Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20784 del 14/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20784 Anno 2016
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: D’ARRIGO COSIMO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Russo Andrea, nato a Foggia 1’11 marzo 1962
Odorico Alessandro Antonio, nato a Milano il 7 aprile 1974
Altomare Lazzaro, nato a Rodi Garganico (FG) il 6 gennaio 1958
avverso la sentenza n. 3280/2015 emessa in data 24 aprile 2015 dalla Corte
d’appello di Milano.
Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere dott. Cosimo
D’Arrigo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Roberto
Aniello, che ha concluso per l’inammissibilità di tutti i ricorsi;
udito il difensore avv. Gabriella Ubertini, nell’interesse di Andrea Russo,
che ha insistito nell’accoglimento del ricorso;
udito il difensore avv. Massimo Salvoldi, nell’interesse di Alessandro
Antonio Odorico e, per delega dell’avv. Daniele Barelli, anche nell’interesse di
Lazzaro Altomare, che ha insistito nell’accoglimento dei ricorsi;

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Milano, con sentenza del 25 settembre 2013, ha
condannato Andrea Russo, Alessandro Antonio Odorico e Lazzaro Altomare per
aver fatto parte – unitamente ad altri otto coimputati non ricorrenti ed altri
ancora giudicati separatamente – di un’associazione a delinquere finalizzata alla
commissione di una serie di truffe ai danni di istituti di credito.
Con sentenza del 24 aprile 2015, la Corte d’appello di Milano ha
parzialmente riformato la sentenza di primo grado, dichiarando non doversi

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Data Udienza: 14/04/2016

procedere nei confronti di Andrea Russo per i reati di cui ai capi V, W, Y e Z,
perché estinti per prescrizione. Inoltre, esclusa l’aggravante di cui all’art. 416,
comma 5, cod. pen., ha ridotto la pena inflitta ad Andrea Russo ad anni quattro
di reclusione e quella inflitta ad Alessandro Odorico e Lazzaro Altomare ad anni
due e mesi quattro di reclusione. Ha altresì revocato la pena accessoria
dell’interdizione legale applicata al Russo, sostituendo per il medesimo imputato
la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella di
durata quinquennale; ha revocato la pena accessoria dell’interdizione

ha infine revocato la provvisionale a favore della parte civile, confermando del
resto le statuizioni civili.
Contro la sentenza d’appello hanno proposto separatamente ricorso per
cassazione il Russo, l’Odorico e l’Altomare, con l’assistenza dei rispettivi
difensori.
2. Andrea Russo prospetta sei motivi di ricorso.

Il primo concerne la violazione e la falsa applicazione delle norme relative
ai profili processuali e sostanziali dell’azione civile, nonché il vizio di motivazione
in ordine sugli stessi punti. Sostiene, in particolare, che Unicredit s.p.a. non
fosse legittimata ad avanzare alcuna pretesa risarcitoria o restitutoria nei suoi
confronti, quantomeno con riferimento all’imputazione di associazione a
delinquere. La giurisprudenza richiamata dalla corte di merito a sostegno della
propria decisione non sarebbe pertinente.
Il secondo motivo di ricorso concerne l’acquisizione del verbale
d’interrogatorio reso dall’imputato nel corso delle indagini. Osserva al riguardo
che il P.M. non aveva chiesto di procedere al suo esame e che egli, rimasto
contumace, aveva legittimamente fatto affidamento sulle istanze istruttorie
formulare dalle parti in contraddittorio, non potendo immaginare che – subito
prima che il tribunale si ritirasse in camera di consiglio – potesse trovare
accoglimento la richiesta di acquisizione del verbale in parola.
Con il terzo motivo di ricorso il Russo denuncia la violazione degli artt.
192 e 197-bis cod. proc. pen. in relazione alla valutazione di attendibilità del
chiamante in correità Stefano Fellegara (giudicato separatamente), effettuata in
base a materiale probatorio esterno al procedimento.
Con il quarto motivo di ricorso l’imputato si duole della falsa applicazione
dell’art. 416 cod. pen., osservando che nella specie difetterebbero gli elementi
costitutivi della fattispecie dell’associazione a delinquere, ossia l’accordo fra i
sodali, l’indeterminatezza del disegno criminoso e una struttura organizzativa
anche minima ma idonea e adeguata a realizzare il programma delittuoso.
Il quinto motivo concerne le limitate ipotesi di truffa che gli sono rimaste
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temporanea dai pubblici uffici applicata nei confronti dell’Odorico e dell’Altomare;

addebitate dopo la dichiarazione di prescrizione di una parte considerevole delle
stesse. In proposito, il Russo segnala l’inesistenza di artifizi e raggiri idonei a far
cadere la vittima in errore, elemento quest’ultimo che va tenuto distinto dalla
semplice ignoranza o dal dubbio.
Il sesto motivo è relativo al diniego delle attenuanti generiche: avendo
egli indicato, con l’atto d’appello, elementi specifici che gli sarebbero dovuti
valere il riconoscimento dell’invocato beneficio, la motivazione della sentenza
impugnata sarebbe carente avendo omesso di esaminare ognuno dei profili

3. Alessandro Antonio Odorico, condannato unicamente per il delitto di

associazione a delinquere, ha formulato dieci motivi di ricorso, dei quali i primi
sette censurano, sotto vari profili, l’erronea applicazione dell’art. 416 cod. pen.
ed il vizio di motivazione in relazione all’affermazione della sua responsabilità
penale.
In sostanza, l’imputato pone in evidenza di aver avuto solamente rapporti
(risalenti nel tempo) con il Russo e di aver incontrato una sola volta il
coimputato Stefano Fellagara (giudicato separatamente). Deduce, quindi, che
non sussisterebbe la configurabilità neppure astratta del reato contestatogli, dal
momento che non ricorreva il numero minimo di tre o più persone riunite.
Aggiunge di non aver svolto alcuna attività illecita, bensì di essersi limitato
all’esercizio della sua ordinaria attività professionale di promotore finanziario.
D’altronde, se egli avesse davvero agito nell’interesse della pretesa associazione
a delinquere, i funzionari delle banche da lui individuati come compiacenti non
avrebbero reso le pratiche. Si duole della circostanza che altro coimputato non
ricorrente (tale Nicola Armenise) sia stato assolto, benché i due rivestissero
analoghe funzioni, salvo essere l’altro suo superiore gerarchico. Sottolinea che le
intercettazioni poste a fondamento della sua condanna sono successive al
settembre 2007, momento in cui la pretesa associazione a delinquere ha
certamente cessato di operare. La corte d’appello, quindi, avrebbe omesso di
motivare sulle specifiche prospettazioni dell’imputato, che proclamava la propria
innocenza.
Con l’ottavo motivo di ricorso, l’Odorico si duole del fatto che gli sia stata
inflitta la medesima pena applicata anche al coimputato Lazzaro Altomare,
sebbene a quest’ultimo sia attribuita una condotta criminosa assai più grave.
Il nono motivo è relativo all’omessa motivazione in ordine al diniego della
concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il decimo motivo concerne, infine, le statuizioni civili. Sul punto l’Odorico
osserva la corte d’appello, nel revocare le condanne provvisionali anziché ridurle
ad un importo minore, ha sostanzialmente dato atto dell’inesistenza della prova
3

dedotti.

di alcun danno, sicché sarebbe contraddittoria la decisione di mantenere ferme le
statuizioni civili disposte dal giudice di primo grado, revocando la sola condanna
provvisionale.
4. Lazzaro Altomare ha posto fondamento del proprio ricorso un unico
motivo, declinato nei termini della mancanza e manifesta illogicità della
motivazione. Sostiene che la sentenza di primo grado non avrebbe specificato in
alcun modo il ruolo attivo che egli avrebbe avuto all’interno dell’associazione per
delinquere, restando pertanto incomprensibile la ragione della sua condanna.

d’appello, la corte territoriale avrebbe omesso di motivare in riferimento a questa
precisa doglianza. Si duole poi della circostanza che il collegio di merito avrebbe
fondato l’affermazione della sua responsabilità unicamente sul contenuto di
talune conversazioni telefoniche e di alcuni colloqui aventi, a parere degli uffici
giudiziari meneghini, ad oggetto le pratiche illecite; nel fare ciò, i giudici di
merito avrebbero invertito l’onere della prova, affermando a più riprese che
sarebbe spettato a lui dimostrare la liceità delle pratiche di cui si parlava delle
conversazioni intercettate. Aggiunge, infine, che la sentenza impugnata non
contiene alcuna specifica individuazione del

modus operandi

utilizzato dai

compartecipi, della serialità delittuosa richiesta dalla norma incriminatrice e della
presenza di una struttura organizzativa adeguata, caratterizzata dalla
ripartizione dei ruoli tra i diversi consociati e dotata di una indispensabile base
operativa.
L’Altomare ha poi depositato una memoria difensiva con la quale, in via
subordinata, chiede che sia prenda atto dell’intervenuta prescrizione del reato
addebitatogli,
CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Tutti i ricorsi sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati
inammissibili in ordine a ciascuno dei profili dedotti.
6.1. Con il primo motivo di ricorso il Russo sostiene che la Banca

Unicredit s.p.a. non sarebbe legittimata ad esercitare l’azione civile in sede
penale in relazione al reato associativo, di cui l’Istituto di credito non può
considerarsi parte offesa.
Sul punto questa Corte ha invece già chiarito che, in tema di risarcimento
del danno, il soggetto legittimato all’azione civile non è solo il soggetto passivo
del reato (cioè il titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice), ma
anche il danneggiato, ossia chiunque abbia riportato un danno eziologicamente
riferibile all’azione od omissione del soggetto attivo del reato, con la
conseguenza che, ove un reato si inquadri nel piano criminoso di una
associazione per delinquere, la vittima del reato fine (nella specie rapina) è
4

Sebbene tale difetto di motivazione fosse stato denunziato già con l’atto

legittimata a costituirsi parte civile sia per il reato fine che per quello associativo
(Sez. 2, n. 4380 del 13/01/2015 – dep. 30/01/2015, Lauro e altro, Rv. 262371).
Consegue la piena legittimazione di Banca Unicredit s.p.a. a costituirsi
parte civile anche per il reato associativo, dal momento che essa è stata
quantomeno danneggiata dall’azione dell’associazione criminale.
6.2.

Anche la doglianza relativa all’acquisizione del verbale di

interrogatorio reso dall’imputato nel corso delle indagini è manifestamente
infondata.

delle dichiarazioni rese dall’imputato se lo stesso è contumace, assente o rifiuti
di sottoporsi ad esame. Pertanto, il rifiuto dell’imputato di sottoporsi ad esame
costituisce solo una delle eventualità in cui è consentita la lettura delle
dichiarazioni rese dallo stesso e non esaurisce l’ambito di applicazione della
norma. Nella specie il Russo è rimasto contumace nel primo grado di giudizio,
sicché si è legittimamente proceduto alla lettura delle sue precedenti
dichiarazioni, a nulla rilevando la circostanza che lo stesso il P.M. non ne avesse
chiesto l’esame.
6.3 Il terzo motivo di ricorso concerne la valutazione di attendibilità del

chiamante in correità Stefano Fellegara (giudicato separatamente), effettuata secondo il Russo – in base a materiale esterno al procedimento e quindi in
violazione degli artt. 197-bis e 192 cod. proc. pen.
In realtò, il tribunale ha congruamente motivato sull’attendibilità
intrinseca del Fellegara (indotto a confessare i fatti illeciti di cui si era reso
autore a seguito dell’esperienza carceraria subita per effetto di una chiamata in
correità da parte di esponenti della criminalità organizzata calabrese, con cui il
Russo aveva stretto rapporti ma ai quali il Fellegara invece non voleva legarsi);
sull’attendibilità oggettiva, avuto riguardo alla precisione, coerenza e specifica
articolazione dei fatti raccontati; sull’esistenza di riscontri estrinseci,
rappresentati dalla documentazione acquisita nel corso delle perquisizioni e
presso i registri della conservatoria immobiliare e dalle risultanze dell’attività di
intercettazione (peraltro il tribunale ha correttamente operato una valutazione
frazionata delle dichiarazioni del Fellegara, verificando la sussistenza di riscontri
per ciascun imputato e ciascun episodio criminoso contestato).
La corte d’appello, rispondendo a uno specifico motivo di impugnazione,
ha poi precisato che le dichiarazioni del Fellegara trovano riscontro sostanziale
nelle ammissioni rese dal Russo nel verbale di interrogatorio come sopra
acquisito (par. 6.2), osservando che «non hanno alcun fondamento le censure
mosse in ordine all’accertamento sia del preciso valore degli immobili sia
dell’entità precisa dei redditi delle persone indicate come acquirenti (sulla cui
5

L’art. 513 cod. proc. pen., nel prevede la possibilità che sia data lettura

natura di prestanome non vi è alcun dubbio), sia sull’esatta entità
dell’inadempienza nei confronti delle banche», stante l’evidente rilievo marginale
che tali dati hanno rispetto alla ricostruzione complessiva della dinamica dei fatti
delittuosi in esame e dell’attendibilità del chiamante in correità.
Pertanto, la decisione impugnata si sottrare, anche sotto questo profilo,
alle censure esposte in ricorso.
6.4 Con il quarto motivo di ricorso, il Russo denuncia la falsa applicazione

dell’art. 416 cod. pen., giacché nella specie mancherebbero gli elementi

sodali, l’indeterminatezza del disegno criminoso e una struttura organizzativa
anche minima ma idonea ed adeguata a realizzare il programma delittuoso.
Anche tale motivo è manifestamente infondato.
Si tratta, infatti, della mera riproposizione di una doglianza già vagliata
dalla corte d’appello, che sul punto non manca di sottolineare l’esistenza di
«un’attività complessivamente organizzata»,

nonché «il numero stesso delle

pratiche illecite […] relative a una pluralità di immobili e con il ricorso a diversi
soggetti in qualità di prestanome». Tali elementi sono certamente idonei a
dimostrare l’esistenza di uno stabile accordo fra i compartecipi all’associazione e
l’indeterminatezza dell’accordo criminoso.
Quanto alla partecipazione diretta del Russo nell’associazione, la corte
territoriale osserva che costui ha utilizzato la propria qualità professionale per
agevolare la commissione dei reati fine.
Pertanto, la censura in esame si rivolve nella mera prospettazione di una
ricostruzione alternativa in punto di fatto, inammissibile nel giudizio di
legittimità.
6.5 II quinto motivo concerne l’inesistenza di artifizi e raggiri idonei a far

cadere in errore le vittime delle ipotesi di truffa che gli sono rimaste addebitate
al Russo dopo la dichiarazione di prescrizione di una parte considerevole delle
stesse.
In realtà, l’uso di documentazione falsa e la creazione di una situazione di
mera apparenza che induceva gli istituti di credito a deliberare la concessione di
mutliche altrimenti non sarebbero stati erogati, costituisce in modo univoco una
condotta fraudolenta volta a trarre in inganno la persona offesa.
In tale contesto appare del tutto irrilevante la distinzione – su cui si
sofferma il Russo – fra errore e semplice ignoranza o dubbio. In dato
acquisirebbe rilievo se le persone offese fossero cadute in equivoco per fatto
proprio, mentre nella specie gli errori percettivi delle persone offese sono dipesi
dalla situazione ingannevole posta in essere dagli imputati.
6.6 Infine, anche la doglianza relativa al mancato riconoscimento delle

6

costitutivi della fattispecie dell’associazione a delinquere, ossia l’accordo fra i

attenuanti generiche si rivela infondata perché la motivazione sul punto è
immune da censure.
Infatti, in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la
ratio della disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di
merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva,
essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante
rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste
ultime possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali

implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità (Sez. 2, n. 3896 del
20/01/2016 – dep. 29/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826)
7.1 I primi sette motivi del ricorso proposto dall’Odorico possono essere
trattati unitariamente, in quanto tutti censurano, sotto vari profili, l’erronea
applicazione dell’art. 416 cod. pen. ed il vizio di motivazione in relazione
all’affermazione della sua responsabilità penale.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre il vizio di
motivazione illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità
o contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità
fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Sez. 1, n. 3262 del
25/05/1995 – dep. 06/07/1995 – Rv. 202133). In altri termini, occorre che il
giudice abbia omesso del tutto di prendere in considerazione il punto sottoposto
alla sua analisi, talché la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di
esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è
fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono
aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti (Sez. 4, n.
10456 del 15/11/1996 – dep. 05/12/1996 – Rv. 206322).
Tali conclusioni restano ferme pur dopo la legge n. 46 del 2000 che,
innovando sul punto l’art. 606 lett. e) c.p.p., consente di denunciare i vizi di
motivazione con riferimento ad “altri atti del processo”. Alla Corte di cassazione
resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di
una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la
motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di
rappresentare e spiegare l’iter logico seguito (ex plurimis: Sez. 1, n. 42369 del
16/11/2006 – dep. 28/12/2006, De Vita, Rv. 235507; Sez. 6, n. 47204 del
07/10/2015 – dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482).
Quindi, anche dopo la novella, non hanno rilevanza le censure che si
limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal
7

dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure

momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un
giudizio di legittimità e la verifica sulla correttezza e completezza della
motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze
acquisite. La Corte, infatti, non deve accertare se la decisione di merito propone
la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Sez. 6, n. 36546
del 03/10/2006 – dep. 03/11/2006, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 4, n. 35683 del

11/01/2007 – dep. 22/02/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Nella specie l’imputato si è invece limitato a proporre una ricostruzione
alternativa in punto di fatto e una diversa lettura del materiale probatorio
acquisito agli atti. Si tratta, quindi, di doglianze manifestamente inammissibili in
sede di legittimità.
7.2 Con l’ottavo motivo di ricorso, l’Odorico si duole della misura della
pena, ritenuta ingiustamente grave specie se raffrontata con quella inflitta al
coimputato Altomare, che ha avuto la medesima condanna sebbene gli sia stata
attribuita una condotta criminosa assai più grave.
In realtà, la diversa gravità della condotta dell’Altomare, compartecipe
dell’associazione per delinquere allo stesso modo dell’Odorico, costituisce il
portato di una valutazione soggettiva del ricorrente, evidentemente non
condivisa dai giudici di merito.
Piuttosto, la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del
giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza
ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova
valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di
mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione.
(Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – dep. 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142; Sez.
3, n. 1182 del 17/10/2007 – dep. 11/01/2008, Cilia e altro, Rv. 238851).
7.3 Il nono motivo è relativo al diniego della concessione delle circostanze
attenuanti generiche. Sul punto va richiamato quando già osservato a proposito
dell’analoga doglianza proposta dal Russo (par. 6.6).
7.4 II decimo motivo concerne, infine, le statuizioni civili. A parere del
ricorrente, la corte d’appello, revocando del tutto le condanne provvisionali
anziché ridurle ad un importo minore, avrebbe implicitamente ammesso che non
vi è prova di alcun danno, sicché sarebbe contraddittoria la decisione di
mantenere per la condanna generica al risarcimento.
Nella decisione censurata non si coglie, invece, alcuna contraddizione: la
8

10/07/2007 – dep. 28/09/2007, Servidei, Rv. 237652; Sez. 2, n. 7380 del

condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale,
pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla
costituita parte civile, non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta
esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l’accertamento della
potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza – desumibile anche
presuntivamente, con criterio di semplice probabilità – di un nesso di causalità
tra questo ed il pregiudizio lamentato, restando perciò impregiudicato
l’accertamento riservato al giudice civile sulla liquidazione e l’entità del danno, ivi

eziologicamente collegato all’evento illecito (Sez. 3, n. 36350 del 23/03/2015 dep. 09/09/2015, Bertini e altri, Rv. 265637).
8. Con un unico ed articolato motivo l’Altomare denuncia la mancanza o
la manifesta illogicità della motivazione. In realtà, le sue deduzioni consistono in
una prospettazione alternativa in punto di fatto fondata su una diversa lettura
degli elementi di prova a suo carico e sull’enfatizzazione di elementi a discolpa.
Valga in proposito quanto già osservato in precedenza a proposito delle
analoghe doglianze del coimputato Odorico (par. 7.1). Una simile prospettazione
esula dall’ambito degli accertamenti che possono essere richiesti alla Corte di
cassazione e deve essere, pertanto, dichiarata inammissibile.
9. Dall’inammissibilità dei ricorsi deriva l’irrilevanza della prescrizione del
reato maturata dopo la pronunzia della sentenza di secondo grado, dedotta
espressamente nelle memorie difensive dell’Altomare. In proposito va richiamato
l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui l’inammissibilità
del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non
consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto,
la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art.
129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, Rv.
217266; da ultimo: Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013 – dep. 08/07/2013,
Ciaffoni, Rv. 256463).
Nella specie, il termine prescrizionale dei residui reati (altri sono già stati
dichiarati estinti in secondo grado) sarebbe interamente decorso solo dopo la
pubblicazione della sentenza di appello. Pertanto, non risulta essersi verificata
l’invocata prescrizione.
10. In conclusione, tutti i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 1.500,00, così
9

compresa la possibilità di escludere l’esistenza stessa di un danno

equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.
P. Q. M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 aprile 2016.

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