Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20800 del 26/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 20800 Anno 2018
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BARILE DOMENICO nato il 30/07/1956 a SPEZZANO DELLA SILA

avverso la sentenza del 30/09/2015 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA FIDANZIA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FELICETTA
MARINELLI
che ha concluso per
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’
Udito il difensore

Data Udienza: 26/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 30 settembre 2015 la Corte d’Appello di Catanzaro, in
parziale riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di
Barile Domenico perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione in ordine al delitto di

Francesco, con conferma a carico del prevenuto delle statuizioni civili.
All’imputato è stato contestato di avere , mediante il comunicato-stampa riportato
nell’articolo pubblicato sul giornale “Il Quotidiano” in data 19.12.2006 offeso la reputazione
della parte civile, in proprio e quale rappresentante dell’ASCOM di Cosenza, con le seguenti
espressioni:” Corsi-fantasma pagati con centinaia di milioni di vecchie lire di cui i presidenti
delle aziende Speciali della Camera di Commercio si sono autonominati direttori, “(la vicenda
della ConfCommercio) situazione sconcertante, che è stata oggetto di interpellanze
parlamentari in cui si chiede l’intervento della Corte dei Conti e della magistratura e che ha
portato i vertici nazionali alla revoca del marchio per l’Ascom di Cosenza”.
2.

Con atto sottoscritto dal proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione

l’imputato affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge penale in relazione agli artt. 595
comma 3 0 c.p. e 13 L. n. 47/48.
Lamenta, preliminarmente, il ricorrente che le sue dichiarazioni non sono state riportate
fedelmente nell’articolo redatto, il cui contenuto non è quindi allo stesso riferibile.
In ordine all’espressione in cui si fa riferimento ai “corsi-fantasma”, deduce il ricorrente che
erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto che tale espressione possa equivalere a corsi
inesistenti, dato che, secondo la definizione letterale, per fantasma si intende l’apparizione di
un defunto, ovvero di un qualcosa che è esistito ma che non appartiene più alla realtà
fenomenica.
Nel caso di specie è pacifico che il corso denominato “TO.M.MAN, finanziato con denaro
pubblico, organizzato dalla PromoCosenza (azienda speciale della Camera di Commercio), di
cui la persona offesa era direttore, non aveva avuto un risultato positivo.
La notizia riportata dal cronista rispettava quindi i canoni di veridicità e della continenza.
Lamenta che la deduzione operata dalla Corte territoriale, secondo cui con la suddetta
espressione “si fa pensare che i soldi finanziati per quei (i corsi- fantasma) andassero, invece,
nelle tasche dei Presidenti che tal fine si autonominavano Direttori dei Corsi” costituiva un

2

diffamazione, con l’aggravante dell’attribuzione di un fatto determinato, ai danni di Iazzolino

evidente “salto logico” frutto di un’interpretazione altamente soggettiva del giudice d’appello,
non corrispondente a quanto riferito dal cronista e riferito dall’imputato.
Peraltro, tale critica non era stata rivolta all’Azzolino che all’epoca dei fatti non era più il
presidente dell’Azienda da circa sei mesi.
Per quanto riguarda le altre espressioni contenute nel comunicato passato alla stampa, il
riferimento alla Corte dei Conti era verosimilmente il frutto di un errore di comprensione del
giornalista. Inoltre era vero che la Confcommercio aveva revocato il proprio marchio all’ASCOM
e di tale questione se ne era occupata la magistratura romana e la Corte dei Conti.

2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 51 e 595 c.p. e 13 L. n.
47/48.
Lamenta il ricorrente che i fatti esposti nell’articolo per cui è procedimento sono veri e per
escluderne la valenza diffamatoria occorre inserirli nello specifico ambito di confronto politico,
essendo consentita una maggiore flessibilità nell’esercizio del diritto di critica politica nei
confronti di soggetti che rivestono cariche pubbliche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi motivi, che possono essere esaminati unitariamente, avendo ad
oggetto, tematiche omogenee, sono inammissibili anche perché manifestamente
infondati.
Preliminarmente, la censura del ricorrente

secondo cui le sue dichiarazioni non

sarebbero state riportate fedelmente nell’articolo per cui è procedimento è inammissibile
per genericità, non essendosi lo stesso neppure preoccupato di evidenziare quale sarebbe
stato allora il contenuto esatto delle sue dichiarazioni.
Esaminando a questo punto il contenuto del comunicato, come riportato nel capo
d’imputazione, va osservato che condivisibilmente la Corte territoriale ha ritenuto che
l’espressione “corsi-fantasma pagati con centinaia di milioni di vecchie lire di cui i presidenti
delle aziende Speciali della Camera di Commercio si sono autonominati direttori” abbia
natura diffamatoria, essendo evidente che una tale espressione evochi un comportamento
chiaramente truffaldino là dove si afferma che i corsi fossero “fantasma” e, quindi
inesistenti, e si allude che i soldi finanziati per gli stessi andassero nelle tasche dei Direttori
autonominatisi.
Né è in alcun modo persuasiva l’affermazione del ricorrente secondo cui il termine
“fantasma” non equivarrebbe ad inesistente, essendo evidente che questo è il significato
che lo stesso inequivocabilmente assume sia nel linguaggio comune che in quello
giornalistico. D’altra parte, l’interpretazione del comunicato effettuata dalla Corte di merito
non costituisce affatto un “salto logico”, e ciò in considerazione del chiaro tenore letterale
dell’espressione sopra esaminata e non avendo comunque il ricorrente neppure prospettato
un’interpretazione alternativa della stessa.

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Ne conseguiva l’insussistenza del delitto di diffamazione.

Si condivide, altresì, l’assunto del giudice di secondo grado secondo cui il contenuto
diffamatorio del comunicato è stato rafforzato dal giornalista ponendo in collegamento la
vicenda dei c.d. corsi fantasma con la revoca da parte della Confcommercio nazionale del
proprio marchio alla ASCOM di Cosenza (di cui era presidente la parte civile).
In realtà, è risultato dalla ricostruzione del giudice di secondo grado che tale revoca era
avvenuta per difficoltà finanziaria dell’associazione, in alcun modo collegate né all’attività
né alle artificiose ruberie dei Presidenti evidenziate nell’articolo per cui è procedimento.
Né il ricorrente può invocare l’esercizio del diritto di critica.

l’esercizio del diritto di critica richiede la verità del fatto attribuito e assunto a presupposto
delle espressioni criticate, in quanto non può essere consentito attribuire ad un soggetto
specifici comportamenti mai tenuti. Ne consegue che, limitatamente alla verità del fatto,
non sussiste alcuna apprezzabile differenza tra l’esimente del diritto di critica e quella del
diritto di cronaca, costituendo per entrambe presupposto di operatività. (Sez. 5, n. 7662
del 31/01/2007, Rv. 236524; vedi anche sez 5 n. 7715/14, Rv 264064 e n. 40930/13 , Rv
257794).
Inoltre, un soggetto, per poter invocare la scriminante dell’esercizio del diritto di critica,
non può limitarsi alla mera allegazione dell’esistenza del fatto che intende criticare in
quanto, come l’imputato che invochi il diritto di cronaca ha l’onere di provare la verità della
notizia riportata (Sez. 5, n. 10964 del 11/01/2013, Rv. 255434), o quantomeno offrire la
prova della cura posta negli accertamenti svolti per vincere dubbi ed incertezze
prospettabili in ordine alla verità della notizia (Sez. 5, n. 12024 del 31/03/1999, Rv.
215037; Sez. 5, n. 15643 del 11/03/2005, Rv. 232134; Sez. 5, n. 23695 del 05/03/2010,
Rv. 24752401), altrettanto, anche con riferimento all’esercizio del diritto di critica, l’agente
è onerato di indicare tutti gli elementi comprovanti la dedotta causa di giustificazione al
fine di porre il giudice in condizione di valutare seriamente la fondatezza di tale argomento
difensivo.
Nel caso di specie, non solo l’imputato ha dedotto nel comunicato fatti dei quali non ha
fornito neppure un principio di prova (eventualmente valutabile a norma dell’art. 530
comma 3 0 c.p.p.), ma dallo stesso tenore inequivocabile del ricorso emerge che i fatti
indicati non erano veri.
In particolare, lo stesso ricorrente evidenzia che, nell’organizzazione del corso
denominato TOMMAN , pur essendoci stati gravissimi problemi gestionali sin dall’inizio, lo
stesso corso era iniziato e i ragazzi che lo avevano frequentato erano giunti ai due terzi del
percorso, non potendolo completare, per essere stato avviato il procedimento di revoca del
finanziamento del progetto e per essere l’agenzia PromoCosenza, cui era stata demandata
l’organizzazione del corso, stata commissariata.
Dunque non si trattava affatto di un “corso-fantasma”.

4

In proposito, deve ricordarsi l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui

Analogamente, con riferimento alla revoca del marchio Confcommercio alla ASCOM, nel
ricorso il prevenuto dà atto che tale revoca c’era stata ma neppure allega che fosse
riconducibile allo scandalo dei “corsi fantasma”.
Non vi è dubbio che la mancanza di verità o veridicità del fatto indicato nel comunicato
stampa inviato dal ricorrente impedisce in radice la configurabilità dell’esimente
dell’esercizio del diritto di critica.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al

euro duemila in favore delle cassa delle ammende.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro duemila in favore delle cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2018

pagamento delle spese processuali e al versamento della somma che si stima equo fissare in

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