Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20780 del 14/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 20780 Anno 2016
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: D’ARRIGO COSIMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– Mapelli Nicola, nato a Parma il 23 aprile 1960
avverso la sentenza n. 2433/2014 emessa in data 8 luglio 2014 dalla Corte
d’appello di Bologna.
Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere dott. Cosimo
D’Arrigo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Roberto
Aniello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Oberdan Iacone, che ha insistito nell’accoglimento
del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza dell’8 luglio 2014, ha confermato la condanna alla pena di mesi 6 di reclusione ed euro 300,00 di multa, inflitta dal Tribunale di Forlì in data 27 maggio 2008 a Nicola Mapelli per il delitto
di truffa ai danni della “Boutique della Ceramica Salaroli s.a.s.”.
L’imputato ha proposto ricorso denunziando il vizio di motivazione della
sentenza impugnata sotto un doppio profilo. Per un verso, sostiene che i giudici
di merito avrebbero affermato come veri tre elementi indicati nell’imputazione
ma del tutto sprovvisti di riscontro probatorio (il fatto che il Mapelli avesse contrattato a nome per conto della ditta “Selezione i Grandi Vini d’Italia”; la circostanza che questa fosse inattiva o prossima all’inattività; l’irreperibilità del Mapelli, pressoché immediatamente successiva al fatto). Per altro verso, il ricorrente sostiene che la sentenza d’appello sarebbe contraddittoria nella parte in cui
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Data Udienza: 14/04/2016

conferma quella di primo grado pur affermando un fatto opposto a quello ritenuto dal primo giudicante (il primo giudicante ha scritto «… la falsa prospettazione
della qualità rivestita…», laddove nella sentenza della corte d’appello si legge «…
la rappresentazione della contrattazione nome per conto di una società in realtà
inattiva o prossima all’inattività…»).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

motivazione dei giudici di merito, incentrandosi soltanto su piccoli frammenti della stessa al fine di sostenerne vizi di carattere logico-formale. Si tratta, peraltro,
di aspetti del tutto secondari rispetto alla dinamica dei fatti. Si consideri, ad esempio, l’assoluta irrilevanza del fatto che il Mapelli vero o falso rappresentante
della “Selezione i Grandi Vini d’Italia”. L’imputato non nega di aver consegnato
agli addetti alla vendita due assegni privi di provvista ed il fatto che egli spendesse, a buon titolo oppure falsamente, il nome della società testé menzionata
costituiva, in ogni caso, parte degli artifizi e raggiri posti in essere per apparire
più “credibile” e indurre in inganno gli impiegati della “Boutique della Ceramica
Salaroli s.a.s.”. Ancora più marginali risultano i profili relativi all’inattività della
“Selezione i Grandi Vini d’Italia” e alla successiva irreperibilità del Mapelli.
In sostanza, non può dirsi neppure che il ricorrente abbia prospettato una
ricostruzione alternativa in punto di fatto (ovviamente comunque inammissibile
in sede di legittimità), essendosi limitato ad affermare che i giudici di merito avrebbero ritenuto, in carenza di adeguate prove, la sussistenza di alcuni aspetti
del tutto secondari e periferici della vicenda, senza però negare la sostanza della
stessa.
Ancora più sfuggente è il contenuto del secondo motivo di ricorso, in
quanto è evidente, da un lato, che non vi è alcuna contraddittorietà della motivazione di una sentenza di appello che confermi quella di primo grado, pur ricostruendo in modo diverso un aspetto del tutto marginale della dinamica dei fatti
criminosi; dall’altro, non è neppure vero che sul punto indicato dal ricorrente le
sentenze di primo e secondo grado divergano, trattandosi semplicemente di due
diverse espressioni letterali che tuttavia si prestano ad essere intese in senso
perfettamente convergente.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di
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Le doglianze dell’imputato prescindono da una lettura complessiva della

colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 1.500,00, così equitativamente
stabilita in ragione dei motivi dedotti.
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 aprile 2016.

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