Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20799 del 20/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20799 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
BALESTRERI CLAUDIO ANDREA, nato il 09/10/1965,

contro la sentenza del

22/04/2015 della Corte di Appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. G. Rago;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore generale

Massimo Galli, che ha concluso chiedendo il rigetto;
udito il difensore, avv. Massimiliano Vivenzio, che ha

concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22/04/2015, la Corte di Appello di Milano, in parziale
riforma della sentenza pronunciata in data 07/02/2014 dal tribunale della
medesima città, dichiarava estinti per prescrizione i fatti di appropriazione
indebita commessi da BALESTRERI Claudio Andrea fino al 15 giugno 2007,
confermando, nel resto la sentenza impugnata la cui pena riduceva a mesi tre,
giorni 27 di reclusione ed C 470,00 di multa.

2. Contro la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

Data Udienza: 20/04/2016

2.1. ILLOGICI-FA DELLA MOTIVAZIONE nella parte in cui la Corte territoriale aveva
ritenuto l’assenza di elementi idonei ad affermare quale fosse stato l’effettivo
ruolo svolto dall’imputato nelle trattative aventi ad oggetto gli immobili di Rimini
e Barzio, pur essendo stato prodotto il verbale dell’assemblea dei soci del
01/08/2008 dal quale si poteva evincere sia il ruolo svolto dall’imputato sia
l’accordo relativo al compenso pattuito;
2.2. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 62 BIS – 132-133 COD. PEN. per non avere la Corte
ritenuto la prevalenza sulle aggravanti e ridotto ulteriormente la pena, con

2.3. VIOLAZIONE DELL’ART. 81 COD. PEN. per non avere la Corte determinato la
pena base per il fatto appropriativo più grave (in ciò supplendo all’omessa
motivazione sul punto da parte del primo giudice) nel minimo edittale come
richiesto nei motivi di appello;
2.4. VIOLAZIONE DELL’ART. 157 COD. PEN. per essere, nelle more, maturata la
prescrizione per gli ulteriori fatti appropriativi dei quali, quindi, viene chiesta la
declaratoria di prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE: la prima censura è manifestamente infondata
per un duplice motivo:
a) perché l’appello era stato proposto solo al fine di ottenere un più mite
trattamento sanzionatorio e non involgeva, quindi, la responsabilità penale;
b) perché, in ogni caso, la Corte ha preso in esame il documento prodotto
(evidentemente al fine di valutare se potesse incidere su un più favorevole
trattamento sanzionatorio), ma con ampia motivazione ha ritenuto l’irrilevanza
(pag. 3).
In questa sede, il ricorrente censura la suddetta motivazione, ma si tratta di
doglianza di puro merito che non è idonea, sotto alcuno dei profili dedotti, a
scalfire minimamente la suddetta motivazione e comunque il giudizio in ordine
alla valutazione della gravità del reato effettuato dal primo giudice e che la Corte
territoriale ha confermato in pieno.

2. VIOLAZIONE DEGLI AR – T. 62 BIS – 132-133 COD. PEN.: anche la suddetta
doglianza è manifestamente infondata alla stregua dell’ampia motivazione
addotta dalla Corte sul punto (pag. 3-4) che si sottrae ad ogni censura non
essendo ravvisabile in essa alcun vizio motivazionale.
Sul punto è appena il caso di rilevare che, per costante giurisprudenza di
questa Corte:

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motivazione incongrua e contraddittoria;

a)

il giudizio di comparazione rientra nell’ampio concetto di libero

convincimento del giudice e costituisce un potere discrezionale che deve ritenersi
esercitato correttamente ove vengano chiaramente indicati i punti essenziali e
determinanti (come nel caso di specie), con la conseguenza che il giudice non è
tenuto a prendere in esame tutti gli elementi prospettati dalle parti, essendo
sufficiente che egli dia rilievo a quelli ritenuti di valore decisivo

(ex plurimis:

Cass. 14463/2003 Rv. 228774 – Cass. 25/8/1992, Lafleur);
b) il giudizio di comparazione è imposto dalla necessità di una valutazione

pena e reato, consenta, nel determinare in concreto la pena, di tener conto della
particolare personalità del reo, considerata sotto tutti gli aspetti di cui all’art. 133
c.p. (ex plurimis Cass. VI 9/6/1996, rv 205906): e, nel caso di specie, l’imputato
è stato condannato, a fronte di un’appropriazione di C 268.918,50 alla modesta
pena di mesi quattro di reclusione ed C 500,00 di multa ulteriormente ridotti, in
appello, per i reati prescrittisi;

3.

VIOLAZIONE DELL’ART.

81

COD. PEN.:

anche

la

suddetta doglianza è

manifestamente infondata.
La Corte di appello, trovatasi nella necessità di quantificare la pena in tutte
le sue componenti (non avendolo fatto il primo giudice) ha ritenuto di
determinare la pena base per il fatto appropriativo più grave in mesi tre di
reclusione ed C 170,00 di multa, aumentando di un giorno la pena per ogni
ulteriore episodio di appropriazione.
Si tratta di decisione incensurabile alla stregua del principio di diritto che,
qui va ribadito, secondo il quale «Nel caso in cui il giudice abbia congruamente
motivato in ordine alla determinazione della pena, facendo riferimento alla
natura dei reati, alla personalità dell’imputato e alle concesse attenuanti
generiche, egli non ha l’obbligo di autonoma e specifica motivazione in ordine
alla quantificazione dell’aumento per la continuazione, posto che i parametri al
riguardo sono identici a quelli valevoli per la pena base»: ex plurimis Cass.
3034/1997 Riv. 209369; Cass. 11945/1999 Rv. 214857; Cass. 27382/2011 Rv.
250465.
E, nel caso di specie, la Corte ha incensurabilmente motivato stigmatizzando
anche la personalità negativa dell’imputato connotata «dalle ulteriori condanne
riportate per preg ressi fatti di appropriazione indebita e truffa».

4.

VIOLAZIONE DELL’ART.

157 COD. PEN.:

la declaratoria di inammissibilità

preclude la rilevabilità della prescrizione in applicazione del principio di diritto
secondo il quale «l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla
manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto

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complessiva del fatto delittuoso, tale che, fermo il principio di proporzione fra

d’impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le
cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.»: ex plurimis SSUU
22/11/2000, De Luca, Riv 217266 – Cass. 4/10/2007, Impero; Sez. un., 2 marzo
2005, n. 23428, Bracale, rv. 231164; Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601,
Niccoli, rv. 239400; SSUU, 17/12/2015, Ricci;

5. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma
dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria

pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa
delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in C 1.500,00.

P.Q.M.
DICHIARA
inammissibile il ricorso e
CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 20/04/2016

consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al

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