Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20793 del 15/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20793 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Belville Manuel, n. a Lamezia
Terme il 25.06.1991, rappresentato e assistito dall’avv. Pietro Borello,
di fiducia, avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro, n.
394/2015, in data 30.04.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
preso atto della ritualità delle notifiche e degli avvisi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Enrico
Delehaye che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 21.11.2014, il giudice per le indagini

Data Udienza: 15/04/2016

preliminari presso il Tribunale di Catanzaro, all’esito di giudizio
abbreviato, condannava Belville Manuel alla pena di anni tre, mesi
quattro di reclusione ed euro 800,00 di multa con le pene accessorie
e le misure di sicurezza di legge per i reati, unificati sotto il vincolo
della continuazione, di tentata rapina aggravata continuata in
concorso, lesioni personali e danneggiamento, ricettazione e porto
ingiustificato di strumenti atti ad offendere.
A seguito di proposta impugnazione, la Corte d’appello di

Catanzaro, in parziale riforma della pronuncia di primo grado,
rideterminava la pena in anni due, mesi dieci di reclusione ed euro
800,00 di multa, revocando l’interdizione temporanea dai pubblici
uffici.
3. Avverso la pronuncia di secondo grado, nell’interesse di Belville
Manuel, viene proposto ricorso per cassazione, con formale motivo
unico, per ritenuta mancanza e manifesta illogicità della motivazione,
per erronea applicazione degli artt. 110, 648, 635 cod. pen. nonché
dell’art. 533 cod. proc. pen. in relazione al ragionevole dubbio,
erronea applicazione degli artt. 61 n. 10, 62 bis e 133 cod. pen..
3.1. Si censura la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto di
valorizzare il dato della distanza temporale tra il furto e la tentata
rapina allorquando la convergenza delle confessioni avrebbe dovuto
far propendere per la configurabilità del furto e non della ricettazione:
ed infatti, per come risulta dal verbale di interrogatorio di garanzia, il
coimputato, Mano Agostino, si è ampiamente assunto la paternità del
furto, ragion per cui essendo il reato commesso dal correo, l’utilizzo
dell’auto configura un post factum non punibile e, come tale, non
ascrivibile al Belville.
3.2. Medesima sorte spetta alla sentenza nella parte in cui afferma la
compartecipazione criminosa nel reato di danneggiamento e nel reato
di lesioni, dal momento che detti reati costituiscono volizioni
autonome del guidatore, senza alcuna dimostrazione su quale sia
stata l’efficienza causale della presenza del Belville nella realizzazione
di tali fatti. In particolare, per poter ascrivere al Belville una condotta
concretamente posta in essere da altro soggetto autore della
condotta tipica, è necessaria la presenza di un concorso morale che si
sia spinto fino ad essere inserito nel determinismo causale
dell’evento; la semplice connivenza o l’adesione morale ad un altrui

2.

proposito criminoso non comporta l’affermazione della penale
responsabilità sotto il profilo del concorso.
3.3. Anche in relazione ai capi B) e C) appare come palese la
violazione della regola dell’art. 533 cod. proc. pen. non essendo stata
superata la soglia delral di là di ogni ragionevole dubbio”.
3.4. Vi è error in iudicando anche in ordine al riconoscimento
dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 10 cod. pen., avendo la Corte

mansioni concretamente svolte dalla persona offesa quale dipendente
di Poste Italiane s.p.a..
3.5. Infine, la piena collaborazione del Belville, la scarsa capacità
delinquenziale manifestata, le concrete modalità del fatto e la
mancanza di precedenti specifici avrebbe dovuto indurre i giudici di
merito a riconoscere allo stesso le circostanze attenuanti generiche
anche in regime di equivalenza con le aggravanti e la recidiva,
quest’ultima concretamente escludibile in ragione della lontananza dei
precedenti e della loro diversità rispetto ai reati per cui si procede.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato – in relazione ad alcune censure, anche in
modo manifesto – e, come tale, va rigettato.
2. Osserva preliminarmente il Collegio che la peculiarità del giudizio di
legittimità consiste nel fatto che, che oggetto di esso, è una
proposizione metalinguistica, ossia “il contrasto” tra una sentenza (o
un’ordinanza) ed una disposizione di legge e, nel valutare il dedotto
contrasto tra il provvedimento impugnato e l’art. 606 lett. e) cod.
proc. pen., la Suprema Corte deve solo verificare che la decisione del
giudice del merito sia stata congruamente e logicamente giustificata
sia nel sillogismo deduttivo che abbia condotto all’applicazione di una
determinata norma a un fatto accertato sia nelle argomentazioni
sostanziali che sorreggono la ricostruzione del fatto medesimo (cfr.,
Sez. 5, sent. n. 27335 del 13/06/2007, dep. 12/07/2007, D’Auria ed
altri, Rv. 237442; Sez. 5, sent. n. 22340 del 08/04/2008, dep.
04/06/2008, Bruno, Rv. 240491; Sez. 2, sent. n. 13927 del
04/03/2015, dep. 02/04/2015, Amaddio e altri).
2.1. Per risalente giurisprudenza, eccede dalla competenza della

territoriale omesso qualsivoglia accertamento in relazione alle

Suprema Corte ogni potere di revisione degli elementi materiali e
fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo
del giudice di merito.
2.2. Il controllo sulla motivazione della Suprema Corte è, dunque,
circoscritto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.,
alla verifica di tre requisiti, la cui esistenza rende la decisione
intoccabile in sede di legittimità:

determinata;
b) l’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione, ossia la coerenza
delle argomentazioni rispetto al fine che le hanno determinate;
c)

il mancato affioramento di alcuni dei predetti vizi dall’atto

impugnato (cfr., Sez. 6, sent. n. 5334 del 22/04/1992, dep.
26/05/1993, Verdelli ed altro, Rv. 194203).
3. Fermo quanto precede, rileva il Collegio come la Corte territoriale,
con motivazione logica e congrua abbia puntualmente dato conto
degli elementi che l’hanno portata ad affermare la penale
responsabilità dell’imputato in relazione ai reati in contestazione.
3.1. Manifestamente infondato ed evocativo di reiterate censure in
fatto non consentite in sede di legittimità è il primo profilo di
doglianza.
Il ricorrente si è sostanzialmente limitato a riprodurre la medesima
questione già devoluta in appello e da quei giudici puntualmente
esaminata e disattesa, con motivazione del tutto coerente ed
adeguata che non è stata in alcun modo sottoposta ad autonoma e
argomentata confutazione. È ormai pacifica acquisizione della
giurisprudenza di codesta Suprema Corte come debba essere ritenuto
inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che
riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal
giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta
non solo per la sua genericità, intesa come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le
ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non
può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel
vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 cod. proc.

a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno

pen., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (in tal
senso, fra le tante, Sez. 2, sent. n. 29108 del 15/07/2011,
Cannavacciuolo, non massimata sul punto; Sez. 5, sent. n. 28011 del
15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, sent. n. 18826 del
09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, sent. n. 19951 del
15/05/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, sent. n. 34270 del
03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, sent. n. 39598 del

22/02/2002, Palma, Rv. 221693).
3.2. Si legge in sentenza: “… quanto al reato di ricettazione, le
dichiarazioni rese dal Mano e dallo stesso Belville in sede di convalida
dell’arresto, oltre a risultare contraddittorie tra loro, appaiono del
tutto inverosimili ed incompatibili con l’epoca del furto
dell’autovettura. In particolare, il Belville, rendendo dichiarazioni
spontanee, ha riferito di essere responsabile del furto
dell’autovettura, unitamente ai correi, senza specificare le modalità
del fatto, mentre il Mano si è attribuito in via esclusiva la paternità
dello stesso, riferendo di aver “trovato” la Fiat Uno con uno spadino
inserito nel quadro di accensione e con all’interno (nel bagagliaio)
tutto l’occorrente per perpetrare la rapina, compresi i cappellini ed
uno scalda collo, poi modificati in passamontagna, e la mazza. E
l’oggettiva inverosimiglianza di tale versione, tesa evidentemente e a
mitigare la gravità delle condotte poste in essere, in uno con la
distanza temporale (quasi due mesi) tra il furto dell’autovettura ed il
rinvenimento della stessa in capo agli imputati, depone per la
configurabilità del reato di ricettazione”.
Con tali argomentazioni – come detto – il ricorrente, in concreto, non
si confronta adeguatamente, limitandosi a riproporre una diversa
“lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed
indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito
eventuali travisamenti che abbiano potuto decisivamente
condizionare la conclusiva affermazione di responsabilità.
4. Infondato è il secondo profilo di doglianza.
4.1. Nessun dubbio che in tema di concorso di persone nel reato, la
circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa
manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta
criminosa (istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto,

/2

30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, sent. n. 15497 del

agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento
del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o
autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla
realizzazione di esso) non esime il giudice di merito dall’obbligo di
motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella
fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma
essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le

confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur
prevista dall’art. 110 cod. pen., con l’indifferenza probatoria circa le
forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (cfr., Sez. 1, sent. n.
7643 del 28/11/2014, dep. 19/02/2015, Villacaro e altro, Rv.
262310).
Va peraltro evidenziato come, nella fattispecie, le lesioni personali alla
Dolce ed il danneggiamento in più punti della sua autovettura sia
stata attribuita al Belville (ed agli altri concorrenti morali) a titolo di
dolo eventuale, come espressamente affermato dal giudice di primo
grado.
4.2. Orbene, perché il concorrente morale risponda di un reato di
evento non è necessario che quest’ultimo, come per l’esecutore
materiale, sia stato da lui voluto con dolo diretto ma è sufficiente che
lo stesso sia stato voluto con dolo eventuale: il che significa che il
concorrente morale – come verificatosi nella fattispecie – deve aver
concorso all’azione dell’esecutore materiale non soltanto prevedendo
in concreto l’evento come possibile conseguenza dell’azione
concordata, ma addirittura accettandone il rischio di accadimento, pur
di realizzare l’azione concordata e sempre che l’evento non sia
soltanto una possibile conseguenza dell’azione concordata, ma rientri,
in modo diretto e conseguenziale, nello schema esecutivo di tale
azione (cfr., Sez. 1, sent. n. 7350 del 12/06/1991, dep. 08/07/1991,
Ventura, Rv. 187758, in fattispecie di tentato omicidio):
ricomprensione dei due eventi nello schema esecutivo iniziale
dell’azione testimoniato eloquentemente sia dalle condotte
antecedenti che da quelle successive ai fatti di reato da parte del
Belville, che non solo si è rappresentato ma ha anche – tacitamente
ma inequivocabilmente – aderito a tale proposito criminoso.
5. Manifestamente infondato è il terzo profilo di doglianza.

attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi

Apodittico e meramente assertivo è il richiamo alla pretesa violazione
della regola di giudizio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio”.
5.1. Si osserva al riguardo come il significato da attribuire a tale
locuzione, presente nel testo novellato dell’art. 533 cod. proc. pen.
quale parametro cui conformare la valutazione inerente
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, trovi il proprio
fondamento nel principio costituzionale della presunzione di

innocenza e nella cultura della prova e della sua valutazione, di cui è
permeato il nostro sistema processuale.
Si è, in proposito, evidenziato che detta espressione ha una funzione
meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il
«ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato ne comportava
pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530, comma 2, cod.
proc. pen.; sicché, non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in
precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed
ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di
codesta Corte Suprema – per tutte, Sez. U, sent. n. 30328 del
10/07/2002, dep. 11/09/2002, Franzese, Rv. 222139 – e solo
successivamente recepita nel testo novellato dell’art. 533 cod. proc.
pen.), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la
certezza processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (cfr.,
Sez. 2, sent. n. 19575 del 21/04/2006, dep. 07/06/2006, Serino ed
altro, Rv. 233785; Sez. 2, sent. n. 16357 del 02/04/2008, dep.
18/04/2008, Crisiglione, Rv. 239795).
In argomento, si è successivamente affermato (Sez. 2, sent. n. 7035
del 09/11/2012, dep. 13/02/2013, De Bartolomei e altro, Rv.
254025) che <<... la previsione normativa della regola di giudizio dell' "al di là di ogni ragionevole dubbio", che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell'imputato» (nello stesso senso, v. Sez. 2, sent. n. 49186 del 18/11/2015, dep. 14/12/2015, Marchioni, non massimata sul punto). 7 E, sempre la giurisprudenza di legittimità, riconosce come il principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", non possa essere utilizzato, nel giudizio di legittimità, per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto emerse in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale duplicità sia stata oggetto come nella fattispecie - di puntuale e motivata disamina da parte del giudice di appello (Sez. 1, sent. n. 53512 del 11/07/2014, dep. 23/12/2014, Gurgone, Rv. 261600). 5.2. Ciò considerato, è da escludersi che nella fattispecie si sia in presenza di una pronuncia (rectius, di due pronunce, essendovi doppia conforme sulla responsabilità) che abbiano violato detta regola di giudizio alla luce delle - del tutto coerenti ed ampiamente condivisibili - argomentazioni poste a sostegno del decisum. 6. Infondato è il quarto profilo di doglianza. Ritiene il Collegio, pur consapevole dell'esistenza di un contrasto di giurisprudenza, di dover aderire al più recente orientamento secondo cui, in tema di qualificazione soggettiva degli addetti ai servizi postali, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio il dipendente di un ufficio postale addetto all'attività contabile, svolta anche nel settore della raccolta del risparmio, in quanto la trasformazione dell'amministrazione postale in ente pubblico economico e la successiva adozione della forma della società per azioni, di cui alla legge n. 662 del 1996, non fanno venir meno la natura pubblicistica non solo dei servizi postali definiti riservati dal D.Lgs. n. 261 del 1999, ma anche dei servizi non riservati, come quelli relativi alla raccolta del risparmio attraverso i libretti di risparmio postale ed i buoni fruttiferi (c.d. 'bancoposta'), ora disciplinata dal D.Lgs. n. 284 del 1999 (Sez. 5, sent. n. 31660 del 13/02/2015, dep. 21/07/2015, Barone, Rv. 265290, in fattispecie di truffa aggravata ex art. 61 n. 10 cod. pen.). Detta conclusione trova ulteriore avallo - come da condivisibile valutazione operata nella fattispecie dai giudici di merito - nei riguardi del dipendente, unico presente in ufficio al momento del fatto, e conseguentemente, essendo di fatto preposto a tutti i servizi (postali e non) indistintamente forniti, certamente rivestente la qualità di incaricato di pubblico servizio. 7. Manifestamente infondato è il quinto profilo di doglianza. 8 Ampiamente giustificata e totalmente assente dai denunciati vizi logico-giuridici è la pronuncia della Corte territoriale in punto trattata mento sanzionatorio, diniego delle circostanze attenuanti generiche e mancata esclusione della recidiva. 7.1. Invero, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, sent. n. 5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che - nel caso di specie - non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, dep. 18/09/2009, Denaro, Rv. 245596). 7.2. Inoltre, le statuizioni relative al riconoscimento, al diniego ed al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora - come nella fattispecie - non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, sent. n. 10713 del 25/02/2010, dep. 18/03/2010, Contaldo, Rv. 245931). Scrivono al riguardo i giudici di merito: "... il ruolo svolto dal Belville il quale ... era in possesso di una pistola, non rinvenuta solo in quanto gettata durante la fuga in un luogo impervio ed inaccessibile, conduce a confermare il diniego delle circostanze attenuanti generiche e, 9 riguardo alla recidiva, i due precedenti penali per furto (sentenze del Tribunale per i Minorenni di Catanzaro del 20.11.2008 e della Corte d'appello di Catanzaro del 25.01.2010), connotano il nuovo reato di maggiore gravità sotto il profilo della capacità a delinquere dell'imputato, denotando la sua escalation criminale in un arco temporale molto breve. Tenuto conto dei parametri di cui all'art. 133 cod. pen. (omissis) ...". pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali PQM Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 15.4.2016 Il Consigliere estensore Il Presidente Dott. Andrea Pellegrino Dott.ssa Matilde Cammino 8. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc.

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