Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 20780 del 13/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 20780 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: APRILE STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAVASI FELICE nato il 13/07/1957 a MILANO

avverso la sentenza del 25/01/2017 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
sentita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE;
sentite le conclusioni del PG MARIA GIUSEPPINA FODARONI che conclude per
l’inammissibilita’ del ricorso.
Udito il difensore
– avvocato AUGIMERI ANTONIA RITA del foro di MILANO in difesa della parte
civile si associa alle richieste del PG;
– avvocato BALOSSI GIORDANO del foro di MILANO in difesa del ricorrente che
insiste per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 13/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, la Quinta Sezione Penale della Corte di
Cassazione ha rigettato, per quanto qui interessa, il ricorso presentato
nell’interesse di Felice RAVASI avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano
del 15 febbraio 2016.

Felice RAVASI, a mezzo dei difensori e procuratori speciali avv. Giordano Balossi
e avv. Luisa Taldone, e chiede di annullare la sentenza impugnata perché affetta
da errore di fatto derivante dall’omesso esame della produzione difensiva
(sentenza del Tribunale di Milano in data 26 giugno 2016) allegata alla memoria
depositata il 20/1/2017 e comunque prodotta all’udienza di discussione che,
secondo il ricorrente, avrebbe dovuto determinare l’accoglimento del motivo di
ricorso che denunciava l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal teste
Rosangela RAMOS, con conseguente annullamento della sentenza oggetto del
ricorso.
Tenuto presente che nell’ambito del procedimento a carico di Rosangela
RAMOS per falsa testimonianza si è accertato che la medesima, allorquando
venne escussa nelle indagini preliminari, avrebbe dovuto ricevere le avvertenze
di cui all’art. 63 cod. proc. pen., le dichiarazioni dalla stessa rese non avrebbero
potuto essere utilizzate per affermare la responsabilità del ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile perché denuncia,
semmai, errori di giudizio e comunque deduce vizi manifestamente infondati.
1.1. In proposito è opportuno ricordare l’orientamento del massimo consesso
di legittimità secondo il quale «in tema di ricorso straordinario, qualora la causa
dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata
rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo,
non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso
dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen.» (Sez. U, n.
18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv. 263686).
In proposito, deve rammentarsi il percorso argomentativo delle SU Basile
(Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile P., Rv. 221283), secondo la quale il
ricorso per errore di fatto, quale mezzo straordinario di impugnazione,
rappresenta una evidente eccezione ad uno dei principi fondamentali
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2. Propone ricorso straordinario, a mente dell’art. 625-bis cod. proc. pen.,

dell’ordinamento processuale: quello della inoppugnabilità delle decisioni della
Corte di Cassazione, che, pur avendo perduto il carattere della assolutezza per
effetto, appunto, dell’art. 625-bis cod. proc. pen., resta uno dei cardini del
sistema delle impugnazioni e della formazione del giudicato.
Da ciò discende che le disposizioni regolatrici del ricorso straordinario per

applicano oltre i casi in esse considerati, in forza del divieto sancito dall’art. 14
preleggi, proprio perché costituiscono deroga alla regola dell’intangibilità dei
provvedimenti del giudice di legittimità.
L’error iuris, al pari dell’errore di giudizio o valutativo, non può mai essere

fatto valere a mezzo del ricorso straordinario, dato che, rispetto ad esso, resta
intatto il rigore del principio dell’intangibilità delle decisioni della Corte di
Cassazione.

2. Il ricorrente si duole che la Corte di cassazione non abbia valutato la
produzione documentale effettuata all’udienza e comunque allegata alla memoria
difensiva, perché erroneamente ritenuta tardiva.
2.1. Va premesso che, secondo il costante orientamento di legittimità «il
termine di quindici giorni, previsto per il deposito delle memorie difensive,
previsto dall’art. 611, cod. proc. pen., applicabile non solo ai procedimenti in
camera di consiglio ma anche a quelli in udienza pubblica, vale solo per le
memorie difensive e non per i documenti, con la conseguenza che sono sempre
ammissibili i documenti processualmente rilevanti eventualmente allegati alla
memoria tardivamente presentata» (Sez. 3, n. 50200 del 28/04/2015, Ciotti, Rv.
265935), sicché le produzioni documentali in discorso sarebbero state
erroneamente pretermesse in virtù di un errore di fatto.
2.2. La denuncia è infondata.
Contrariamente a quanto asserito nel ricorso, la Corte di cassazione ha
valutato la produzione documentale effettuata all’udienza e comunque allegata
alla memoria difensiva, pur correttamente ritenendo detta memoria tardiva
perché depositata solo cinque giorni prima dell’udienza in violazione della
previsione di cui all’articolo 611 cod. proc. pen., applicabile anche al
procedimento trattato in udienza pubblica.
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errore di fatto non sono suscettibili di applicazione analogica e, dunque, non si

Infatti, la denunciata inutilizzabilità del narrato del teste reticente Ramos
(riassunto al paragrafo n. 2.1., lett. f, del ritenuto in fatto – pag. 1), è stata
puntualmente esaminata (paragrafo n. 5 del considerato in diritto – pag. 7),
tanto che il contributo dichiarativo in questione è stato accantonato nella
valutazione delle risultanze probatorie, la cui decisività è stata affermata in

tabulati telefonici.

3. In ogni caso, non sussiste alcun vizio percettivo nella sentenza impugnata
con il ricorso straordinario poiché le prospettate questioni attinenti alla
utilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali costituiscono, semmai, un errore
valutativo perciò insuscettibile di emenda in questa sede.
Non si tratta, perciò, di un errore di fatto, tant’è vero che il ricorso reitera, in
effetti, uno dei motivi del ricorso per cassazione che denunciava l’inutilizzabilità
della dichiarazione del teste, questione che concerne la valutazione delle prove.

4. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al
versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che
si stima equo determinare in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 13 aprile 2018.

ragione del complessivo risultato di esse e, in particolare, delle risultanze dei

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