Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20797 del 20/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20797 Anno 2016
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: RAGO GEPPINO

Data Udienza: 20/04/2016

SENTENZA
sul ricorso proposto da
PILOLLA EMANUELE, nato il 26/04/1960, avverso la sentenza del 06/11/2014
della Corte di Appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. G. Rago;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Massimo Galli, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità;

RITENUTO IN FATTO

1. PILOLLA Emanuele, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso
per cassazione contro la sentenza pronunciata in data 06/11/2014 dalla Corte di
Appello di Bari, deducendo, come unico motivo, la violazione dell’art. 606 lett. e)
cod. proc. pen. per avere la Corte confermato la responsabilità penale di esso
ricorrente sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa costituitasi
parte civile da ritenersi inattendibili in assenza di riscontri esterni.

2.

Il ricorso, nei termini in cui la doglianza è stata dedotta, è

manifestamente infondato.
Il Pilolla è stato riconosciuto colpevole – in concorso con tale Siena Luigi
(non ricorrente) – del delitto di estorsione a danno di Bianchi Gianluca Oronzo.
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La colpevolezza dell’imputato, è stata ritenuta sulla base delle dichiarazioni
rese dalla parte offesa (costituitasi parte civile) nonché di quelle del padre di
costui (Bianchi Pietro) che era stato, anzi, colui che aveva dato origine
all’indagine dopo essersi presentato ai Carabinieri di Triggiano per denunciare i
fatti che riguardavano il figlio e che egli aveva vissuto anche in prima persona
per essere stato minacciato dallo stesso Pilolla.
La questione della pretesa inattendibilità della parte civile e del Bianchi
Pietro è stato l’oggetto principale del processo di appello, e la Corte, dopo averla

spiegandone le ragioni con ampia motivazione.
In questa sede, la difesa non ha fatto altro che reiterare le medesime
censure sostenendo che la Corte non avrebbe dato una plausibile spiegazione
alle doglianze dedotte e che sarebbe incorsa, a sua volta, in contraddizione ed
illogicità.
Al che deve replicarsi che le censure riproposte con il presente ricorso,
vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di
legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente
presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di
aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente
disatteso la tesi difensiva.
Pertanto, non essendo evidenziabile alcuna delle pretese incongruità,
carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte dal ricorrente, la censura,
essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e,
quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile.
In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente infondate in
quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione alla quale è
pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e con «i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento»:

infatti, nel momento del controllo di

legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito
proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv
230568; Cass. 1004/1999 nt 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.
Sul punto va, infatti ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio
denunciabile, dev’essere percepibile ictu °culi, dovendo il sindacato di legittimità
essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime
incongruenze: ex plurimis SSUU 24/1999.

3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma
dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria

2

presa in esame sotto ogni profilo dedotto, l’ha motivatamente respinta

consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa
delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in C 1.500,00

P.Q.M.
DICHIARA
inammissibile il ricorso e

il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 20/04/2016

CONDANNA

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