’estrema gravità dei fatti, la
caratura criminale dell’imputato quale desumibile dal suo certificato penale nonché la
significatività del contributo causale apportato all’organizzazione.
Né è in alcun modo fondata l’affermazione secondo cui le medesime circostanze sarebbero
state valorizzate sia per la determinazione della pena base che per l’aggravamento, atteso che
il giudice di rinvio ha stabilito una pena base corrispondente al minimo edittale per il delitto di
partecipazione all’associazione ex art. 74 DPR 309/1990.
4. Il quarto motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
E’ evidente che il giudice di rinvio ha applicato un aumento di pena di due terzi per la
recidiva ricorrendo i presupposti di cui all’art. 99 comma IV c.p., essendo il delitto per cui
procedimento stato commesso dall’imputato quando era già recidivo ed avendo lo stesso
commesso un delitto della stessa indole (il delitto giudicato con la sentenza della Corte
d’Appello di Napoli del 2013 era parimenti di natura associativa, seppur riconducibile all’art.
416 bis c.p.).
Manifestamente infondata è inoltre l’affermazione secondo cui l’aumento di pena per la
recidiva, pari a anni 6 mesi 8 di reclusione, era di gran lunga superiore al cumulo delle pene
precedentemente inflitte al ricorrente, atteso che risulta dalla ricostruzione della stessa
4

se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di

sentenza impugnata che per il delitto di cui all’art. 416 bis giudicato proprio con la sentenza
della Corte di Napoli del 2013 era stata inflitta al prevenuto la pena superiore di 10 anni e
mesi 8 di reclusione.
5. Il quinto motivo è infondato.
Va premesso che la giurisprudenza di questa Corte è divisa in ordine alla necessità del
giudicante di fornire una congrua motivazione non solo in ordine alla individuazione della pena
base, ma anche all’entità dei singoli aumenti per la continuazione. Infatti, ad un orientamento
che ritiene che sussista un obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento (sez. 4

13/05/2017, Rv. 271830) se ne contrappone un altro che non ritiene necessario tale
adempimento (sez 2 n. 18944 del 22/03/2017, Rv. 270361, sez 3 n. 44931 del 2/12/2016,
Rv. 271787, sez 2 n. 50699 del 4/10/2016, Rv. 268908; sez. 5 n. 29847 del 30/04/2015, Rv.
264551).
Ad avviso di questa Collegio, in una ipotesi, come nel caso di specie, in cui il giudice di
rinvio era tenuto a quantificare l’aumento in virtù del vincolo di continuazione riconosciuto
con un reato già precedentemente giudicato con sentenza irrevocabile, pur sussistendo in
linea di principio l’obbligo del giudice di dar conto delle ragioni della quantificazione
dell’aumento di pena per il reato meno grave, tale obbligo motivazionale debba essere
rapportato all’entità della pena inflitta precedentemente per i reati satelliti. Ne consegue che
qualora l’aumento (pur ridotto per il rito, come nel caso di specie) sia di entità alquanto
modesta al cospetto della grave pena che era stata precedentemente comminata per il reato
ritenuto in continuazione, l’obbligo motivazionale può ritenersi comunque soddisfatto anche
con espressioni come quelle utilizzate dalla sentenza impugnata del tipo “ritiene congruo
determinare”.
Nel caso di specie, come già evidenziato, a fronte di una pena di dieci anni e otto mesi di
reclusione che era stata inflitta per il reato ritenuto satellite, il giudice di rinvio ha determinato
un aumento per la continuazione (pur comprensivo della riduzione per il rito), di due anni di
reclusione, entità modesta che giustifica un minore sforzo motivazionale.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2018
Il consigliere estensore

Il Presidente

n. 28139 del 23/12015, sez. 6 n. 48009 del 28/06/2016, Rv. 268131, sez 3 n. 1446 del

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