Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20786 del 14/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20786 Anno 2016
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: D’ARRIGO COSIMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

Buonomo Fabio, nato a Napoli il 17 luglio 1991
Messere Massimo, nato a Napoli il 26 aprile 1980

avverso la sentenza n. 6127/2015 emessa in data 10 luglio 2015 dalla Corte
d’appello di Napoli.
Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere dott. Cosimo
D’Arrigo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Roberto
Aniello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 luglio 2015 la Corte d’appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza del tribunale partenopeo del 24 giugno 2014, con la
quale Fabio Buonomo e Massimo Messere e altri due coimputati non ricorrenti
erano stati condannati per il delitto di estorsione ai danni del titolare di un caseificio, riducendo la pena inflitta ad anni sei e mesi otto di reclusione ed euro
1.800 di multa.
Avverso tale decisione i due imputati hanno proposto separati ricorsi.
Il Messere si duole unicamente della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, che potevano essere giustificate in considerazione del
suo stato di incensuratezza e del ruolo minimo svolto nella vicenda delittuosa.
Il Buonomo deduce il vizio di motivazione in ordine all’entità della pena,
osservando che, sebbene questa sia stata ridotta in appello rispetto alla decisione di primo grado, appare comunque eccessivamente severa, specie in relazione
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Data Udienza: 14/04/2016

all’immotivato aumento disposto per l’aggravante di cui all’art. 7 del d.l. n.
152/91. La corte territoriale, inoltre, non avrebbe motivato sulle ragioni del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati inammissibili.
Esaminando anzitutto il motivo comune ad entrambi gli imputati – ossia
quello relativo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche –

essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non
contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico
apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse
dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008 – dep. 14/11/2008, Caridi e altri,
Rv. 242419). In sostanza, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze
attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi
indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011
– dep. 01/02/2011, Sermone e altri, Rv. 249163).
Nella specie la corte d’appello osserva che «la gravità dell’azione ed il significativo allarme sociale che simili condotte destano nella società civile, il concorso di più persone ed anche il reiterato tentativo di rendere minima la portata
delle proprie responsabilità ad onta dell’imponente materiale probatorio a carico
LA ne escludono l’applicazione». Il provvedimento impugnato, pertanto, risulta
congruamente motivato in relazione al profilo dedotto nei ricorsi degli imputati.
Quanto all’entità del trattamento sanzionatorio (oggetto di impugnazione
da parte del solo Buonomo), va ribadito che la determinazione della pena base,
l’aumento della pena nel reato continuato, nonché gli aumenti e le diminuzioni
correlati rispettivamente a circostanze aggravanti o attenuanti, rientrano nella
discrezionalità del giudice di merito, che esercita il potere di graduazione in aderenza ai principi enunciati dagli artt. 132 e 133 cod. pen. (ex plurimis, da ultimo:
Sez. 5, n. 29829 del 13/03/2015 – dep. 10/07/2015, Pedercini, Rv. 265141), sicché, in presenza di adeguata motivazione, è inammissibile la censura che, nel
giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena.
Tali requisiti sono certamente soddisfatti dalla sentenza in esame, che
motiva sulla riduzione della pena inflitta in primo grado, evidenziando limitato
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occorre ricordare che la loro sussistenza è oggetto di un giudizio di fatto e può

arco temporale dei fatti e le modalità intimidatorie non sorrette dall’uso effettivo
di armi. Tale motivazione si riferisce, ovviamente, l’intero trattamento sanzionatorio, in esso incluso anche l’aumento per l’attenuante a effetto speciale di cui
all’art. 7 del d.l. n. 152/91, sicché il ricorso del Buonomo risulta palesemente inammissibile anche sotto questo profilo.
In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condan-

colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di € 1.500,00, così equitativamente
stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di € 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 aprile 2016.

nata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di

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