Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20788 del 15/04/2016
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20788 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: FUMU GIACOMO
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da
Chimienti Michele, n. Grumo Appula 1.1.1985
Mele Fedele Giancarlo, n. Bari 9.4.1974
avverso la sentenza in data 2.12.2014 della Corte di
appello di Bari
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi,
Udita la relazione svolta dal Consigliere dr. G. Fumu
Udita
la
requisitoria
del
Pubblico
Ministero
rappresentato dal s.p.g. dr. Enrico Delehaye, che ha
concluso per l’inammissibilità dei ricorsi
MOTIVI
DELLA
DECISIONE
1. Chimienti Michele e Mele Fedele Giancarlo impugnano
la sentenza della Corte di appello di Bari la quale, in
riforma
sfavorevole
della
sentenza
del
Giudice
Data Udienza: 15/04/2016
dell’udienza preliminare presso il Tribunale della
stessa città, ha ritenuto la sussistenza
dell’aggravante del metodo mafioso con riferimento al
reato loro ascritto di concorso in estorsione ed
aumentato corrispondentemente la pena.
Nel capo di imputazione si contestava che la richiesta
di danaro, rivolta alla persona offesa con la minaccia
di attentati ai danni del suo cantiere, fosse stata
dai
coimputati
richiamando
la
loro
“copertura” da parte di note famiglie mafiose della
zona, ed in particolare comunicando all’estorto il loro
rapporto
con
conosciuti
sodalizi
criminosi
che
avrebbero protetto gli agenti e li avrebbero vendicati
nell’ipotesi che egli avesse presentato denuncia.
Pacifici i fatti, il giudice di primo grado aveva
escluso
la
sussistenza
dell’aggravante
di
cui
all’articolo 7 del decreto-legge numero 152 del 1991,
sul presupposto che non risultasse dimostrato il legame
degli imputati con le famiglie mafiose da essi evocate
e che l’indicazione di tale legame ben avrebbe potuto
essere il frutto di mere vanterie.
Appellante il pubblico ministero il giudice di secondo
grado, richiamata la giurisprudenza costante in tema di
aggravante del così detto “metodo mafioso”, riteneva la
sussistenza della circostanza di cui all’articolo 7 del
decreto -legge numero 152 del 1991 e conseguentemente
disponeva un aumento della pena.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per
cassazione gli imputati, i quali con atto di
impugnazione comune denunciano la violazione della
legge penale con riferimento al predetto articolo 7 del
decreto-legge 152 del 1991.
Rilevano i ricorrenti che, quando il reato aggravato
dal metodo mafioso sia commesso da soggetti non
inseriti in tali associazioni, l’accertamento debba
essere condotto in maniera oggettiva tenendo conto del
contesto in cui si svolge l’azione ed analizzando il
tipo di comportamento posto in essere alla luce della
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effettuata
definizione fornita dall’articolo 416 bis del codice
penale. Osservano altresì come la Corte di appello non
abbia considerato che nel caso di specie l’aver gli
imputati indicato il nome di alcune famiglie criminali
del
luogo
non
avesse
minimamente
inciso
sull’autodeterminazione della persona offesa, tanto che
i lavori della sua azienda non erano mai stati
interrotti ed egli aveva potuto denunciare la richiesta
Le doglianze sono manifestamente infondate.
Rileva il collegio innanzi tutto che correttamente la
Corte di appello ha riformato la decisione di primo
grado in applicazione del consolidato principio di
diritto secondo cui, ai fini della configurabilità
dell’aggravante dell’utilizzazione del cosiddetto
metodo mafioso, non è necessario che sia stata
dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione
per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o
la minaccia richiamino alla mente ed alla sensibilità
del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente
mafiosa del vincolo associativo (sezione seconda, 25
marzo 2015, Campanella, rivista 263525).
Nella specie – come evidenziato nella decisione
impugnata –
la minaccia è stata accompagnata dalla
precisa indicazione delle famiglie mafiose,
ben
conosciute nella zona, che avrebbero, secondo quanto
prospettato dagli estorsori, protetto la loro azione e
vendicato la eventuale denuncia proposta nei loro
confronti. Appare evidente come si sia trattato della
evocazione di sodalizi criminali aventi il controllo
del territorio, capaci di proteggere e vendicare al di
là di ogni intervento dell’autorità gli affiliati alla
cosca o comunque i soggetti loro vicini.
Da
ciò
risulta
configurabilità
integrato
dell’aggravante,
il
presupposto
atteso
che
di
la
evocazione di associazione criminali radicate sul
territorio è idonea ad accrescere e qualificare in
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estorsiva sino a condurre all’arresto degli imputati.
termini di maggior efficacia la portata intimidatoria
della pretesa illecita.
Nessun rilievo può assumere poi la deduzione difensiva
tendente a valorizzare il fatto che la persona offesa
non si sarebbe fatta intimorire. La circostanza
aggravante di cui si parla non è configurabile o meno
secundum eventum,
cioè a seconda che la vittima sia
stata più o meno intimorita. Essa ha una struttura
ad esercitare sulle vittime del reato una particolare
coartazione psicologica e non può essere desunta dalla
mera reazione delle stesse. Peraltro questa stessa
sezione ha già avuto modo di affermare in proposito che
la ricorrenza della circostanza aggravante non può
escludersi per il fatto che l’offeso si sia
immediatamente rivolto alle forze dell’ordine (sezione
seconda, 14 ottobre 2015, Capuozzo, rivista 264900).
ricorsi
devono
pertanto
essere
dichiarati
inammissibili con le conseguenze di legge.
PQM
Dichiara i ricorsi inammissibili e condanna
ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e
ciascuno al versamento della somma di C 1500,00 in
favore della Cassa delle ammende.
Roma, 15.4.2016
Il C nsigliere est.
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Il Presidente
(Matilde Cammino)
oggettiva, riferita esclusivamente alla condotta idonea