Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20794 del 15/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20794 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: FUMU GIACOMO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
l) Finelli Riccardo, n. Andria 3.3.1955
2) Ali Abdelkafy Mohamed Elzantawy, n. Egitto 3.2.1971
3) Slim Kamal, n. Egitto il 13.12.1986
avverso la sentenza in data 5.5.2015 della Corte di
assise di appello di Bari
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi,
Udita la relazione svolta dal Consigliere dr. G. Fumu
Udita

la

requisitoria

del

Pubblico

Ministero

rappresentato dal s.p.g. dr. Enrico Delehaye, che ha
concluso per il rigetto dei ricorsi
Uditi i difensori dei ricorrenti avv. Mario Di Caprio,
Mario Murano e Giuseppe Di Virgilio

Data Udienza: 15/04/2016

MOTIVI

DELLA

DECISIONE

1. Con sentenza in data 5 maggio 2015 la Corte di
assise di appello di Bari, parzialmente riformando
melius

in

quanto alle pene la decisione di primo grado,

dichiarava – per quanto qui interessa – Finelli
Riccardo, Ali Abdelkafy Mohamed Elzantawy e Slim Kamal

dell’immigrazione clandestina di cinquantuno cittadini
extracomunitari trasportati con natante dall’Egitto in
Italia e gli ultimi due, altresì, del delitto di
concorso nel sequestro di persona ai fini di estorsione
dei predetti immigrati, rinchiusi dopo lo sbarco in un
casolare di campagna e costretti all’ulteriore
versamento – richiesto ai parenti – di somme di danaro
come prezzo della loro liberazione.
Osservava la Corte di merito che all’imputato Finelli
si dovesse riconoscere solo il ruolo di autista, svolto
trasportando con un furgono i clandestini dalla costa
al “deposito” (il predetto casolare) e successivamente,
avvenuta la liberazione, accompagnandoli presso una
stazione ferroviaria per consentire loro di riprendere
il treno. Valorizzava nei suoi confronti il
riconoscimento fotografico operato da un giovane
immigrato liberato dopo il pagamento del riscatto e da
lui accompagnato alla stazione ferroviaria, gli esiti
di una serie di captazioni di conversazioni telefoniche
– tenutesi in un linguaggio criptico agevolmente
decifrabile con alcuni soggetti, imputati e
definitivamente condannati per il favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina nello stesso processo, il
sequestro operato presso la sua abitazione di due
caricabatterie utilizzati per ricaricare le
ricetrasmittenti in uso ai sodali nonché di altre due
ricetrasmittenti, cioè di strumenti di comune utilizzo
durante le operazioni di sbarco, il cui possesso non
era giustificato dall’attività lavorativa svolta dal
Finelli (operaio pavimentatore). Riteneva altresì di

colpevoli del delitto di concorso nel favoreggiamento

poter superare l’argomento difensivo che sottolineava
l’assenza, sul braccio dell’imputato, del tatuaggio
notato dal predetto minorenne durante l’accompagnamento
alla stazione, con la considerazione che egli, avendo
appreso dell’arresto dei correi avvenuto circa quindici
giorni prima del suo, avesse nel frattempo provveduto
alla cancellazione in previsione del suo coinvolgimento
nella vicenda criminosa.

componente dell’equipaggio che aveva trasportato gli
immigrati dall’Egitto all’Italia, nonché di custode dei
prigionieri e di estorsore. Dall’utenza telefonica
nella sua disponibilità e trovata in suo possesso al
momento del fermo risultavano essere partite anche le
chiamate verso il fratello del minore trasportato per
mare e poi sequestrato, di cui si è detto, con le quali
si minacciava la sua soppressione e si chiedeva il
riscatto per la liberazione; dall’ostaggio era stato
poi riconosciuto, nel corso del dibattimento, proprio
come colui che lo aveva messo in contatto, sempre
mediante la predetta utenza, con il proprio fratello
allo scopo di implorare il pagamento. Inoltre – come
appurato sulla base delle captazioni – l’organizzazione
egiziana aveva provveduto a spedire agli scafisti
tramite corriere i documenti di identità che avrebbero
consentito loro di tornare nel paese di origine e
proseguire nell’attività criminosa; il plico,
espressamente
contenuto

era

stato

il

all’imputato,

indirizzato

ispezionato

dalla

cui

polizia

giudiziaria e copiato ma non acquisito
nell’immediatezza, conteneva anche il suo passaporto,
poi sequestratogli al momento del fermo.
La Corte di merito rigettava infine i rilievi difensivi
sulla configurabilità del reato di cui all’art. 630
c.p. e sul denegato riconoscimento della circostanza
attenuante di cui all’art. 114 c.p.
Quanto

all’imputato

Slim,

la

Corte

di

merito

valorizzava il contenuto di varie conversazioni

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All’imputato Ali Abdekafy veniva attribuito il ruolo di

telefoniche pertinenti alle utenze in suo uso e
rinvenute in suo possesso dalle quali si evidenziava la
gestione, da parte sua ed in collegamento con
l’organizzazione egiziana, del capannone ove erano
custoditi gli immigrati in ostaggio; la sua diretta
partecipazione all’estorsione in danno dei parenti
dell’immigrato minorenne di cui si è detto; il suo
riconoscimento, effettuato da quest’ultimo, per uno dei

extracomunitari dal peschereccio – madre alla riva.
2. Avverso tale sentenza gli imputati hanno proposto
ricorso per cassazione.
3. Finelli Riccardo denuncia vizio della motivazione e
violazione degli artt. 189 e 213 c.p.p.
Osserva il ricorrente come l’affermazione della sua
responsabilità sia fondata esclusivamente sulle
inattendibili dichiarazioni della persona offesa, in
mancanza di alcun riscontro oggettivo; assume che non
abbiano valenza sintomatica gli altri elementi posti a
suo carico, come il rinvenimento di ricetrasmittenti,
in realtà strumento di lavoro, e le conversazioni
intercettate con amici di vecchia data come i
coimputati Di Bisceglie Michele ed Antonio; ribadisce
che la credibilità della persona offesa è minata anche
dalla circostanza di aver egli descritto un particolare
segno del suo corpo (un tatuaggio sul braccio sinistro)
in realtà inesistente e sottolinea come i
riconoscimenti effettuati dal teste nel corso delle
indagini preliminari ed in udienza siano stati
effettuati in assenza delle formalità previste dalla
legge per le ricognizioni.
Con i motivi aggiunti l’imputato illustra ulteriormente
le predette censure sottolineando la grave
inattendibilità del riconoscimento effettuato dal
teste, le cui perplessità in sede di indagini
preliminari avevano indotto il g.i.p. a revocare la
misura cautelare applicatagli, e la conseguente

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soggetti che con un gommone aveva trasferito gli

insuperabilità del ragionevole dubbio sulla sua
responsabilità.
Le doglianze sono infondate.
Le censure alla motivazione della sentenza impugnata
formulate dal ricorrente sono tese a fornire lettura
diversa e riduttiva delle emergenze fattuali
valorizzate dai giudici di merito i quali, con
argomentazione priva di cedimenti logici, hanno

convincimento sull’esame complessivo degli elementi a
carico dall’imputato, i quali si integrano e sostengono
a vicenda convergendo univocamente verso l’affermazione
di responsabilità; la Corte di appello, inoltre, ha
fornito plausibile giustificazione anche al mancato
riscontro dell’esistenza di un tatuaggio sul braccio
dell’imputato, così privilegiando i plurimi
riconoscimenti effettuati, anche in udienza, dal teste
persona offesa, sicché pure su questo punto la
decisione è priva di vizi.
Si deve osservare, altresì, come le censure sulla
ritualità dei riconoscimenti effettuati dalla persona
offesa si palesino infondate a fronte della pacifica
giurisprudenza di legittimità secondo la quale il
riconoscimento effettuato in dibattimento nel corso
della deposizione da parte del testimone trova il suo
paradigma nella prova testimoniale proveniente da
soggetto che, nel corso dell’esame, abbia accertato
direttamente l’identità personale dell’imputato. Esso
deve pertanto essere tenuto distinto dalla ricognizione
personale di cui all’art. 213 ed è inquadrabile tra le
prove non disciplinate dalla legge di cui all’art. 189
c.p.p. (sez. I, 2.2.2005, Izzo, rv 230781; sez. V,
11.9.2014, Romano, rv 260593).
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le
conseguenze di legge.
4. Ali Abdelkafy denuncia a mezzo del difensore:
I – vizio della motivazione per travisamento di prove
decisive con riferimento alla ritenuta disponibilità da

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ricostruito la vicenda fondando il proprio

parte sua dell’utenza telefonica mobile dalla quale
sono state effettuate telefonate estorsive ed alla
mancata valutazione della credibilità dei testi persone offese;
– inutilizzabilità della prova derivante dall’apertura
di un plico spedito per corriere a lui indirizzato e
dall’esame del suo contenuto

(tra cui il suo

passaporto), trattandosi di acquisizione di

violazione dell’art. 254 c.p.p., essendo stato il plico
postale aperto da un ufficiale di p.g. e non dal
magistrato; ed ancora, mancanza della motivazione in
ordine alla identificazione ed alla conseguente
attribuzione dei documenti agli imputati nonché in
ordine alle modalità di rinvenimento ed
all’attribuzione delle utenze telefoniche sequestrate.
Le doglianze sono infondate e tese, con riferimento
alla denuncia dei vizi della motivazione, a proporre
censure non consentite in questa sede.
Si può solo rilevare in proposito come la Corte di
appello abbia diffusamente motivato sulla disponibilità
dell’utenza utilizzata per le telefonate estorsive da
parte dell’imputato, il quale, peraltro, risulta secondo la sentenza – averla utilizzata in presenza del
teste ed esserne stato trovato in possesso al momento
del fermo; la credibilità dei testimoni – persone
offese è stata poi ampiamente sperimentata con
l’individuazione di una serie di riscontri al loro
narrato, a partire dagli esiti delle captazioni
disposte sull’utenza predetta a seguito della loro
denuncia.
Quanto all’apertura del plico contenente i documenti di
identità dell’imputato e di altri correi da parte della
polizia giudiziaria ed all’inutilizzabilità dei
relativi esiti probatori, osserva il collegio, innanzi
tutto, che rimangono al di fuori dell’attività
censurata e denunciata di risultati inutilizzabili sia
le captazioni dalle quali si è accertato che gli

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corrispondenza effettuata in modo illegittimo in

scafisti attendevano in Italia i documenti per il
rientro in patria, sia la constatazione della effettiva
spedizione all’imputato dall’Egitto di un plico,
effettuata tramite corriere, sia il possesso del
passaporto da parte dell’imputato al momento del fermo.
Così circoscritto l’oggetto della censura, la
denunziata inutilizzabilità potrebbe attenere in linea
teorica esclusivamente all’attività di apertura del

opera della polizia giudiziaria, non anche alle
premesse fattuali dalle quali è scaturito il controllo
ed ai successivi sviluppi culminati con il sequestro
dei documenti di identità da utilizzarsi per il viaggio
di rientro.
A tale proposito si rende palese, pertanto, la mancanza
di specificità della doglianza, che non indica quale
sia il ruolo decisivo svolto dall’elemento probatorio
in contestazione nel quadro dell’argomentazione del
giudice di merito che ha condotto all’affermazione di
responsabilità.
Tanto premesso, si deve comunque rilevare che nessuna
violazione di divieti stabiliti dalla legge,
eventualmente rilevante ai sensi dell’art. 191 c.p.p.,
sia stata posta in essere.
Come correttamente indicato dal giudice di primo grado
(la censura neppure risulta proposta con i motivi di
appello, ma questa Corte la prende in considerazione
trattandosi di denuncia di inutilizzabilità e quindi di
questione deducibile in ogni stato e grado) la predetta
attività risulta essere stata effettuata in conformità
all’art. 353, comma 2, c.p.p., che consente al
pubblico ministero nei casi di urgenza di autorizzare
la polizia giudiziaria all’apertura immediata e
all’accertamento del contenuto di plichi sigillati o
altrimenti chiusi. Il provvedimento autorizzativo, che
ha assunto la forma – imprecisa sotto il profilo
definitorio, ma certamente ancora più garantista sotto
il profilo sostanziale per l’intervento di controllo

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plico ed all’ispezione e copia del suo contenuto ad

del giudice – di un decreto di intercettazione della
corrispondenza emesso ai sensi dell’art. 267, comma 2,
c.p.p., risulta regolarmente adottato dal pubblico
ministero proprio nell’imminenza del controllo.
Il – vizio della motivazione e violazione dell’art. 630
c.p. con riferimento alla ritenuta sussistenza nei
fatti di un’ipotesi di sequestro di persona a scopo di
estorsione; deduce il ricorrente come non siano state

luogo

della

asserita

prigionia,

peraltro

mai

individuato; rileva come non sia stata adeguatamente
valutata l’ipotesi che si trattasse di un’autoimposizione dei clandestini onde sfuggire ai controlli
delle forze dell’ordine, tanto che della loro sorte
alcunché

risulta

e

come,

altresì,

non

trovi

giustificazione idonea la ritenute coercizione fisica
delle presunte persone offese.
III

vizio

della

motivazione

in

ordine

all’accertamento dell’elemento psicologico e violazione
dell’art. 630 in relazione all’art. 43 c.p.
Assume il ricorrente che non abbia avuto adeguata
valutazione il rilievo difensivo relativo all’assenza
del dolo specifico del profitto in capo agli agenti, i
quali – truffati dai sodali egiziani che non avevano
loro corrisposto il compenso pattuito per la traversata
– avevano agito con la sola finalità di recuperare le
spese di viaggio.
Le doglianze esposte nei motivi II e III, oltre che
prospettare non consentite questioni attinenti al
merito della decisione, sono comunque manifestamente
infondate.
La costrizione fisica degli immigrati, sottoposti a
continua sorveglianza, percossi e minacciati, isolati
in un “deposito” sito in aperta campagna, ammoniti da
cani feroci tenuti in gabbie poste in prossimità ad
esso, appare correttamente dimostrata dai giudici di
merito al di là di ogni ragionevole dubbio. Allo stesso
modo non è in discussione il dolo specifico, perché

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accertate le modalità del trasporto degli immigrati nel

integra la finalità di ingiusto profitto anche il
dedotto perseguimento dello scopo di rivalersi sulle
persone prigioniere, quale prezzo per la libertà, del
mancato adempimento del debito verso gli scafisti da
parte degli organizzatori della traversata.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le
conseguenze di legge.
5. Slim Kamal denuncia:

valutazione di circostanze decisive risultanti da
specifici atti.
Osserva il ricorrente come nella motivazione: non
emergano circostanze che ricolleghino l’imputato alle
conversazioni effettuate con le utenze rinvenute in suo
possesso; non sia stata adeguatamente valutata
l’attendibilità intrinseca ed estrinseca dei testimoni;
siano stati utilizzati gli esiti dell’intrusione
occulta sul plico postale contenente i documenti (di
cui si è detto supra)

la cui attribuzione non è stata

giustificata; non risulti dimostrata la sua
identificazione dell’imputato come componente
dell’equipaggio della barca e come custode della
persona offesa.
La eccezione di inutilizzabilità concernente l’apertura
del plico contenente i documenti di viaggio degli
imputati è già stata affrontata nell’esame del ricordo
dell’imputato Ali Abdelkafy. Se ne deve ribadire
l’infondatezza.
Le doglianze ulteriori attengono al merito della
ricostruzione dei fatti e si caratterizzano per la loro
totale genericità ed assertività, che fa peraltro
seguito alla genericità totale dei motivi di appello.
La motivazione del provvedimento impugnato non mostra
lacune né alcun cedimento logico nella individuazione
degli

elementi

responsabilità

univocamente
dell’imputato,

dimostrativi
che

peraltro

della

contrariamente all’asserto difensivo – la ricostruzione
dei

fatti

non

annovera

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tra

i

componenti

I – travisamento di prove decisive ovvero omessa

dell'”equipaggio della barca” ma indica solo quale
“traghettatore” tra il barcone-madre e la riva.
– vizio della motivazione e violazione dell’art. 630
c.p. con riferimento alla ritenuta sussistenza nei
fatti di un’ipotesi di sequestro di persona a scopo di
estorsione
vizio

motivazione

della

ordine

in

all’accertamento dell’elemento psicologico e violazione

Le doglianze hanno il medesimo contenuto dei motivi II
e III proposti dall’imputato Ali Abdelkafy e sono
inammissibili per i medesimi motivi.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le
conseguenze di legge.
PQM
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese del procedimento.
Roma, 15.4.2016
Il qnsigliere est.
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Il Presidente
(Matilde Cammino)
o

dell’art. 630 in relazione all’art. 43 c.p.

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