Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20781 del 14/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20781 Anno 2016
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: D’ARRIGO COSIMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– Mbengue Matar, nato in Senegal il 10 giugno 1954
avverso la sentenza n. 3203/2014 emessa in data 10 ottobre 2014 dalla Corte
d’appello di Bologna.
Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere dott. Cosimo
D’Arrigo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Roberto
Aniello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 10 ottobre 2014, ha confermato la condanna alla pena di mesi uno di reclusione ed euro 100,00 di multa,
inflitta dal Tribunale di Reggio Emilia in data 17 novembre 2011 a Mbengue Matar per i delitti di cui agli artt. 474 e 648 cod. pen.
L’imputato – che, in sostanza, è stato trovato mentre esponeva per la
vendita alcune borsette da donna con il marchio «Luis Vuitton» – ha proposto ricorso avverso detta sentenza deducendo, con due distinti motivi di ricorso, la
falsa applicazione degli artt. 474 e 648 cod. pen.
Quanto al reato di cui all’art. 478 cod. pen., l’imputato sostiene che nella
specie mancherebbe la materialità del fatto non essendovi marchio o segno distintivo che possa dirsi contraffatto, stante l’impossibilità di confondere le borsette in suo possesso con quelle originali.
Quanto al delitto di ricettazione, osserva che egli sarebbe stato accusato
solo perché il commerciante cinese che gli avrebbe fornito la merce pratica prezzi
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Data Udienza: 14/04/2016

talmente bassi da sfidare ogni concorrenza, sicché insistere su tale argomento si
risolverebbe in un atteggiamento xenofobo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
Va premesso che il ricorso risente della circostanza di essere stato predisposto personalmente dall’imputato, evidentemente sprovvisto di qualsiasi conoscenza giuridica. Le doglianze, infatti, si risolvono in considerazioni generiche

fana” del vigile urbano che ha operato il sequestro, in citazioni di filosofi francesi
e in accuse di xenenofobia dalle quali è molto difficile estrapolare un reale argomento di diritto.
Dalla confusa esposizione sembra comunque evincersi che la ragione del
dolersi sta nel fatto che il marchio impresso sulla merce non sarebbe perfettamente uguale a quello originale, in quanto il logo è composto dalle lettere “X” ed
“L” sovrapposte (piuttosto che dalle lettere “V” ed “L”) e la stella è a cinque punte anziché quattro.
Il problema prospettato dal ricorrente non concerne la grossolanità del
falso, su cui invece si sofferma la Corte d’appello, bensì dell’esistenza degli elementi costitutivi del reato, rilevante anche ai fini della qualificazione giuridica del
fatto, nell’alternativa fra le fattispecie configurate dagli artt. 474 e 517 cod. pen.
Ciò posto, il fatto emerso dall’istruttoria dibattimentale risulta correttamente qualificato e il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Infatti, integra il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la
vendita di prodotti recanti marchio contraffatto; né, a tal fine, ha rilievo la configurabilità della cosiddetta contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474
cod. pen. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione
dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei
marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e nemmeno
ricorre l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione
e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti
siano tratti in inganno (Sez. 2, n. 20944 del 04/05/2012 – dep. 31/05/2012, P.G.
in proc. Diasse, Rv. 252836),
Al contrario, ai fini della configurabilità del reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517 cod. pen.) – che ha per oggetto la tutela
dell’ordine economico, piuttosto che la pubblica fede – è necessario che il mar2

sulla linea delle automobili Ferrari e sulla “rozza e approssimativa mentalità pro-

chio anche solo imitato, non necessariamente contraffatto, sia idoneo a trarre in
inganno l’acquirente sull’origine, qualità o provenienza del prodotto da un determinato produttore (Sez. 5, n. 9389 del 04/02/2013 – dep. 27/02/2013, P.M.
in proc. Zhu e altro, Rv. 255227).
In sintesi, il reato di cui all’art. 474 cod. pen. («introduzione nello Stato e
commercio di prodotti con segni falsi») ha per oggetto la tutela della fede pubblica e richiede la contraffazione o l’alterazione del marchio e/o del segno distintivo
della merce, laddove il reato di cui all’art. 517 cod. pen. («vendita di prodotti in-

chiede la semplice imitazione del marchio, non necessariamente registrato o riconosciuto, purché detta imitazione sia idonea a trarre in inganno gli acquirenti
(Sez. 5, n. 31482 del 19/06/2007 – dep. 02/08/2007, Balsamo e altro, Rv.
237578).
Nella specie, la contraffazione, ancorché grossolana, del marchio risulta
idonea a offendere la pubblica fede, ma non anche a fornire informazioni fuorvianti circa la qualità e la provenienza del prodotto, anche in considerazione delle
condizioni e delle modalità con le quali il prodotto medesimo era posto in vendita. Il fatto, dunque, è penalmente rilevante e va ascritto – come correttamente
ritenuto nel capo d’imputazione – alla fattispecie di cui all’art. 474 cod. pen.
Il secondo motivo di ricorso è più difficile da decifrare, essendo del tutto
incomprensibile cosa c’entrino i prezzi competitivi dei commercianti cinesi e i
pretesi atteggiamenti xenofobi con la palese constatazione che la merce realizzata con un marchio contraffatto deve considerarsi di fattura illecita e la sua ricezione integra gli estremi del delitto di ricettazione.
Il delitto di ricettazione, infatti, è configurabile anche nell’ipotesi di acquisto o ricezione, al fine di profitto, di cose con segni contraffatti nella consapevolezza dell’avvenuta contraffazione, atteso che la cosa nella quale il falso segno è
impresso – e che con questo viene a costituire un’unica entità – è provento della
condotta delittuosa di falsificazione prevista e punita dall’art. 473 cod. pen. (Sez.
U, n. 23427 del 09/05/2001 – dep. 07/06/2001, P.M. in proc. Ndiaye, Rv.
218770)
D’altro canto, il delitto di ricettazione (art. 648 cod. pen.) e quello di
commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 cod. pen.) possono concorrere,
atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo
strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore (Sez. U, n. 23427 del 09/05/2001 – dep. 07/06/2001, P.M. in proc.
Ndiaye, Rv. 218771; Sez. 2, n. 12452 del 04/03/2008 – dep. 20/03/2008, P.G.
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dustriali con segni mendaci») ha per oggetto la tutela dell’ordine economico e ri-

in proc. Altobello, Rv. 239745).
Anche questa doglianza è quindi manifestamente infondata.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 1.500,00, così equitativamente

P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 aprile 2016.

stabilita in ragione dei motivi dedotti.

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