Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20785 del 14/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20785 Anno 2016
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: D’ARRIGO COSIMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– Sansevero Simone, nato a Cisternino (BR) il 6 agosto 1968
avverso la sentenza n. 906/2015 emessa in data 18 maggio 2015 dalla Corte
d’appello di Lecce.
Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere dott. Cosimo
D’Arrigo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Roberto
Aniello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Martino Bruno, che ha insistito nell’accoglimento del
ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 maggio 2015 la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del 17 aprile 2013 del Tribunale di Brindisi – sezione distaccata
di Fasano – con la quale Simone Sansevero veniva condannato alla pena di mesi
dieci di reclusione per i reati di tentata truffa ai danni della compagnia assicurativa Allianz s.p.a. e simulazione di reato ed assolto, perché il fatto non sussiste,
dall’imputazione di truffa consumata ai danni della Milano Assicurazioni s.p.a.
Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione allegando due motivi.
Con il primo motivo di ricorso l’imputato denuncia l’erronea applicazione
dell’art. 500 cod. proc. pen. in quanto i giudici di merito avrebbero considerato
come fonte di prova le dichiarazioni rese dal teste Giovanni Pignatelli nella fase
delle indagini preliminari; dichiarazioni che hanno costituito oggetto di contesta1

Data Udienza: 14/04/2016

zione in dibattimento e che, dunque, si sarebbero potuto utilizzare solo al fine di
valutare l’attendibilità del teste. Aggiunge che pure l’escussione del teste Agostino Zizzi sarebbe stata caratterizzata da evidenti titubanze, tali da inficiarne la
credibilità.
Con il secondo motivo di ricorso è censurata l’illogicità della ricostruzione
in punto di fatto elaborata dai giudici di merito, con particolare riferimento alla
dinamica del sinistro, da un lato, e alle risultanze della sentenza del Tribunale di
Brindisi n. 98/2013, dall’altro.

1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
2. In relazione al primo motivo di ricorso, l’imputato sostiene che il teste
Giovanni Pignatelli avrebbe riferito in dibattimento una versione dei fatti diversa
da quella esposta durante le indagini preliminari; che sarebbero state pertanto
legittimamente contestate, dalla difesa della parte civile, le dichiarazioni rese
dallo stesso nella fase delle indagini preliminari; che, errando, i giudici di merito
avrebbero utilizzato queste ultime come fonte di prova anziché al solo fine di valutare l’attendibilità del teste.
Tale prospettazione collide con quanto ritenuto dalla corte d’appello, che
scrive: «il teste Giovanni Pignatelli in sede dibattimentale, nel confermare le dichiarazioni rese nel corso delle indagini (dichiarazioni assolutamente utilizzabili,
trovando applicazione il disposto di cui all’art. 500, co. 2, c.p.p. solo nel caso di
discordanza tra dichiarazioni dibattimentali dichiarazioni rese in precedenza oggetto di contestazione) ha riferito…». È dunque evidente, senza entrare nel merito della vicenda, che il giudice d’appello ha ritenuto insussistente qualsivoglia discordanza fra le dichiarazioni dibattimentali e quelle precedentemente rese.
A fronte di una così netta presa di posizione, il ricorrente avrebbe dovuto
provvedere ad allegare il verbale dell’escussione testimoniale del Pignatelli (riportato in ricorso solo per brevissimi stralci, che non rendono affatto conto
dell’effettivo tenore della deposizione) e quello, utilizzato ai fini della contestazione, di sommarie informazioni raccolte nel corso delle indagini, così consentendo alla Corte di raffrontarne il contenuto e verificare la sussistenza della lamentata violazione.
In assenza di tale produzione, il ricorso è inammissibile per difetto del requisito dell’autosufficienza.
3. Non incontra miglior sorte il secondo motivo di ricorso. Lo stesso, per
ammissione dello stesso ricorrente, riguarda la ricostruzione in punto di fatto e la
verosimiglianza della dinamica del sinistro. Tali censure, attenendo al merito del2

CONSIDERATO IN DIRITTO

la decisione, non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
Infatti, non hanno rilevanza le censure che si limitano a offrire una lettura
alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte
di cassazione si risolve sempre in un giudizio di legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova
valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti, non deve accertare se la
decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia

prezzamento (v. Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006 – dep. 03/11/2006, Bruzzese,
Rv. 235510; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007 – dep. 28/09/2007, Servidei, Rv.
237652; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007 – dep. 22/02/2007, Messina ed altro,
Rv. 235716).
Il ricorrente si lamenta, infine, della circostanza che la ricostruzione dei
fatti accreditata presso i giudici di merito si porrebbe in contraddizione con quella
contenuta nella sentenza n. 98 del 2013 del Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Fasano, divenuta irrevocabile. Anche in tal caso, l’omessa allegazione di
una sentenza relativa ad altro giudizio rende impossibile l’esame della censura
per difetto di autosufficienza.

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 1.500,00, così equitativamente
stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 aprile 2016.

compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di ap-

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